PRODUCT PLACEMENT, BRANDED  
ENTERTAINMENT E CROWDSOURCING: DINAMICHE, 
VALORI, PROSSIME FRONTIERE.   
 
Il Product Placement esiste de facto sin dai primi vagiti della Settima 
Arte, ma è divenuto solo negli ultimi decenni uno strumento di 
comunicazione del tutto codificato e funzionale, un vero e proprio medium 
nel medium in grado di superare in efficacia e convenienza la stragrande 
maggioranza delle tecniche pubblicitarie utilizzate finora, in un nuovo 
universo di possibilità ancora in larga parte sconosciuto nel bene come nel 
male, ma di certo capace di gran presa su di un pubblico ormai 
completamente stomacato dall’ipocrisia delle “reclame” classiche,  e 
bisognoso di nuove esperienze comunicative anche per quanto riguarda 
semplici consigli per gli acquisti. 
Prendendo le mosse da tali presupposti, il presente lavoro tesistico 
approfondirà dunque, in primo luogo, proprio le dinamiche grazie alle quali 
il PP è divenuto negli ultimi anni uno degli strumenti principe della 
comunicazione aziendale, vero e proprio linguaggio con cui un brand 
comunica e si comunica all’interno delle narrazioni sfruttando nuove 
potenzialità del tutto precluse all’advertising tradizionale, come ad esempio 
l’opportunità di plasmare l’opera stessa sulla base delle proprie esigenze 
comunicative mescolandosi tout court al tessuto del racconto in un processo 
che, se portato a termine correttamente, supera i limiti stessi del concetto 
classico di “consiglio per gli acquisti”  e permette all’inserzionista di  
“vivere” una storia e  divenirne talora raison d'être, sia dal punto di vista 
5
meramente economico sia da quello del significato, con il brand oggetto 
dell’inserimento che diviene vettore di un senso ben preciso.  
 
Ma quali sono i cambiamenti che hanno reso imperativo l’affermarsi di un 
nuovo standard di interazione tra inserzionisti e consumatori, quali le mutate 
condizioni da parte dei fruitori dei messaggi promozionali, sempre più 
bisognosi di “vivere” il messaggio pubblicitario piuttosto che di subirlo? 
Facciamo un passo indietro, gettando le premesse di un percorso arrivato a 
maturazione negli anni di internet ma germogliato addirittura decenni fa.  
Con l’affermazione del mercato globale, un iter de facto iniziato nel secondo 
dopoguerra, la concorrenza tra le varie imprese marketing oriented è 
divenuta sempre più feroce e senza esclusione di colpi. Lo stesso consumer, 
“forgiato” in qualche modo da una lotta giocata in primis sulla sua pelle, 
assume un ruolo sempre più attivo e smaliziato, razionale se si vuole, pur 
senza perdere di vista alcune fondamentali componenti affettive ed 
edonistiche alla base di un acquisto o di un consumo.
1
 
Se infatti in un primo momento, agli albori dello studio sul marketing, lo 
spettatore era considerato in termini estremamente elementari, come 
“vittima” del processo comunicativo delle imprese manipolatrici in quanto 
facilmente soggiogabile facendo leva sulle sue stesse emozioni e sul suo 
stesso bisogno, financo irrazionale, di “possedere” l’idea di cui la pubblicità 
è vettrice
2
, oggigiorno sappiamo come l’incredibile progresso dell’economia 
di mercato abbia fornito ai fruitori gli strumenti cognitivi per potersi 
difendere al meglio da messaggi ormai provenienti da tutte le direzioni, con 
1
  Roberto Paolo NENNI, Paola BENSI, Il product placement nelle strategie di 
convergenza della marca, Roma-Bari, Editori V&P, 2007, p. 203 
2
 Vance PACKARD, The hidden persuaders, D.McKay Co., New York, 1957 
6
una accentuata capacità di discernimento e di distacco critico che ha causato, 
in definitiva, un certo senso di rifiuto e disgusto verso il concetto stesso di 
advertising. Sovente lo spettatore cerca di sottrarsi alla pubblicità, trovando 
nella tecnologia i mezzi necessari per poter riuscire nell’impresa: si va dalla 
funzione “salto” dei moderni PVR agli infiniti add-on per browser in grado 
di rendere la propria navigazione on-line scevra da qualsivoglia réclame.  
Il messaggio pubblicitario deve essere quindi, ora più che mai, in grado di 
informare senza annoiare, di lasciarsi percepire senza essere invadente, di 
emozionare e far breccia nella memoria del destinatario superando le sue 
difese e spingendolo quindi ad una presa di coscienza diversa da quella 
richiesta sino a qualche anno fa, quando uno slogan e un jingle riusciti 
potevano decretare da soli il successo di un brand. Ecco allora che entra il 
gioco il Product Placement. 
L’inserimento di un marchio nella diegesi di un audiovisivo è infatti dal 
punto di vista meramente pubblicitario, e come vedremo anche economico, 
un’operazione dall’elevatissimo potenziale, in quanto in grado da un lato di 
rendere ancora più fedele la verosimiglianza narrativa dell’opera inserendo 
dei riferimenti alla quotidianità di chi guarda, “migliorando l’accoglienza 
del programma di intrattenimento mediante un incremento del realismo 
delle scene e della trama, che risulta tanto più elevato quanto più gli 
elementi della marca appaiono congruenti con le interpretazioni che gli 
individui danno della vita reale”
3
  e dall’altro quello di farsi captare dallo 
spettatore mentre è con “le difese abbassate”, magari attento allo 
svolgimento della storia, non riconoscendo dunque nell’inserimento un fine 
3
 Roberto Paolo NENNI, Paola BENSI, Il product placement nelle strategie di 
convergenza della marca. Cit. p.207 
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commerciale e rendendo più difficile un rifiuto del messaggio.
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In più, le strategie di PP permettono anche ad un brand di fare publicity e di 
comunicarsi in un modo decisamente più proficuo, facendo sì che il marchio 
venga percepito molto più “emotivamente” di quanto avvenisse in 
precedenza, e creando dunque un canale preferenziale in cui il PP è inserito 
all’interno di “processo di apprendimento stimolato (…) che sfrutta 
l’associazione di un prodotto con un contesto cinematografico o televisivo a 
forte impatto affettivo per trasferire uno stato emozionale dal contesto alla 
marca, determinando una risposta condizionata di tipo emozionale”.
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Non parliamo dunque necessariamente di comunicazione aziendale vera e 
propria, ma certamente di un potentissimo medium tramite cui un’azienda 
può farsi pubblicità e migliorare l’immagine percepita della propria marca, 
una strategia integrata e in genere con risvolti intermediali. 
Inoltre, in aggiunta al discorso comunicazionale c’è anche quello economico, 
forse ancora più importante. Il fenomeno PP ha infatti via via generato un 
nuovo modo di pensare al concetto stesso di investimento mediale, ed anche 
un cospicuo quantitativo di nuovi indotti di notevolissima rilevanza già quasi 
dieci anni fa
6
.   
Per maggiore chiarezza, si faccia riferimento alla seguente tabella per avere 
un’idea numericamente più precisa dell’ammontare globale del mercato PP. 
 
