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INTRODUZIONE 
 
 
La trama narrativa, che emergerà nelle pagine che seguiranno, nasce da rifles-
sioni teoriche e pratiche che ho avuto la fortuna di sperimentare e conoscere 
nella scuola, in questi ultimi anni, durante i quali ho esaminato più approfondi-
tamente la ludobiografia
1
, una modalità di giocare che prevede il narrare di sé 
e degli altri, di ascoltare e di ascoltarsi: è un modo giocoso (ludico), per parla-
re di sé (bio), lasciando il segno (grafia), che può essere dato da una scrittura, 
ma anche da un’immagine o da un racconto. Il gioco, diventa uno strumento 
indispensabile, per poter conoscere e conoscersi in un clima sereno, coinvol-
gente e leggero. Infatti, la narrazione di sé, grazie al gioco, conduce i bambini 
ad accostarsi alle proprie storie e alle proprie esperienze, con proposte che fa-
cilitano l’elaborazione metacognitiva di sé, la quale permette una riflessione e 
un controllo sui propri processi di conoscenza, favorendo la qualità delle rela-
zioni e degli apprendimenti. Quindi, la ludobiografia, ma anche tutte le attivi-
tà, che in una Scuola Primaria si occupano di narrazione di sé, non hanno nien-
te a che vedere con l’autobiografia vera e propria degli adulti, che fissa il rac-
conto di una vita già percorso e definito, modalità che non è adatta per i bam-
bini, il cui bagaglio biografico, è ancora limitato e breve. Le proposte autobio-
grafiche, ma ancor meglio di narrazione di sé riguardanti i più piccoli, devono 
cercare di sollecitare competenze e capacità che portano a meditare e riflettere 
su se stessi e il mondo, per imparare a coltivare il sentimento di un sé emer-
gente, e non di un sé onnicomprensivo come quello degli adulti. L’approccio 
narrativo a cui faccio riferimento, è quello che porta a un’educazione interiore, 
la quale genera e rievoca, emozioni, sensazioni, modi di essere che portano a 
comprendere e sviluppare la propria identità. Quindi, la proposta di narrazione 
di sé, che parte dalla ludobiografia, può essere considerata un percorso forma-
tivo, importante per “interrogare” i bambini sulla propria esistenza e per far ri-
cercare loro, significati da attribuire, alle proprie vicende personali. Le attività 
ludobiografiche, attraversano la memoria, l’identità, la metacognizione, le e-
                                                 
