4
L'interazionismo simbolico non si accontenta perciò di tracciare le linee guida del simbolico 
sul piano delle relazioni comunicative tra individui, ma aspira alla comprensione dei 
meccanismi sociali che sono alla base di tali relazioni. Per questo l'analisi dei media di Denzin 
e Altheide apre un ampio orizzonte di indagine, che invoca le suggestioni di teorici non solo 
afferenti, ma anche estranei alla tradizione interazionista. Norman Denzin, ad esempio, che è 
di certo il più eclettico fra gli interazionisti contemporanei, è stato influenzato in modo 
particolare, ma non esclusivo, dal pensiero francese. Specificamente le sue ricerche, non solo 
in ambito mediale, guardano a Sartre, Merleau-Ponty, Foucault, Lyotard, Baudrillard, Barthes 
e Derrida. Si mescolano quindi nella sua riflessione i rimandi all'esistenzialismo, a cui ho 
prima accennato, con il postmodernismo e la semiotica. Questo approccio allo studio del 
sociale, che Denzin ha battezzato Interazionismo Interpretativo  per via dell'intenzione 
ermeneutica che lo muove, acclude anche la tradizione etnografica di Goffman e Garfinkel 
che rappresenta forse lo sviluppo più noto dell'interazionismo simbolico.  Denzin comunque, 
come si avrà modo di comprendere, non si ferma qui e allarga lo sguardo per accogliere gli 
stimoli del pensiero critico americano e britannico. Questa apertura ha comportato un 
recupero di teorici critici americani come Mills, Burke, Dewey e Innis, in vista di una 
migliore comprensione della società americana contemporanea. E' la filosofia pragmatista con 
i suoi sviluppi il principale termine di confronto per Norman Denzin e, come si vedrà, non 
solo per lui. L'autore in questione, infatti, sostiene la necessità di un raffronto con le istanze di 
critica e rinnovamento che provengono innanzitutto dal pensiero di Dewey, sebbene tale 
prospettiva debba essere rivisitata e corretta nella forma proposta dal  PostPragmatismo di 
Cornel West. Particolarmente in The Cinematic Society
2
, Denzin rimprovera ai pragmatisti e 
agli etnografi di aver tentato di dare una lettura della società americana con pretese di verità 
mentre, secondo la sua visione epistemologica, non c'é alcuna verità se non quella raccontata. 
Nasce di qui il bisogno di adottare un atteggiamento multiprospettico, che tenga sempre ben 
presente la provenienza ideologica  e politica di ogni discorso sul sociale. E' su questo punto 
allora che si scopre una possibile convergenza con l'impegno teoretico dei Cultural Studies 
britannici e la loro lettura critica dei testi mediali. Denzin infatti si richiama al Neomarxismo 
 5
e a Stuart Hall, anche se i suoi diretti referenti sono piuttosto il pensiero femminista e James 
Carey. Negli U.S.A i Cultural Studies, come sostiene Hanno Hardt in Critical Communication 
Studies
3
, hanno trovato seguito principalmente attraverso la critica di matrice femminista e 
l'approccio teorico, tracciato in modo chiaro da Carey, che ha l'ambizione di scoprire i legami 
che articolano il mondo simbolico e la cultura nella struttura sociale. Per questa ragione Carey 
può essere definito il "padre" dei Cultural Studies statunitensi e il suo contributo è da 
considerarsi rilevante anche per l'interazionismo. E' James Carey, infatti, che ha portato 
all'attenzione della mainstream nello studio dei media la necessità di guardare alla 
comunicazione non come trasporto di informazioni, ma piuttosto come interazione rituale che 
dà forma a una cultura. I processi simbolici sono quindi le fondamenta di un' analisi che si 