4
 Ivi, p.240 
5
 Ivi, p.204 
6
 Una ricerca PQ Media del 2005 stima in oltre 2 miliardi di dollari l’investimento 
globale in Product Placement, con un incremento del 42% rispetto già all’anno 
precedente.  
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7
 
Va sottolineato inoltre come il pagamento in denaro non sia l’unica possibile 
forma di riscatto dell’inserimento pubblicitario, in quanto nell’economia di 
una produzione, riferiamoci a quella cinematografica per semplicità 
d’esempio, anche il mero cambio merci (Barter Product Placement), cioè il 
contributo da parte di un’impresa ai costi di un contenuto di intrattenimento 
tramite la fornitura di beni, servizi, scenografie et similia in cambio della 
visibilità nel contenuto stesso
8
, può rivelarsi decisivo nel sempre precario 
budget di un progetto, tanto da essere ancora, per la comodità e l’efficienza, 
ancora di gran lunga la modalità di PP più diffusa
9
. Esempi lampanti in 
quest’ottica le esperienze delle Peugeot nella trilogia francese Taxi, per cui 
la casa automobilista transalpina fornì una ventina di modelli 406 costruiti 
ad hoc per le pellicole, oltre ad un quantitativo di mezzi di altro tipo da 
sfruttarsi in altro tipo di mansioni.
10
 L’intero discorso, sempre per comodità 
7
 Ivi p. 64 
8
 Ibidem 
9
 Ibidem 
10
 Ibidem 
9
e chiarezza, è scevro poi da tutte le considerazioni che si potrebbero fare sul 
PP gratuito, parte ancora senz’altro importante del totale del mercato, la cui 
parte paid potrebbe in definitiva rappresentare solamente la punta 
dell’iceberg. 
I tempi cambiano dunque, e di pari passo cambiano anche le esigenze 
commerciali e comunicazionali dei brand così come quelle finanziarie di 
un’industria dell’intrattenimento già fiaccata da crisi economica, pirateria e 
cronica mancanza d’idee. Obiettivo di questo studio sarà allora quello di 
sviscerare appieno la strategia PP da tutti i punti di vista possibili, quelli cioè 
propri dell’inserzionista, dei produttori di contenutistica ed anche quelli del 
pubblico, il quale per fortuna rimane unico e solo giudice dell’intero 
processo. Particolare attenzione verrà riservata al più ampio concetto di 
branded enternaiment, da tempo arrivato ben oltre il semplice inserimento 
di elementi ludici all’interno dei siti web delle imprese e ora costituito in 
larga parte dalla produzione diretta di spettacoli di vario tipo
11
, atti a 
veicolare i valori propri della mission dell’azienda più precisamente di 
quanto potrebbe mai fare un’opera di terza parte. Notable case in questo 
senso quello di Johnson e Johnson, che ha dato il via ad una joint venture 
con il produttore cinematografico TNT con lo scopo di realizzare storie che 
trasmettano “valori positivi ai quali associare in maniera ottimale le proprie 
marche
12
”, tra le opere nate da tale partnership possiamo annoverare Door 
to Door (2002), Miss Lettie and Me (2002), Wilder Days (2003)
13
. Sempre 
in quest’ottica, vale la pena anche di ricordare esperimenti quali quelli della 
Vans, leader nel settore delle calzature e finanziatrice del documentario 
11
 Ivi p. 168 
12
 Ibidem 
13
 Ibidem 
10