2
Il Cap.III si occupa invece soprattutto degli ultimi due anni, caratterizzati dall’effettiva circolazione 
dell’euro e della progressiva scomparsa delle monete nazionali. Come del resto il capitolo II, anche 
questa parte, è divisa in due sezioni: nella prima si analizza l’aspetto macroeconomico della 
questione, prendendo in considerazione la Bilancia dei Pagamenti svizzera e le principali variabili 
macroeconomiche (Pil, tasso di crescita, disoccupazione…etc), mentre nella seconda l’attenzione si 
sposta all’aspetto microeconomico e interno. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 3
 
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO I: 
 
 
L’evoluzione storica dei rapporti politico – istituzionali 
 
Svizzera - UE 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 4
 
Premessa 
 
 
Come è ben noto la Svizzera è l’unico paese dell’Europa Occidentale che ancora non fa parte 
dell’Unione Europea e al momento non è in previsione una domanda di ammissione, almeno in 
tempi brevi. Nonostante ciò, sia per la posizione geografica sia per le strette relazioni economiche 
(dalla UE proviene circa l’80% delle importazioni e il 70% delle esportazioni vi è diretto), la 
politica svizzera nei confronti dell’Europa ha continuato ad evolversi, dalla fine della seconda 
guerra mondiale ad oggi, verso una collaborazione sempre più stretta, basata però più sul diritto 
pubblico e su accordi internazionali che non su una volontà di divenire membro a tutti gli effetti 
dell’Unione Europea. 
A tal proposito si possono identificare tre grosse fasi riguardanti la politica europea della Svizzera: 
1- Dalla fine della seconda guerra mondiale alla creazione dell’EFTA  
2- Dall’accordo di libero scambio all’Atto Unico Europeo 
3- Dagli anni ’90 ad oggi: la Svizzera in cerca del proprio ruolo nell’Europa del XXI sec. 
 
 
1- Dalla fine della seconda guerra mondiale alla creazione dell’EFTA 
 
Dopo la tragedia della seconda guerra mondiale in Europa si avvertiva chiara la necessità di 
superare le tradizionali divisioni invalicabili tra i singoli stati nazionali, formula politica che aveva 
ormai mostrato inequivocabili segni di decadenza quali profonde crisi economiche incontrollabili 
(si pensi, ad esempio, al 1929), due guerre mondiali costate milioni di vite umane, ascese di regimi 
totalitari.  
Se c’era dunque una sostanziale convergenza sull’obiettivo finale non altrettanta unità di intenti vi 
era sul come raggiungerlo. Tre erano le principali correnti di pensiero: 
1- Il movimento Federalista, che aveva come principali esponenti Luigi Einaudi, i federalisti 
inglesi e quelli italiani guidati da Altiero Spinelli, riteneva indispensabile una unione europea a 
carattere federale con la condivisione di importanti settori da sempre riservati agli Stati 
nazionali quali la politica estera, la difesa, la moneta e importanti settori di politica economica. 
Si sarebbero dovuti inoltre creare istituzioni sovranazionali quali un governo, un parlamento e 
una corte di giustizia. 
 5
2- Il  funzionalismo, dove vanno ricordati soprattutto i contributi dell’economista romeno David 
Mitrany ma soprattutto Jean Monnet, condivideva con i federalisti l’idea della necessità di 
superare le tradizionali divisioni nazionali, ma la via da seguire a tal fine era quella di uno 
sviluppo graduale della cooperazione internazionale in settori limitati ma via via più importanti 
dell’attività statale per avere un graduale trasferimento dei poteri dello Stato. 
3- Il confederalismo voleva invece una cooperazione europea basata sulla concertazione 
intergovernativa. Dunque nessuna riduzione dei poteri dello Stato, ma piuttosto una decisioni di 
comune accordo su questioni di interesse generale.  
 
