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I. LA VALUTAZIONE: DEFINIZIONE, IMPORTANZA, PROBLEMI E METODI
1 L’evoluzione storica
“Cos’è la valutazione?” E’ una domanda ricorrente nei molti manuali di nuova pubblicazione anche
negli Stati Uniti dove la valutazione è nata e conta ormai su un’esperienza quarantennale di lavori e
di studi.
Questa necessità di proporre sempre nuove e più puntuali definizioni dipende in parte dalla natura
multidisciplinare di questa pratica professionale nella quale coesistono persone e culture molto
diverse tra loro: sociologi, economisti, statistici, politologi, psicologi, aziendalisti ed urbanisti. In
parte dipende anche dal fatto che molti dei termini impiegati in questo campo (tra cui in primis il
termine valutazione) hanno un significato molto esteso, che muta a seconda dei contesti e delle
situazioni.
Partendo dalle origine latine, il termine deriva da valitus, participio passato di valere, avere prezzo,
stimare, dare un prezzo. Dunque la valutazione è il processo mediante il quale si attribuisce ‘valore’
a un oggetto, un’azione, un evento. Il valutare è l’attività con cui le persone esprimono un giudizio
riguardo a un fatto rilevante e significativo. E’ un metodo di ricerca empirica finalizzato alla
formulazione di giudizi sull’analisi dei risultati di un intervento, vale e dire una qualsiasi e
generica prestazione che trasformi un input in un output.
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La valutazione può anche esser definita come un’attività tesa alla produzione sistematica di
informazioni per dare giudizi su azioni pubbliche, con l’intento di migliorarle.
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Per prima cosa essa
ha un fondamento empirico, si basa sull’osservazione della realtà condotta attraverso procedure
condivise da una comunità scientifica di riferimento. Inoltre ogni valutazione comporta
l’espressione di un giudizio basato su un qualche tipo di confronto che deve esser motivato. Infine
la valutazione ha come obiettivo il miglioramento dell’attività pubblica che comporta il porre
l’attenzione alle esigenze conoscitive dei possibili utilizzatori.
Dal punto di vista storico, valutazione ebbe una prima origine grazie alle riforme messe in atto nei
paesi democratici soprattutto nel ventesimo secolo, che hanno posto l’attenzione sull’importanza
dei rendimenti amministrativi e sulla misurazione dei risultati dell’intervento pubblico per cui il
ruolo della scienza dell’amministrazione è diventato più analitico con finalità non più solo
descrittive, ma anche metodologiche.
Dalla Rivoluzione francese gli Stati iniziarono a cambiare, passando da una situazione pre-moderna
dove lo stato svolgeva esigue funzioni - l’apparato statale era formato dall’esercito, dalla polizia e
1 Vedi Morisi M., Lippi A. , (2005), Scienza dell’amministrazione, Bologna: Il Mulino,pag. 236
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Vedi Martini A., Sisti M., (2009), Valutare il successo delle politiche pubbliche, Bologna: il Mulino, pag. 21
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dalla finanza - a una strutturazione di esso sempre più crescente che portò alla formazione di Big
States. Si delinearono quindi stati sociali e imprenditori che non assolvevano più soltanto il ruolo di
garanti dell’ordine pubblico, ma esercitavano anche funzioni di servizio e fornitura di prestazioni ai
cittadini. La conseguenza fu una dilatazione delle burocrazie sia in senso orizzontale (più compiti
da svolgere), sia in senso verticale, con la creazione di catene di controllo gerarchicamente più
complesse. Lo stato divenne anche gestore e coordinatore e non solo regolatore, cosa che comportò
la nascita della burocrazia di massa dovuta proprio all’aumento dei compiti dello Stato e al
cambiamento della sua natura. Le cause che comportarono l’affermarsi della burocrazia di massa
furono svariate: l’avvento dei partiti di massa, l’apertura dei servizi di cura e protezione, l’aumento
della spesa pubblica, la stabilizzazione di alcuni settori, un’inflazione normativa che riguardò
proprio l’amministrazione e la discrezionalità decisionale dovuta al ruolo gestionale degli
amministratori. Intorno alla metà del 1900 ci fu una crisi delle burocrazie di massa dovuta alla loro
crescente inadeguatezza alle dinamiche sociali, economiche e politiche che culminò nel 1980 con le
grandi critiche alla crescita dello stato che riguardavano l’esplosione dei costi, l’inefficienza e
improduttività, la pesante tassazione, la richiesta di un trattamento, da parte dei cittadini,
discrezionale, differenziato e personalizzato e non più imparziale. Inoltre due fattori esogeni, la crisi
petrolifera e l’inflazione intorno agli anni ’70, contribuirono all’abbandono del modello della
burocrazia di massa ed hanno imposto di trovare specifiche e robuste vie d’uscita da una situazione
estremamente grave e delicata.