spinge a richiamare, come Denzin ma con più fiducia nella tradizione, i teorici critici 
americani da sempre sottovalutati: Mills, Burke e, con speciale cura, Harold Innis che elaborò 
la concezione rituale della comunicazione. Carey dimostra di credere ancora nelle potenzialità 
democratiche di questi lavori che, insieme alla prospettiva ermeneutica, possono garantire una 
fisionomia autonoma ai Cultural Studies americani.  
Si possono, a questo punto, già intravvedere le distanze e i punti di contatto tra i due 
interazionisti, pur sulla base del comune convincimento che la comunicazione è cultura. 
Denzin appare certo più recettivo nei confronti del pensiero critico europeo e più disposto a 
prendere le distanze dal pragmatismo, nel tentativo di avviare una decostruzione del mito 
della neutralità della ricerca sociale, con le sue stesse possibilità o impossibilità veritative. La 
lettura della società mediale, in un' ottica postmodernista, femminista ed etnica è quindi, per 
Denzin, radicalmente negativa, e lascia ben poche speranze all'utopia democratica.  Di simile 
avviso, ma ben attento a non abbandonarsi a critiche sconfortanti, risulta David Altheide. Nei 
lavori di questo interazionista, che si occupa specificamente di giornalismo televisivo, si 
ritrova infatti la convinzione che la società contemporanea è mediale, cioè definita dai formati 
comunicativi dei media. Altheide ha scelto di sviluppare l'analisi della forma piuttosto che del 
 6
contenuto dei messaggi mediali, perché è proprio il formato di ogni medium che decide della 
natura dei contenuti che veicola. Contrariamente all'apparenza, la sua visione non si 
appiattisce su aspetti tecnologici evidenti, ma esamina i criteri di selezione delle notizie sulla 
base del loro peso comunicativo. Altheide cerca di enfatizzare  perciò i fattori "interni" , al 
posto di quelli "esterni" che contribuiscono a dar forma ai messaggi dei media. I fattori, che 
Altheide definisce "esterni", e che di certo comunque non svaluta, sono inerenti al carattere 
ideologico e al significato politico delle notizie. Oggetto della sua critica, e anche motivo 
evidente di attrito con i Cultural Studies, è invece la polemica sul concetto di egemonia. In 
Media Power
4
, ad esempio, l'autore riporta con minuzia tutti gli studi empirici che dimostrano 
i forti limiti incontrati da questo concetto quando è valutato nella sua portata esplicativa 
concreta. Il vero potere dei media è quello di creare un ordine sociale "mediato", ovvero di 
strutturare i tempi e gli spazi della comunicazione e con questo deciderne le modalità e i 
percorsi di senso. E' questo il tipico caso della video justice, richiamato anche da Denzin in 
The Cinematic Society. Ci sono dunque diversi elementi comuni nelle teorizzazioni di Denzin, 
Carey e Altheide che si possono indicare genericamente in tre punti:  
- L'approccio qualitativo, ovvero il tentativo di comprensione del mondo sociale a partire dai   
processi simbolici, quindi di attribuzione di senso, che coinvolgono gli individui. Vale per 
tutti gli interazionisti il principio epistemologico del rifiuto di modelli esplicativi totalizzanti 
della società.  Dice infatti Denzin in Symbolic Interactionism and Cultural Studies:  
" 'società' è un termine astratto che si riferisce a qualcosa che i sociologi hanno 
inventato con la finalità di avere un argomento. Essi capiscono che la società è 
qualcosa che è vissuto nel qui e ora, nelle interazioni faccia a faccia e mediate 
che connettono le persone le une alle altre."
5 
 