Sin da questi primi dibattiti, seppur ancora a carattere puramente teorico, in Svizzera non si 
avvertiva la necessità di partecipare al nascente processo integrativo dell’Europa occidentale, in 
quanto la neutralità nel corso dalla seconda guerra mondiale si era rivelata una scelta vincente, sia 
dal punto di vista politico sia, soprattutto, da quello economico, dato che l’economia, non toccata 
dalle distruzioni e dai costi del conflitto, era in un ottimo stato di salute soprattutto se rapportata a 
quelle dei vicini europei. 
Non deve sorprendere perciò la scelta di non aderire alle nascenti istituzioni europee quali il 
Consiglio d’Europa, istituito nel 1949 con l’obiettivo di “realizzare una più stretta unione tra gli 
stati europei”, e le tre comunità alla base della cooperazione economica europea: la CECA istituita 
nel 1950, l’Euratom (1957) e la CEE (1957). La Confederazione svizzera fu invece tra i firmatari 
del trattato che istituiva l’Unione Europea dei Pagamenti (UEP), un sistema di compensazione 
multilaterale dei saldi che faceva sì che i deficit o le eccedenze negli scambi bilaterali fossero 
consolidati a cadenza mensile in un unico saldo a debito o a credito nei confronti dell’Unione. Era 
anche prevista la concessione automatica di crediti in caso di squilibrio momentaneo della Bilancia 
dei Pagamenti. 
Ciò che in quell’epoca ha rappresentato un avvenimento importante dal punto di vista economico 
per la Svizzera è la creazione dell’EFTA (European Free Trade Association) nel 1960 con la 
Convenzione di Stoccolma. Sette furono i membri fondatori: Regno Unito, Danimarca, Svezia, 
Svizzera, Austria, Portogallo e Norvegia a cui si aggiunsero negli anni l’Islanda (1970), la Finlandia 
(1986) e il Liechtenstein (1995). L’istituzione dell’EFTA fu una risposta al progetto di Mercato 
Comune previsto dalla CEE ma, mentre l’obiettivo dei 6 paesi firmatari del trattato di Roma era 
quello della creazione di una unione doganale l’EFTA era, ed è, un’area di libero scambio dove i 
singoli paesi creano un’area di libero scambio tra loro ma mantengono libertà nella politica 
commerciale esterna. La spinta iniziale fu data soprattutto dal Regno Unito, da sempre scettico su 
una integrazione europea profonda e desideroso di mantenere i rapporti commerciali privilegiati con 
 6
le ex-colonie facenti parte del Commonwealth, a cui si unirono tutti quei paesi dell’Europa 
Occidentale che per diverse ragioni non potevano o non volevano far parte della CE. 
Con il passare degli anni le mutate condizioni politiche e il crescente successo del MEC hanno fatto 
sì che molti paesi firmatari del Trattato di Stoccolma siano passati nella UE. Questo ha provocato 
una progressiva revisione dei rapporti tra UE e i singoli paesi facenti parte dell’EFTA. Accordi di 
libero scambio tra gli Stati dell’EFTA e l’UE sono stati stipulati nel 1972 mentre nel 1992 la 
creazione dello Spazio Economico Europeo (SEE), che la Svizzera ha rifiutato dopo un referendum 
popolare, ha esteso il mercato interno dell’UE ai paesi EFTA. 
Attualmente l’EFTA ha come membri Svizzera, Liechtenstein, Norvegia e Islanda e ha funzioni per 
lo più di coordinamento nei rapporti commerciali con paesi terzi. Uno degli obiettivi principali è 
facilitare l’ingresso sui mercati esteri degli operatori economici dei paesi EFTA ed evitare 
discriminazioni a loro danno. La Svizzera ha un ruolo primario in questa organizzazione, sia perché 
il Segretariato si trova a Ginevra (sedi secondarie si trovano a Bruxelles e in Lussemburgo) sia 
perché, data l’importanza economica rispetto agli altri paesi, si fa carico di circa la metà del bilancio 
dell’EFTA, che è nell’ordine di circa 20 milioni ci CHF all’anno. 
Nel 1999, il consiglio EFTA ha deciso di effettuare una revisione del Trattato, allo scopo di 
migliorare la cooperazione economica tra gli Stati membri. Il triplice obiettivo era: 
1- rispecchiare lo stato delle relazioni tra gli Stati EFTA e l’UE 
2- considerare gli sviluppi avvenuti nelle relazioni tra gli Stati EFTA e gli stati terzi non facenti 
parte dell’UE. 
3- tenere conto dell’evoluzione del quadro commerciale multilaterale, soprattutto nell’ambito del 
WTO.   
 