1
 Cfr. Di Pietro A., Ludografie, Bari, La Meridiana, 2003.
7
mozioni, e tutte possono avvalersi di diversi linguaggi e modalità espressive, 
che permettono di narrarsi. Dopo questa breve, ma necessaria riflessione, vado 
a delineare lo studio affrontato nella mia tesi. Nel primo capitolo, strettamente 
teorico, spiego e affronto la narrazione di sé, partendo dalla definizione del 
termine “narrare”, e dall’importanza di un bisogno narrativo, fondamentale per 
tutti gli individui, perché necessario alla costruzione di significati, da ricercare 
in se stessi e nel mondo. Analizzando, alcune teorie di studiosi come Jerome 
Bruner, Gregory Bateson, Andrea Smorti, arriverò a precisare, quanto sia im-
portante il pensiero narrativo per la formazione dei bambini: attraverso i rac-
conti propri e degli altri, il bambino costruisce la sua esperienza, la sua storia, 
il suo modo di presentarsi e di essere. Il pensiero narrativo, permette 
l’interpretazione dei fatti umani, ed è direttamente derivato, dalle credenze, 
dalla cultura e dallo stato d’animo del soggetto che narra. Da qui, l’importanza 
(in una società complessa come la nostra, data dalla frammentazione dei saperi 
e dall’incertezza), di un insegnamento che porti il soggetto ad imparare a vive-
re e ad orientarsi: la scuola allora, deve adottare strategie didattiche ed educa-
tive, che portino a narrare e narrarsi, attraverso vari canali espressivi, per dare 
la possibilità ad ognuno di esprimersi e comunicare: la ludobiografia, può es-
sere, uno degli strumenti che permette al bambino di raccontarsi e riconoscersi 
giocando. Nel secondo capitolo, dopo aver spiegato e riflettuto, sul rapporto 
tra gioco e narrazione, introduco dettagliatamente la ludobiografia, esponendo, 
oltre alle caratteristiche principali, ciò che questa metodologia propone per la 
formazione della persona. In seguito, descrivo dei giochi (alcuni dei quali ho 
sperimentato personalmente), che si rifanno a cinque forme principali di ludo-
biografia, collegate a una particolare forma di comunicazione e una particolare 
grafia di sé: le grafie nel nome, nelle cose, dentro di noi, delle immagini, del 
corpo. Nel terzo capitolo, delineo il ruolo del docente oggi, per arrivare a spie-
gare le competenze e le qualità che deve possedere un insegnante ludografo, 
sensibile e attento alla gestione delle attività in cui si narra di sé. E` vero, che 
il gioco aiuta a calarsi in un’altra dimensione, che facilita il raccontare, ma 
questo non deve portare a banalizzare l’esperienza: “il ruolo del gioco, in que-
8
sta prospettiva è paradossalmente una cosa seria”
2
. Infatti, diviene un possibile 
divertimento per esplorare e esplorarsi; è un modo di entrare in contatto con 
diversi aspetti della realtà che aiutano l’individuo a ricercare la verità. Giocare 
è un esercizio quotidiano alla vita, perché permette di allenarsi ad affrontare 
più serenamente le situazione anche conflittuali. Quindi, c’è serietà, ma nello 
stesso tempo leggerezza e gusto di divertimento alla vita. Inoltre, aiuta a svi-
luppare le facoltà che sono alla base di ogni successivo apprendimento: 
l’attenzione, la concentrazione, la memoria,  lo sviluppo di schemi percettivi, 
autocontrollo, capacità di confronto, insomma, attraverso il gioco il bambino 
impara e comprende come funziona il mondo. E` uno strumento di crescita e 
progresso, insegna al bimbo a misurarsi con se stesso, a padroneggiare le pro-
prie forze per poi applicarle ai compiti quotidiani; è uno stimolo della curiosi-
tà, del gusto dell’esplorazione e della scoperta del nuovo. Contribuisce 
all’acquisizione delle proprie responsabilità e aiuta a capire come concludere 
un compito, allenarsi nel perseguimento di un obiettivo, perseverare nonostan-
te gli insuccessi: tutto questo conduce alla consapevolezza di sé. Inoltre, favo-
risce la socializzazione, e a condividere le proprie cose con gli altri e saperle 
utilizzare con rispetto: con il gioco si impara anche a collaborare, a rispettare 
le regole, a convivere con gli altri. Aumenta la creatività e la fantasia mediante 
l’invenzione di storie e personaggi e aiuta a familiarizzare con i propri stati 
d’animo e a gestire le situazioni della vita: “il giocare, significa uscire dai cir-
cuiti della quotidianità ed entrare in una diversa realtà nella quale non siamo 
più quelli di prima. Poi il gioco finisce e si torna dove eravamo prima”
3
.  
Andando avanti, descrivo le mie considerazioni, sull’importanza della ludo-
biografia nella scuola, che mi portano a delle ulteriori riflessioni, scaturite dal-
la lettura del libro Animare la mente di Duccio Demetrio e Gianfranco Stac-
cioli: un percorso di narrazione di sé, svolto con bambini della Scuola Prima-
ria, deve avere come bacchetta magica il gioco e quindi l’aspetto ludico, altri-
menti si rischia di cadere in una didattica tradizionale del raccontare, fredda e 
insensibile. Procedendo in questo mio studio, dedico il quarto paragrafo, a un 
percorso ludobiografico che ho realizzato, in una Scuola Primaria, dopo 
                                                 
2
 Di Pietro A., Ludografie, Bari, La Meridiana, 2003, pag. 9. 
3
 Demetrio D., Staccioli G., Animare la Mente, Torino, Il Capitello, 2003, pag. 6.
9
un’attenta osservazione dei bambini con i quali ho lavorato dopo aver e colla-
borato con le insegnanti. Infine, descrivo i punti essenziali che una scuola lu-
dobiografica deve considerare: benessere, felicità, libertà.  
Tutto questo mi ha dato modo, di collegare un certo tipo di scuola con alcuni 
importanti documenti per l’infanzia (Indicazioni Nazionali per il Curricolo e i 
Diritti dei Bambini), perché una scuola ludobiografica, è una scuola che fa ri-
flettere sulla realtà e sulle conoscenze che ci circondano mettendo al centro del 
processo formativo  il bambino, al quale dobbiamo insegnare la magia della 
vita.
CAPITOLO  I 
LA NARRAZIONE DI SÈ 
 