 
 7
Così si spiega lo spazio che nei loro lavori è dedicato al self , che è l'unico autore concreto 
della comunicazione.  
 - La comunicazione come cultura. Dopo aver ricordato l'orientamento qualitativo che 
contraddistingue gli interazionisti, sembra quasi contraddittorio parlare di cultura. Se sono 
soltanto i processi di interazione tra gli individui che attribuiscono senso all'esperienza, che 
senso può avere il riferimento alla cultura? Il punto di vista comune di Denzin, Carey e 
Altheide si riassume dicendo che qualsiasi scenario che implichi un comportamento umano 
dotato di senso è incluso in questa prospettiva. Nella condivisione simbolica, cioè nella 
comunicazione, si decide il senso e questo si declina nelle forme della cultura. Oggetto  
 privilegiato di analisi, come per i Cultural Studies britannici, sarà allora la cultura 
popolare, in prima istanza i caratteri della comunicazione mediale.   
- La critica della cultura. E' il potere simbolico dei media che ha delineato  un ordine sociale 
cinematico , come lo definisce Denzin, ad essere oggetto di riflessione e di critica. Non tutte 
le   
 
componenti del mondo sociale hanno lo stesso peso nella produzione di senso. Il "materiale" 
simbolico e soprattutto i tempi e gli spazi dell'interazione trovano nei media una fonte 
privilegiata di definizione. L'obiettivo dei teorici in esame sarà dunque quello di far emergere, 
ciascuno secondo il suo approccio specifico, quali potrebbero essere gli effetti di questo 
potere sugli equilibri dell'ambiente comunicativo nelle società democratiche.   
Il lavoro di ricerca che si leggerà nelle pagine successive è stato scandito in quattro capitoli.  
Nel primo capitolo si fornisce una panoramica introduttiva alle linee guida essenziali delle 
prospettive teoriche degli interazionisti che si occupano dello studio dei media. Nel secondo 
capitolo si approfondiscono i contributi, offerti da  James Carey e Norman Denzin, all'analisi 
dei media in termini culturali. Il terzo capitolo invece è dedicato all'illustrazione del pensiero 
di David Altheide, che concentra gran parte del suo lavoro sull'analisi dei meccanismi che 
governano il funzionamento dei formati informativi dei media. Infine, nel quarto capitolo, si 
riconsiderano le basi teoriche degli autori esaminati, con l'obiettivo di esplorare le rispettive 
proposte di critica e di modifica del sistema mediale contemporaneo.  
 8
 
1
Altheide, David, L.(1985), Media Power, Beverly Hills, Sage, p. 134. 
2
Denzin, Norman(1995), The Cinematic Society: the Voyeur's Gaze , Beverly Hills, CA., Sage. 
 
3
Hardt, Hanno(1992), Critical Communication Studies: Communication, History and Theory in America, 
London, Routledge.  
4
Cfr. Altheide, David, L.(1985), Media Power, op. cit., pp.56-73. Cfr. anche Altheide, David, L.(1984), "Media 
Hegemony : a Failure of Perspective" , in Public Opinion Quarterly 48 , pp476-490.  
5
Denzin, Norman(1992), Symbolic Interactionism and Cultural Studies, New York and London, Basil 
Blackwell., p.22  
9 
CAPITOLO 1 
PROSPETTIVE E METODI  
DEGLI INTERAZIONISTI CONTEMPORANEI 
 
Questo capitolo si pone come obiettivo  di chiarire, in via preliminare, i presupposti teorici 
adottati degli interazionisti contemporanei. Partendo dalle definizioni più generali di 
interazionismo simbolico, ovvero quelle che accomunano tutti coloro che si riconoscono nella 
tradizione della Scuola di Chicago
1
, si intende offrire una panoramica sintetica e completa 
delle posizioni di Norman K. Denzin, James W. Carey e David L. Altheide. Nei capitoli 
successivi queste premesse si riveleranno fondamentali per inquadrare correttamente la 
prospettiva analitica, proposta  da questi Autori, in relazione allo studio dei media.  
 
1.1 Per una prima definizione  
 
L'interesse degli interazionisti simbolici per la comunicazione si radica negli assunti 
fondamentali di questo indirizzo teorico. Fin dalle origini, agli albori di questo secolo, i padri 
dell'interazionismo, George Herbert Mead, Charles Horton Cooley, John Dewey,  hanno 
cercato di comprendere i processi di formazione dei significati nell'interazione comunicativa. 
Dalla costruzione dell'identità del sé all'attribuzione di senso all'esperienza, l'interazionismo 
fornisce una chiave  interpretativa che si basa sulla contrattazione simbolica concreta e 
situata.  
Come chiarisce Denzin prendendo spunto da Blumer
2
, l'interazionismo si basa su tre 
assunzioni di fondo: 
 
 
"La prima, 'che gli esseri umani agiscono sulle basi dei significati che le cose 
hanno per loro'; la seconda, che i significati delle cose scaturiscono dal 
processo di interazione sociale; e la terza, che i significati sono modificati 
attraverso un processo interpretativo che coinvolge individui autocoscienti che 
interagiscono simbolicamente tra loro."
3
  
<<Recenti contributi dell’interazionismo simbolico alla ricerca sui mass media>>
10 
 
Detto questo, si può ben  comprendere che l'interazionismo abbia sempre avuto maggiore 
simpatia e familiarità con i metodi di indagine qualitativa, piuttosto che quantitativa. Gli 
interazionisti infatti tendono a privilegiare l'esplorazione del quotidiano, in cui gli uomini 
decidono i significati delle loro esperienze che si sedimentano nella cultura. La loro 
concezione della società è di   natura processuale, come si legge ancora in Denzin. 
 