 
 
2- Dall’accordo di libero scambio all’Atto Unico Europeo 
 
Gli anni ’60 sono stati un decennio di relativa stabilità a livello internazionale con l’indiscussa 
egemonia sul blocco atlantico degli Stati Uniti, con una politica estera orientata alla 
contrapposizione con il blocco comunista e una politica commerciale che aveva il suo solido perno 
nella centralità e nella stabilità del dollaro. In questo scenario, guardando l’evoluzione 
dell’integrazione europea, si può rilevare come il maggior sviluppo a livello economico sia stato il 
completamento di unione doganale e del mercato agricolo comune il 1° Luglio 1968 mentre a 
livello politico non bisogna dimenticare la doppia bocciatura (la prima nel 1963, la seconda nel 
 7
1967), avvenuta soprattutto per volontà francese, della domanda d’ingresso nella comunità 
dell’Inghilterra. 
In questo quadro anche la politica svizzera nei confronti della comunità non subì profondi 
cambiamenti, tanto che da ricordare ci sono sostanzialmente soltanto un paio di avvenimenti: la 
creazione a Berna dell’Ufficio dell’Integrazione, utile in chiave di coordinamento delle politiche 
europee,  nel 1961, e l’ingresso della Svizzera nel Consiglio d’Europa (1963).  
L’uscita di scena del presidente francese De Gaulle, avvenuta nel 1969, a cui successe Pompidou, 
aprì la possibilità del primo allargamento della Comunità Europea, ancora ferma ai sei membri 
fondatori. Senza più il veto scontato della Francia il Regno Unito presentò per la terza volta la 
domanda di ammissione e questa volta la richiesta fu accettata. Insieme al Regno Unito entrarono 
nella Comunità Europea la Repubblica d’Irlanda (la cui economia era legata a doppio filo a quella 
britannica) e la Danimarca, mentre in Norvegia l’adesione non fu possibile dopo l’esito sfavorevole 
del referendum popolare di ratifica. Tutti questi paesi entrarono nella Comunità Europea a partire 
dal 1° Gennaio 1973.    
Il passaggio di Regno Unito e Danimarca dall’EFTA alla Comunità Europea rese necessario una 
profonda revisione dei rapporti tra i restanti paesi EFTA e la Comunità allargata e sempre più 
importante dal punto di vista economico; si scelse la via di negoziazioni bilaterali tra i singoli paesi 
appartenenti all’EFTA e la CE. 
Per quanto riguarda la Svizzera l’accordo di libero scambio con la CE è ancor oggi uno dei pilastri 
fondamentali nella politica di cooperazione economica tra Berna e Bruxelles, anche perché con un 
volume di scambi commerciali nell’ordine di 120 miliardi di euro l’anno la Svizzera è seconda solo 
agli Stati Uniti come partner commerciale dell’UE. 
Adottato ufficialmente il 3 Dicembre 1972 con il 72,5% di voti a favore, l’accordo aveva lo scopo 
di
1
 : 
1- Promuovere attraverso l’espansione degli scambi l’armonioso sviluppo delle relazioni 
economiche tra la Comunità Economica Europea e la Confederazione Svizzera e in questo 
modo favorire nella Comunità e in Svizzera il progredire dell’attività economica, il 
miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, e l’aumento della produttività e della stabilità 
finanziaria. 
2- Garantire giuste condizioni di concorrenza commerciale per le parti contraenti 
3- Contribuire in questo modo, rimuovendo le barriere al commercio, all’armonioso sviluppo e 
all’espansione del commercio mondiale. 
                                                          