Si giunse così alla diffusione di un nuovo modello denominato New Public Management che si
sviluppò come movimento alla fine del 1970 negli Stati Uniti e venne riconosciuto come dottrina
negli anni ’90 e provò ad introdurre alcune regole del mercato nella pubblica amministrazione e
soprattutto la logica negoziale. Questo modello organizzativo è caratterizzato dal fatto che
l’amministrazione deve legittimarsi con il suo rendimento piuttosto che per il rispetto delle
procedure.
La valutazione diviene un controllo sui risultati conseguiti, sul raggiungimento degli obiettivi e la
soddisfazione dei destinatari e non più un’ispezione della conformità.
Infatti il potere politico diventa il committente dell’azione amministrativa la quale, per parte sua,
vede una forte responsabilizzazione dei dirigenti e dei funzionari pubblici che devono gestire gli
obiettivi ricevuti dalla politica e trasformarli in risultati. La verifica, di conseguenza, non è più una
semplice ispezione sulla conformità tra i comportamenti e le norme adottate per disciplinarli, ma è
valutazione dei risultati conseguiti, della soddisfazione dei destinatari degli interventi e della
congruità dei processi decisionali dell’amministrazione rispetto ai programmi politici.
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La valutazione delle politiche pubbliche è molto diffusa nei paesi sviluppati, ma anche in alcuni
paesi emergenti come il Messico. Le prime esperienze si riscontrano negli Stati Uniti verso la metà
degli anni ’60 nel campo sociale e recentemente si sono estese anche in quello educativo. Anche in
Europa si sono diffuse le pratiche di valutazione soprattutto nei paesi di cultura anglosassone e
scandinava assieme alla Francia e alla Germania seppur con metodi diversi.
Partendo dagli Stati Uniti l’inizio della valutazione risale agli anni ’60 quando l’amministrazione
Johnson introdusse delle iniziative in campo sociale con lo scopo di abbassare il grado di povertà
assieme al tentativo di verificarne l’efficacia. I campi in cui la valutazione ha preso piede sono stati
realizzati per stimare gli effetti del reddito minimo garantito sull’offerta di lavoro. Verso il 1980 ci
fu un tentativo di limitare il ricorso al welfare tramite delle condizioni che in una certa misura
inducevano i beneficiari a lavorare. Una svolta si registra nel 1996 con l’abolizione del sussidio di
povertà senza limiti temporali e la sostituzione di questo con uno limitato nel tempo.
Anche nel sistema sanitario sono state utilizzate forme di valutazione a scopo decisionale e in
particolare, nelle diverse modalità di contribuzione agli assistiti alla spesa sanitaria in forme
assicurative pubbliche e private e di diversi modi di finanziamento dell’assistenza sanitaria,
valutandone la qualità e i relativi costi.
La Germania ha una storia più recente per quanto riguarda la valutazione poiché ha avuto grande
rilievo dopo la riunificazione del 1990, periodo caratterizzato da un’economia debole,
un’occupazione stagnante e una disoccupazione crescente. In risposta a ciò vennero avviate delle
riforme del mercato del lavoro con quattro interventi legislativi nel gennaio 2003, 2004, 2005. Per
migliorare i risultati di queste innovazioni ci fu la richiesta di una rigorosa valutazione degli effetti
dei diversi interventi. La verifica delle operazioni apportate non inizia in questi anni, ma questa è la
prima per conto del Governo che ha un carattere scientifico. Anche nel quindicennio dopo il 1990 si
cerca di studiare gli effetti dei programmi di formazione e creazione di lavori di pubblica utilità di
lunga durata grazie alle università della Germania e agli istituti di ricerca economica e sociale.
Tuttavia gli studi dimostravano una mediocre efficacia o l’inefficacia delle ambigue politiche del
lavoro.
Diverso approccio si ebbe in Francia che mostrava un mediocre interesse dei decisori pubblici per
studi di valutazione degli effetti di politiche a differenza di una nicchia accademica che si era
sviluppata nell’istituto di ricerca francese INSEE e che dà il via a un esperimento sociale di grande
scala. Tutto ciò ha inizio nel 2007 con PSE
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che mostra grande attenzione alle politiche pubbliche e
alla loro valutazione.
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Polo francese di statura internazionale in economia e centro di alta formazione, realizzato costituendo una massi critica di ricercatori di alto livello,
raccolti da una varietà di unità di ricerca geograficamente prossime.