 
"Gli interazionisti sono di cultura romantica(...)Valorizzano le canaglie e gli 
outsiders come fossero eroi e parteggiano per gli oppressi. Credono nella 
contingenza del sè e della società e concepiscono la realtà sociale dal punto di 
vista vantaggioso del cambiamento e delle trasformazioni che producono ideali 
di emancipazione."
4
 
 
1.1.1 L'interazionismo interpretativo  
 
Sono le situazioni esistenziali problematiche e i casi di devianza gli oggetti di studio da 
sempre prescelti dagli interazionisti. Al confine tra la psicologia e la sociologia, la ricerca 
chiama in causa i momenti di svolta nella vita degli individui, che rappresentano una 
intersezione decisiva fra 'pubblico' e 'privato'. Così Denzin: 
                         
 
"Le situazioni di interazione posso essere routinizzate, ritualizzate, o altamente 
problematiche(...)Le esperienze epifaniche  spezzano le routines e le esistenze e 
provocano radicali ridefinizioni del sè(...)Le epifanie sono connesse a 
esperienze di svolta decisiva. Gli interazionisti interpretativi studiano le 
esperienze epifaniche. Gli interazionisti localizzano le epifanie in quelle 
situazioni di interazione in cui i problemi personali diventano questioni 
pubbliche. In questo modo il personale è connesso allo strutturale, attraverso 
esperienze biografiche e interazionali."
5
  
 
In questa particolare versione di interazionismo, interpretativo, come Denzin lo ha definito e 
teorizzato, si fa presente il desiderio di un recupero del classico approccio interazionista ai 
problemi sociali, che insieme apporti anche alcuni elementi di originalità. In questa variante 
11 
teorica si innestano infatti i contributi della riflessione europea, in particolare di quella 
francese. 
 
 
"Io offro, invece, la mia versione di interpretazione e le attribuisco il nome di 
"interazionismo interpretativo". Questa affermazione significa un impegno a 
coniugare il tradizionale approccio simbolico interazionista con i lavori 
interpretativi, fenomenologici di Heidegger e della tradizione associata 
all'ermeneutica. L'interazionismo interpretativo si sofferma anche sul recente 
lavoro nella teoria sociale femminista, sulla teoria postmoderna, e sul metodo 
critico-biografico formulato da C.W. Mills, Sartre, Merleau-Ponty."
6
  
 
 
A proposito di C. W. Mills si può forse aprire qui una piccola parentesi. Il suo lavoro di 
reinterpretazione della sociologia in The Sociological Imagination (1959) è stato per lungo 
tempo messo da parte dalla mainstream americana, che qui viene criticata principalmente per 
due ragioni: l'enfasi sui metodi quantitativi e la ricerca di una teoria generale della società. Da 
Mills, Denzin trae inoltre la convinzione che la comprensione del sociale passi attraverso 
l'individuazione dei nessi tra individuale e strutturale . 
 
 
"La vita di un individuo non può essere compresa adeguatamente senza 
riferimento alle istituzioni entro le quali si svolge la sua biografia. Questa 
biografia registra l'assunzione, l'abbandono, il cambiamento e, in forma molto 
intima, il passaggio da un ruolo a un altro(...) Per comprendere la biografia di 
un individuo dobbiamo comprendere l'importanza dei ruoli che ha rappresentato 
e rappresenta; e per comprendere questi ruoli dobbiamo comprendere le 
istituzioni in cui sono inseriti(...)Una simile concezione ci impegna a 
comprendere gli aspetti più interiori e "psicologici" dell'uomo(...) "
7
  