1
 Accordo libero scambio CE – Svizzera, articolo 1 
 
 
 8
Si creava dunque un’ampia area di libero scambio EFTA – CE. Le riduzioni dei dazi doganali 
dovevano avvenire in 3 fasi successive: la prima, che prevedeva un taglio dell’80% rispetto al dazio 
di partenza, entro il 1° Aprile 1973, mentre le altre due avevano decorrenza 1° Gennaio 1974 e 1° 
Gennaio 1975
1
. 
Il campo di applicazione dell’Accordo di libero scambio era però limitato solo ad un ben definito 
numero di prodotti industriali, mentre erano esclusi i prodotti agricoli, estremamente protetti da 
parte della CE. I prodotti agricoli trasformati occupavano una posizione intermedia tra i due casi 
poiché una loro componente era una materia prima agricola mentre l’altra è frutto di una 
trasformazione avvenuta a livello industriale. Il protocollo 2 dell’Accordo disciplina questi casi. 
L’Accordo di libero scambio vieta dunque, per i prodotti che vi rientrano, dazi doganali, restrizioni 
quantitative o altre misure equivalenti. Sono però mantenuti i controlli sistematici alle frontiere 
delle parti contraenti per evitare il fenomeno della triangolazione delle merci. 
E’ però possibile, come previsto dal Protocollo 3 dell’Accordo, che un prodotto sia oggetto di 
lavorazione in vari paesi europei senza per questo perdere il trattamento preferenziale di cui 
beneficia
2
 (cosiddetto cumulo dell’origine). 
La firma dell’Accordo di libero scambio rispondeva dunque alla volontà svizzera di evitare 
l’esclusione totale dal processo d’integrazione europea, pur mantenendo la propria sovranità e la 
facoltà di concludere altri accordi commerciali, tanto che nei successivi vent’anni la Svizzera ha 
concluso oltre cento nuovi accordi bilaterali specifici, soprattutto nel settore riguardante il traffico 
delle merci. Alcuni valori fondamentali per la Svizzera quali la neutralità, il federalismo e la 
democrazia diretta non hanno dunque subito alcuna modifica con la firma dell’Accordo. 
La firma di questo accordo ha rappresentato il primo importante passo verso una più stretta 
cooperazione, a livello economico ma non solo, tra la Svizzera e i paesi appartenenti alla CE prima 
e alla UE poi. Ulteriore riprova della portata dell’accordo è il fatto che, per quasi 15 anni, ovvero 
fino all’entrata in vigore dell’Atto Unico Europeo, avvenuta nel 1986, la politica europea della 
Svizzera è rimasta pressoché immutata, ruotando intorno all’Accordo del 1972. 
Va anche detto, ad onor del vero, che gli anni ’70 hanno segnato un periodo di profonda crisi 
all’interno della Comunità Europea. La fine della fase economica dell’integrazione europea, 
avvenuta con il completamento dell’unione doganale e del mercato agricolo comune nel 1968, e il 
venir meno della stabilità internazionale, come testimonia la fine del sistema di Bretton Woods nel 
1971, hanno posto la CE di fronte a nuove sfide. 
                                                          
1
 Accordo libero scambio CE - Svizzera, articolo 3 
2
 Sistema paneuropeo di cumulo all’origine: 15 Stati UE, 4 Stati EFTA, Turchia, Lettonia, Lituania, Estonia, Polonia, 
Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Bulgaria, Romania, Malta e Cipro 
 9
Ci si rese conto infatti che era necessario un rafforzamento istituzionale della Comunità sia perché 
con l’ingresso dei tre nuovi membri si erano ampliate le problematiche da gestire, sia perché si era 
giunti a un livello di cooperazione economica tale da rendere necessario un rafforzamento delle 
politiche comunitarie. 
Queste esigenze si scontravano però con la tradizionale ritrosia degli Stati a cedere alcune delle  
 
funzioni fondamentali alla Comuinità. Testimonianza lampante di questo atteggiamento degli Stati è  
l’immediato fallimento del Piano Werner, proposto nel 1969 nel corso del vertice dell’Aja, che 
voleva, seguendo il classico metodo funzionalistico, la realizzazione per gradi di un’unione 
economica e monetaria. 
L’ambizioso progetto dell’allora primo ministro lussemburghese andò a scontrarsi sia contro un 
contesto internazionale sfavorevole sia contro la volontà degli Stati di mantenere la sovranità 
monetaria in modo da poter eventualmente favorire gli interessi nazionali a quelli europei. 
La bocciatura del Piano Werner fece temere che la Comunità fosse sul punto di dissolversi, 
incapace com’era di trovare una nuova spinta per proseguire il cammino sulla strada 
dell’integrazione. Non colmò il deficit a livello politico la regolarizzazione delle riunioni al vertice 
dei capi di governo decisa nel 1974, che da allora si tengono almeno tre volte all’anno con il nome 
di “Consigli europei”. 
Un nuovo rilancio doveva però cominciare con il Vertice di Roma del 1975 dove si sancì l’elezione 
a diretta del Parlamento Europeo. La proposta, su iniziativa italiana e appoggiata da Francia e 
Germania, nonostante l’opposizione del Regno Unito trovò la sua prima effettiva applicazione con 
le elezioni europee del 1979. 
La nuova spinta derivante dall’elezione diretta del PE si è manifestata anche con la creazione dello 
SME (Sistema Monetario Europeo), che riprendeva il discorso interrotto con il fallimento del piano 
Werner, e un nuovo allargamento della comunità. 
Nel 1981 infatti, grazie anche alla fine del Regime dei Colonnelli, la Grecia entrò nella Comunità, 
seguita a 5 anni di distanza, nel 1986, dal Portogallo, anche in questo caso adesione resa possibile 
dalla fine di un regime dittatoriale, quello di Salazar. 
Ma il vero punto di svolta, che ebbe importanti conseguenze anche per la Svizzera, fu l’entrata in 
vigore dell’Atto Unico Europeo (AUE),voluto soprattutto dall’allora presidente della commissione 
Jacques Delors. 
Elaborato nel corso della conferenza intergovernativa conclusasi in Lussemburgo nel 1985 e entrato 
in vigore, dopo la consueta prassi delle ratifiche nazionali, il 1° Gennaio 1987, l’AUE ha voluto 
codificare una volta per tutte le norme, di fatto già applicate da anni, sulla cooperazione in politica 
estera, ma ha anche dato un forte impulso all’integrazione economica. 
 10
Si prevedeva infatti di realizzare, entro il 1992, il definitivo completamento del mercato comune 
interno eliminando tutti gli ostacoli alla libera circolazione delle merci (erano per lo più barriere 
non tariffarie quali differenze tra le leggi, i regolamenti, le norme fiscali e tecniche tra i diversi 
paesi della Comunità) e attuando pienamente la libera circolazione anche di persone, capitali e 
servizi, come era già previsto dal Trattato CEE. 
Questo nuovo quadro, dove l’integrazione economica della Comunità era sempre più profonda, 
apriva nuovi scenari alla Svizzera, così come a tutti i paesi che ancora facevano parte dell’EFTA. 
Infatti, dopo l’ulteriore uscita del Portogallo, i paesi EFTA rimanenti o erano ormai decisamente 
orientati ad un futuro ingresso nella Comunità (Svezia e Austria) o erano paesi con un economia 
molto aperta e piccola (Svizzera, Liechtenstein, Norvegia, Islanda). In ogni caso si rendeva 
necessaria e improrogabile una nuova definizione dei rapporti EFTA – CE.  
 