1.1    Che cos’è la narrazione 
 
Il termine narrare deriva dal latino “narrare” e significa “esporre con parole, 
far conoscere con un racconto”
1
,“narrare è una forma per far rivivere una sto-
ria, ed è questo il fatto che lo rende così interessante”
2
. Per gli antichi il canto-
re di racconti l’aedo
3
, proprio per la sua capacità di narrare e di ricordare, ve-
niva considerato un profeta in grado di prevedere il futuro, grazie alla cono-
scenza del passato. La narrazione è in un certo senso connaturata all’uomo e 
sappiamo, infatti, che ogni civiltà ha usato e sviluppato metodi per raccontare 
se stessa: il narrare, attraversa le popolazioni, le epoche, i luoghi è pre-
sente da quando è nata la socialità e la relazione umana. L’arte del nar-
rare, infatti, ha avuto un ruolo fondamentale nella vita delle comunità 
in tutte le culture ed ancora oggi, lo conserva in quelle tradizionali, so-
pravvissute al rapido processo di conversione tecnologica: “molto pri-
ma che venisse inventata la televisione, gli uomini la sera si racconta-
vano storie seduti attorno al fuoco. Le storie servivano a tramandare 
eventi realmente accaduti e vicende storiche o familiari, ma servivano 
anche semplicemente a divertire gli ascoltatori”
4
. Narrare vuol dire, en-
trare in un ambito comunicativo completamente diverso rispetto a quel-
lo della vita quotidiana: tra colui che narra e gli ascoltatori si stabilisce 
un’interazione particolare, concentrando l’attenzione sul messaggio che 
il narratore porta. Nella condizione postmoderna, si assiste però a una 
crisi del narrare, dovuta alla complessità nella quale ci troviamo a vive-
re. La mente umana e il sapere, nel corso del XX secolo hanno raggiun-
to dei risultati che hanno messo in discussione  le certezze riguardanti 
la storia, l’economia, la politica, gli aspetti cognitivi e sociali della 
                                                 
1
 Enciclopedia Universale, Milano, Rizzoli La Rousse, X, 1989, pag 430. 
2
 Alheit P., Bergamini B., Storie di vita, Milano, Guerini e Associati, 2001, pag. 46. 
3
 Cfr. Lazzari F., I mille apprendimenti del raccontare, in “Liber”,73, 2007. 
4
 Fox Eades J.M, Raccontare in classe, Trento, Erikson, 2006, pag. 9.
11
condizione umana:“il soggetto contemporaneo si fa questione, si fa 
problema, si fa artefice della propria forma, non grazie a una struttura 
unitaria, lineare e autonoma, ma nel pluriverso flusso delle informazio-
ni, delle ideologie, dei destini, delle tensioni, dei vincoli, delle possibi-
lità, dei valori e degli abiti mentali”
5
.  Se lo scopo originario del narrare 
è quello che Umberto Eco definisce simile alla funzione dei miti cioè 
“dare forma al disordine delle esperienze”
6
, e scambiarsi tali racconti 
serve a riscoprire se stessi e gli altri, allora è importante intraprendere 
un percorso narrativo di sé anche nella scuola, che permetta ai soggetti 
di entrare in contatto con i propri vissuti, le proprie emozioni, la pro-
pria identità, perchè “la narrazione si manifesta anche, e sempre più, 
come lo statuto-chiave del soggetto, la sua forma specifica”
7
. 
 
1.2    Il bisogno di narrazione 
 
In un primo tempo il narrare, fu la risposta dell’uomo al suo bisogno di 
stabilire rapporti e relazioni, e rappresentò la necessità di riferire, di te-
stimoniare, di rappresentare eventi e di ricordare.  
Narrare  è un’arte così come lo è la musica, la danza, la pittura, e signi-
fica  suscitare  forti emozioni, ricreare e interpretare un’opera in modo 
personale, in maniera originale. Così, mette in moto la creatività perso-
nale,  rompendo  la distanza  che esiste tra il narratore e quello che suc-
cede al di fuori, perché attraverso la sua interpretazione dei fatti e delle 
emozioni egli ricrea una realtà nuova, scaturita dalla sua personale vi-
sione e immaginazione. Quest’ultima, deve essere libera di esprimersi, 
come il musicista che suona con sentimento e non solo con la tecnica. 
Le nostre vite sono incessantemente intrecciate alle narrazioni, alle sto-
rie che raccontiamo o che ci vengono raccontate, a quelle che  sognia-
mo o immaginiamo o vorremmo poter narrare e tutte vengono rielabora-
                                                 