 
Mills prosegue dicendo che una delle scoperte recenti di maggior portata è quella della 
determinazione sociale di molti aspetti della psicologia dell'individuo. Questa chiosa non fa 
che ribadire l'importanza del nucleo centrale del pensiero di Mills: la necessità di 
comprendere in modo efficace i nessi tra pubblico e privato, passa  attraverso un' analisi 
ravvicinata delle biografie delle persone comuni.
8
 
Tornando a Denzin, si può sintetizzare la sua concezione dicendo che l'interazionismo 
interpretativo adotta  una prospettiva che si amplia gradualmente, a partire dalle epifanie
9
 
12 
individuali, fino ad includere riflessioni che toccano la cultura e la struttura sociale. Per 
questo, gli apparati concettuali  a cui Denzin attinge sono essenziali per superare i limiti che 
la critica ha spesso rilevato nei lavori interazionisti. Questi limiti si ascrivono proprio 
nell'approccio qualitativo della teoria, che non lascerebbe alcuno spazio per obiettivi teorici di 
più ampio respiro.  
 
 
"(...)L'interazionismo simbolico e gli interazionisti sono andati soggetti, dalla 
morte di Mead, a una critica quasi costante. Valutazioni negative sono venute 
dalla teoria del conflitto, dal funzionalismo e dal neo-funzionalismo, dal 
marxismo, dal positivismo, dal femminismo, dal post-strutturalismo, dai 
Cultural Studies(...)"
10
  
 
 
1.1.2 Il rifiuto delle generalizzazioni teoriche. 
 
Non è possibile negare comunque che gli interazionisti si siano sempre dichiarati in qualche 
modo 'allergici' alle generalizzazioni teoriche. Questo comporta da un lato una debolezza che 
presta facilmente il fianco alle critiche, dall'altro una costante versatilità che li rende 
disponibili ad accogliere gli spunti più diversi. Di qui l'ampia gamma modelli nati all'interno 
dell'interazionismo simbolico che, pur differenziandosi non poco l'uno dall'altro,  condividono 
sicuramente alcune assunzioni essenziali. 
 
"Gli interazionisti interpretativi e simbolici non pensano che le teorie generali 
siano utili. Non scrivono, come le loro controparti funzionaliste, grandi o 
globali teorie delle società. Essi assumono questa posizione perché ritengono 
che 'società' sia un termine astratto che si riferisce a qualcosa che i sociologi 
hanno inventato con la finalità di avere un argomento. Essi capiscono che la 
società è qualcosa che è vissuto nel qui e ora, nelle interazioni faccia a faccia e 
mediate che connettono le persone le une alle altre."
11
  
 
Anche un altro interazionista contemporaneo, David Altheide, a cui mi riferirò ampiamente in 
seguito, respinge la necessità di elaborare una teoria che poggi su un concetto centrale. Le 
grandi teorie sono costruite su  paradigmi che, prima o poi , sono destinati alla 'esplosione'. 
13 
L'unica strada utile per capire i processi sociali e,  in questo caso specifico, il fenomeno del 
controllo, è quella che conduce all'analisi della costruzione dei significati attuata dagli 
individui concreti. 
 
 
"Sono d'accordo sul fatto che il controllo e il controllo sociale in particolare 
sono concetti sociologici chiave, ma  sostengo tuttavia(...)che la richiesta del 
Prof. Jack P. Gibbs di una nozione sociologica centrale di 'controllo' sia poco 
saggia per parecchi motivi. Primo, egli sbaglia nel suggerire che 'in qualunque 
campo scientifico la massima coerenza richiede una nozione centrale'; secondo, 
è in errore nel suggerire che una nozione centrale potrebbe essere essenziale per 
una integrazione delle varie scienze del comportamento(...)"
12
  
 
1.1.3 Il periodo etnografico e quello contemporaneo. 
 
Storicamente l'interazionismo ha assunto un aspetto mutevole che diversi autori hanno cercato 
di delineare con precisione. Anche Denzin ha dato una sua interpretazione della storia 
dell'interazionismo, suddividendolo in fasi storiche che riassumono gli snodi più salienti. Le 
ultime due fasi individuate sono quelle più interessanti da esaminare per questo lavoro. 
Il 'periodo etnografico''
13
 si concentra nel decennio 1971-1980, che vede la pubblicazione del 
maggior lavoro di Goffman, Frame Analysis (1974), e la nascita di nuovi periodici dedicati 
alla ricerca qualitativa, come Qualitative Sociology, Symbolic Interaction, e Studies in 
Symbolic Interaction. E' in questa fase storica che nasce la California School. 
 