 
 
3- Dall’Atto Unico Europeo ai giorni nostri 
 
Con la firma dell’AUE si è entrati in una fase estremamente dinamica dei rapporti Svizzera –UE, 
che dura tutt’oggi. La consapevolezza che il processo di integrazione europea aveva superato la 
crisi attraversata negli anni ’70 e diventava sempre più forte ha spinto la Svizzera, come del resto 
tutti gli altri paesi EFTA a riconsiderare il proprio atteggiamento nei confronti della CE. Non è un 
caso, infatti, che nel 1990 si siano aperti i negoziati che avrebbero portato nel 1992 i 12 Stati 
membri della Comunità Europea e i 6 Stati membri dell’EFTA (Svizzera, Austria, Svezia, 
Finlandia, Norvegia e Islanda) a firmare l’accordo che diede origine allo Spazio Economico 
Europeo (SEE). Inoltre tra il 1989 e il 1992 tutti i paesi EFTA, eccezion fatta per l’Islanda 
presentarono formale domanda di adesione alla CE, anche se poi Svizzera e Norvegia, per ragioni 
diverse, furono costrette ad ritirare la domanda. 
Il vero punto di svolta nelle relazioni Svizzera – CE (e poi UE) fu la bocciatura, a seguito dei 
risultati del referendum popolare, dell’Accordo istitutivo del SEE. Dopo gli slanci europeistici dei 
primi anni ’90 (con tanto, come già detto, di domanda di adesione alla Comunità), il governo 
svizzero si trovò obbligato a cambiare radicalmente prospettiva, pur continuando la propria politica 
volta ad approfondire ed estendere sempre più le relazioni con l’UE. 
Per cercare in qualche modo di minimizzare gli effetti della mancata partecipazione al SEE il 
governo svizzero decise di dare il via alla negoziazione di accordi bilaterali con l’UE, unico 
obiettivo attuabile a breve termine. Le negoziazioni , riguardanti sette settori (circolazione delle 
 11
persone, trasporto terrestre, trasporto aereo, agricoltura, ricerca, ostacoli al commercio e appalti 
pubblici), iniziate nel dicembre 1994 portarono alla firma degli accordi il 21 giugno 1999 a 
Lussemburgo. Dopo l’approvazione a seguito di un referendum popolare, gli accordi sono entrati in 
vigore il 1° giugno 2002. 
Non sono mancati in questi anni altri tentativi di dare nuovamente il via al processo di adesione 
all’Unione Europea, come dimostra l’iniziativa “Sì all’Europa”, respinto però dai cittadini svizzeri 
nel Marzo 2001. 
Attualmente l’adesione della Svizzera all’UE è dunque da escludere, almeno i tempi brevi, mentre 
sono iniziati i negoziati per altri accordi settoriali (i Bilaterali II) riguardanti temi esclusi dalla 
prima dai bilaterali I quali servizi; pensioni; prodotti agricoli trasformati; ambiente; statistica; 
educazione, formazione professionale e gioventù; media; tassazione dei redditi a risparmio; lotta 
contro la frode e cooperazione nei settori della giustizia, della polizia, dell’asilo e della migrazione. 
 