5
 Sarsini D. (a cura di),  Percorsi dell’autobiografia tra memoria e formazione, Milano,  
  Unicopli, 2005, pag.15. 
6
 Eco U., Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Bompiani, 1993, pag. 107. 
7
 Cambi F., L’autobiografia  come metodo formativo, Bari, Laterza, 2002, pag. 81.
12
te nella storia della nostra vita. Noi, viviamo immersi nelle narrazioni, 
e l’istinto narrativo è antico in noi quanto il più remoto dei bisogni, 
perché nasconde la ricerca di un senso, di un significato, di compren-
sione, in un’epoca complessa come la nostra, dove l’incertezza ha preso 
il sopravvento sugli ideali e le conoscenze di un mondo ormai passato. 
Il significato del racconto, non è però ciò che guida il narrare, ma è de-
siderio allo stato puro, desiderio di raccontare e raccontarsi in un conti-
nuum che oscilla tra il desiderio di scoprirsi e riconoscersi e il desiderio 
di essere ascoltati e riconosciuti. L’essere umano vive la sua vita 
all’insegna, innanzitutto, di un bisogno narrativo di tipo comunicativo: 
“non può fare a meno di raccontare ad altri quel che fa, sente, immagi-
na, inventa; per segnalare la sua esistenza e cercare attenzione presti-
gio, potere. Così come tale necessità, oltre a questa caratteristica, può 
essere ritenuta senz’altro di tipo autoriflessivo”
8
. In questo senso il bi-
sogno di narrazione, diventa la via per un percorso, che si costituisce 
come progetto
9
 che promuove lo sviluppo delle proprie capacità di ri-
flessione su di sé, nel momento dell’incontro con l’altro e con il mon-
do. Nel raccontarci ci esponiamo ad un altro: perché c’è bisogno degli 
altri per apparire a sé stessi, proprio come c’è bisogno degli altri per 
creare la propria identità. Il raccontare di sé, mira ad un altro da sé che 
ascolti e che restituisca, attraverso segnali, segni, parole, un senso al 
raccontare aperto ad accettare anche gli errori, le sconfitte, le paure, 
aperto ad accogliere il cambiamento.  
Vi è, già originariamente nel racconto di sé, anche un rivolgersi 
all’altro, che porta a costruire un nuovo sguardo su se stessi, sul proprio 
contesto, sulla realtà circostante. Il rapporto con l’altro, diventa occu-
parsi di se, in senso più ampio: “è darsi quindi una regola, non solo per 
volersi più bene, per capire di più, filtrando le cose con il proprio più 
profondo sentire di esserci; è gesto morale che insegna a rispettare 
                                                 
8
 Orbetti D., Safina R., Staccioli G., Raccontarsi a scuola, Roma, Carocci Faber,  2005,  
   pag. 9-10. 
9
 Cfr. Demetrio D., Il gioco della vita,  Milano, Guerini e Associati,  1997.
13
l’altro, a evitare che troppo sia il bersaglio dei nostri esperimenti”
10
. E 
così la narrazione di sé, è il viaggio di formazione, forse più importante 
che ci è dato intraprendere, “non è solo un modo di raccontarsi, un di-
svelamento a sfondo narcisistico o una spiegazione delle scelte compiu-
te nel corso dell’esistenza,  ma è anche un modo per apprendere qualco-
sa su di sé e magari scriverla perché sia letta, è un modo per formare al-
tri alla comprensione di se stessi.”
11
 Nell’istante in cui ripercorriamo 
gli eventi della nostra vita, possiamo provare la profonda emozione di 
non essere più noi stessi: il nostro ricordo è sempre una nuova e diversa 
invenzione. La narrazione di sé, “ridimensiona l’io dominante e lo de-
grada a un io necessario che possiamo chiamare l’Io tessitore, che col-
lega e intreccia, che, ricostruendo, costruisce e cerca quell’unica cosa 
che vale la pena cercare, costituita dal senso della nostra vita e della vi-
ta”
12
, è un “riconoscersi, cioè riconoscere di nuovo ciò che si è cono-
sciuto vivendo”
13
. La memoria e il piacere di ricordare, si intrecciano 
ad un sentimento di distacco, mentale ed emozionale, che è il primo re-
quisito del benessere. Il ricordare, il raccontare e il ripercorrere gli e-
venti poi, così apparentemente lontani fra di loro e dispersi, chissà dove 
nei ricordi, ci danno la sensazione di ricucire, di rimettere insieme 
l’esperienza vissuta come i tasselli di un puzzle, di creare dimensioni 
nuove. Questo permette all’individuo, di diventare oggetto di sé stesso: 
l’individuo come soggetto, esce da se stesso e diventa oggetto, e senza 
smettere di pensarsi unitario, legge in maniera critica e nuova i propri 
vissuti, la propria molteplicità.  Attraverso i racconti propri, ma anche 
attraverso l’ascolto, le persone costruiscono un modo di conoscersi e  
presentarsi dato da rispecchiamenti, legami, sentimenti. Narrare di sé, 
partire dall’oggi per risvegliare anche i ricordi più lontani che si crede-
                                                 
10
 Demetrio D., Autonalisi per non pazienti. Inquietudine e scrittura di sé, Milano, Raffaello    
Cortina, 2003, pag. 100. 
11
 Knowles M.S., La formazione degli adulti come autobiografia, Milano, Raffaello Cortina, 
1996, pag. 10. 
12
 Demetrio D., Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Milano, Raffaello Cortina,  
1996, pag. 14. 
13
 Infantino  G., La narrazione autobiografica come metodologia nel processo educativo, in  
“Psicologia e Scuola”, 135, 2007, pag. 51.