 
"Un gruppo di studiosi ( che include J. Johnson, D. Altheide, A. Fontana, J. 
Kotarba. e gli Adler) sotto la guida di Jack Douglas(...)emerse per assicurare un 
terreno di mediazione tra la fenomenologia, l'etnometodologia, 
l'esistenzialismo, e l'interazionismo simbolico(...)essi hanno fatto avanzare la 
sociologia appartenente alla prospettiva della vita quotidiana(...)i loro interessi 
si sono focalizzati sui mass media, la violenza familiare, gli sports, la 
devianza(...)Questo gruppo continuava e costruiva sul primo lavoro di 
Goffman, Garfinkel e Blumer, che avevano sviluppato le versioni  californiane 
della Chicago School."
14
  
  
14 
Novità interessanti per la storia dell'interazionismo ci sono  soprattutto nei dieci anni 
successivi, dal 1981 al 1990, durante i quali è apparsa quella che Denzin chiama teoria 
nuova/diversa. I mutamenti teorici, in seno all'interazionismo, avevano già dato le prime 
avvisaglie negli anni sessanta, quando la prospettiva si era arricchita dei contributi della 
riflessione sulla psicoanalisi e sulla teoria sociale europea (un  esempio in questo senso può 
essere Mills). Tuttavia è solo a partire dagli anni ottanta che si vedono le modificazioni più 
significative nella direzione di un ampliamento dello spazio di riflessione dedicato alla 
sociologia europea. In questi anni acquistano un nuovo spessore la riflessione sui media e 
sulla cultura postmoderna. 
 
 
"Parecchie correnti stanno procedendo allo stesso tempo(...)C'è una rinascita di 
interesse per... le tecnologie dell'informazione e gli studi di comunicazione, 
connessi al primo interesse per i mass media di Cooley e Park (per esempio in 
Couch e Carey)(...)per  le "nuove" teorie sociali europee (Barthes, Derrida, 
Foucault, Althusser, Baudrillard, e Lacan), incluso il postmodernismo(...)Essi 
(gli interazionisti), di tutti i gruppi teorici americani, sembravano i più 
recettivi...alle formulazioni di una nuova teoria e ai problemi di  comunicazione 
in un mondo postmoderno definito dai media ."
15
   
 
A partire dagli anni ottanta, l'interazionismo ha cercato di dare perciò una svolta teorica 
decisiva, accogliendo istanze e spunti affatto nuovi alla sua storia. Risentono in modo 
speciale di questa 'ventata' europea  le ricerche sui media, di cui Carey con Communication as 
Culture (1989) e Denzin con Images of Postmodern Society (1991) intendono farsi portavoce. 
Le riflessioni dello strutturalismo, del decostruzionismo e del postmodernismo
16
 attecchiscono 
in una tradizione di ricerca che, comunque, non ha mai del tutto trascurato un approccio 
storico-strutturale alla società. 
 
 
"Inoltre gli studiosi della scuola di Chicago concepivano la comunicazione 
come qualcosa in più che impartire informazioni. Piuttosto, caratterizzavano la 
comunicazione come l'intero processo attraverso il quale una cultura è portata 
all'esistenza, mantenuta nel tempo, e sedimentata nelle istituzioni. Quindi, 
vedevano la comunicazione nello sviluppo dell'arte, dell'architettura, nella 
consuetudine e nel rituale, e, soprattutto, nella politica."
17
  
15 
  
1.2 Processi simbolici e cultura. 
 
James Carey, interazionista e padre dei Cultural Studies americani, riconosce l'esistenza di un 
intreccio indissolubile tra interazione simbolica, processi comunicativi e cultura. Sono i 
repertori simbolici che modellano le forme in cui ci si presenta il reale: non c'è una realtà 'in 
sè', ma solo mappe su cui sono indicati i possibili percorsi da seguire. 
 