 
3.1- L’Accordo SEE 
 
Con il completamento del Mercato Comune, così come previsto dall’Atto Unico Europeo, che si 
fondava sulle “quattro libertà” fondamentali, ovvero libera circolazione dei beni, delle persone, dei 
capitali e dei servizi, i paesi EFTA dovettero rivedere la propria posizione nei confronti dell’Unione 
Europea, ancora regolata in gran parte dall’Accordo di libero scambio firmato nel 1972. 
Vi era la necessità, dato l’elevato grado di apertura dell’economia dei singoli paesi EFTA, il cui 
partner commerciale principale era l’UE, di non trovarsi svantaggiati nell’accesso al mercato UE.   
L’accordo è stato firmato nel 1992 tra i 12 Stati membri della Comunità europea e gli allora sei Stati 
facenti parte dell’EFTA. La Svizzera non ha tuttavia ratificato l’accordo, con il 50,3% dei voti 
contrari. Il trattato entrava dunque in vigore all’inizio del 1994 in 17 paesi. A seguito della 
successiva adesione di alcuni paesi EFTA alla UE (Svezia, Finlandia, Austria) e dell’ingresso, 
avvenuto nel 1995, del Liechtenstein nell’EFTA oggi il trattato è applicabile a 18 paesi, ovvero i 15 
dell’UE e i tre dell’EFTA. 
Come detto il nucleo dell’accordo era nelle “quattro libertà” del mercato unico e sono previste 
anche alcune misure di supporto del mercato unico quali concorrenza e politica sociale, protezione 
del consumatore e dell’ambiente, istruzione, ricerca e sviluppo. 
Diversamente dal mercato unico l’accordo SEE esclude in via di principio i prodotti agricoli e non 
prevede alcuna forma di politica economica esterna comune. 
 
 12
Libera circolazione delle merci 
 
L’abolizione dei dazi doganali risaliva all’accordo di libero scambio del 1972. L’accordo SEE si 
preoccupava di favorire ulteriormente la libera circolazione delle merci attraverso l’abolizione delle 
restrizioni quantitative e delle misure di effetto equivalente. 
Si regolavano inoltre problemi quali la “Regola d’origine”(il SEE sarebbe stato considerato un 
unico blocco, con un marchio “di origine SEE”) e si volevano armonizzare gli standard tecnici, le 
prove e le certificazioni in modo da eliminare il più possibile le barriere tecniche al commercio. 
 
Libera circolazione dei servizi 
 
All’interno del SEE vige la libertà di stabilimento sia per i servizi commerciali sia per quelli 
professionali. Si possono dunque svolgere attività bancarie, di assicurazione e d’investimento 
all’interno del SEE sulla base di una licenza unica e di un controllo al paese d’origine e  vi è stata 
un apertura parallela nel settore delle telecomunicazioni nell’UE e nel SEE. 
 
Libera circolazione dei capitali 
 
Sono proibiti dall’accordo SEE i controlli sui cambi e altri ostacoli alla libera circolazione dei 
capitali, salvo alcune deroghe per Islanda e Norvegia nel campo degli investimenti nel settore ittico. 
 
Libera circolazione delle persone 
 
I cittadini di ogni Stato firmatario dell’accordo hanno diritto di cercare e prendere lavoro in 
qualsiasi altro Stato firmatario. In collegamento con questa libertà di stabilimento si sono prese 
misure volte a garantire l’equivalenza e il mutuo riconoscimento delle qualifiche. 
L’accordo prevede inoltre l’accettazione da parte dei paesi EFTA di una parte rilevante dell’acquis 
communitaire anche in settori quali la politica di concorrenza, politiche sociali, ricerca e sviluppo, 
difesa del consumatore e dell’ambiente. 
Sul piano istituzionale è previsto che delle attività correnti del SEE si occupi una commissione 
mista di cui fanno parte membri sia dell’UE che dell’EFTA, mentre la responsabilità ultima 
compete al Consiglio SEE di cui fanno parte ministri di ogni Stato. Il controllo pratico compete da 
un lato alla Commissione Europea, all’Autorità di Vigilanza EFTA dall’altro. Il controllo 
giurisdizionale compete alla Corte di Giustizia UE e alla Corte di Giustizia EFTA.