 
"Il pensiero è pubblico perché conta su una riserva di simboli pubblicamente 
disponibile. E' pubblico in un secondo e più forte significato. L'attività del 
pensare consiste nella costruzione di mappe degli ambienti. Il pensiero implica 
la costruzione di un modello di un ambiente e poi nel far 'correre' il modello più 
veloce dell'ambiente per vedere se la natura può essere costretta a comportarsi 
come fa il modello ."
18
  
 
 
Le mappe vanno perciò continuamente ridisegnate, nel tentativo di comprendere e di 
prevedere meglio le reazioni dell'ambiente. Si conferma con Carey la lettura processuale  
interazionista dei  fenomeni sociali e insieme il rifiuto di accettare un unico paradigma 
interpretativo. La sociologia non fa certo eccezione al generale convincimento che ogni  
forma di sapere umano è labile e contingente. 
 
 
"Tutta l'attività umana è un esercizio(...)di quadratura del cerchio. Noi 
prima produciamo il mondo attraverso il lavoro simbolico e poi 
prendiamo residenza nel mondo che abbiamo prodotto. Ahimè, c'è una 
tale magia nei nostri autoinganni(...)La realtà deve essere riparata perché 
la sua coerenza si rompe: le persone si perdono fisicamente e 
spiritualmente, gli esperimenti falliscono, si produce  evidenza contro la 
rappresentazione(...)"
19
  
Non si dà spazio perciò a nessuna visione del mondo che abbia la pretesa di dare spiegazioni e 
assiomi di verità incontrovertibili. I Cultural Studies, secondo Carey, si ricongiungono 
proprio a quegli esponenti dell'interazionismo di Chicago che avevano nella sociologia 
weberiana un punto di riferimento. E' stato Weber, tra gli altri, che ha negato l'esistenza di 
16 
una linea di demarcazione rigida tra scienza e non-scienza, tra natura e cultura: la padronanza 
della realtà non appartiene alla scienza come non appartiene alle cosiddette scienze sociali. La 
sociologia ha una sua peculiare competenza di fronte ai fenomeni sociali, che non poggia su 
leggi scientifiche, ma sulla comprensione della cultura. 
  
 
" la distinzione tra scienza e non-scienza era la stessa distinzione platonica tra 
la conoscenza e l'opinione. Quest'ultima distinzione , insieme con  quelle 
correlative fra oggettivo e soggettivo, primario e secondario, è precisamente la 
distinzione che i Cultural Studies cercano, come una questione di prim'ordine, 
di dissolvere(...)Ai Cultural Studies, sul terreno americano, è stata data la più 
potente espressione da John Dewey e dalla tradizione dell'interazionismo 
simbolico che si sviluppò più in generale dal pragmatismo 
americano(...)Dewey, Park e altri nella Chicago School trapiantarono la 
sociologia weberiana sul suolo americano,(...)all'interno dell'impegno 
pragmatista per il dissolversi della distinzione tra scienze naturali e culturali."
20
  
  
1.2.1 Denzin e Carey: confronto sul pragmatismo. 
 
Su questo punto mi sembra interessante vedere anche l'opinione di Denzin, che contrasta in 
modo evidente con quella di Carey. Questi sostiene che è stato il pragmatismo ad offrire un 
terreno fertile per un diverso modo di intendere la sociologia, nel senso di un dissolvimento 
"della distinzione tra scienze naturali e culturali". Denzin ci offre invece una severa critica del 
pragmatismo classico e delle sue pretese di scientificità. 
 
"Questa epistemologia (del realismo scientifico) arguisce che possono essere 
fatte affermazioni veritiere sul mondo. Queste affermazioni saranno basate 
sull'osservazione diretta e sui metodi di induzione e deduzione(...)Essi sono 
stati tradizionalmente pragmatici, muovendo sempre da conseguenze(...)per 
risalire alle cause di quegli effetti(...)L'apparato cinematografico introduceva  
nella società americana nuovi metodi di prova e verifica(...)Il voyeur (del 
cinema classico) arricchiva il metodo pragmatico e rendeva il pragmatismo, e i 
suoi modi di conoscere e verificare la verità, una parte centrale dell' American 
way of life."
21
  
 
Dal suo punto di vista, Denzin vede nella tradizione pragmatista, perciò anche 
nell'interazionismo, la fiducia accordata ai presupposti gnoseologici scientifici.