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INTRODUZIONE 
 
Il presente contributo intende avanzare i risultati di una ricerca sulla risposta fisiologica di 
un campione di bambini di quattro mesi al paradigma osservazionale Still-Face di Tronick 
condotta presso l’IRCCS E.Medea – Associazione La Nostra Famiglia di Bosisio Parini 
(LC). 
Per lo studio dell’attivazione fisiologica è stato monitorato il tono vagale cardiaco e il 
battito cardiaco, indici misurabili in modo non invasivo attraverso un registrazione 
elettrocardiografica. 
I dati che verranno approfonditi, a cui mi è stato concesso di accedere per lo svolgimento 
del presente elaborato, sono stati tratti da uno studio piø esteso in corso di svolgimento 
presso l’istituto sopracitato. 
L’elaborato è stato strutturato in due parti: una prima parte di approfondimento teorico 
delle tematiche avanzate (primo e secondo capitolo) e una parte sperimentale in cui 
vengono presentati e discussi i risultati ottenuti (capitolo sperimentale). 
Nel Primo Capitolo è stato approfondito il paradigma Still-Face, il contesto teorico-
culturale in cui è nato, i principali risultati ottenuti dalla sua applicazione e i presupposti 
teorici su cui si fonda; sono state presentate le tre fasi in cui si struttura la procedura: play, 
still e reunion e gli effetti comunemente accettati in letteratura che il paradigma è in grado 
di elicitare nel comportamento socio-emotivo dell’infante (effetto Still-Face ed effetto 
reunion). Una parte è stata inoltre dedicata all’approfondimento del “Mutual Regolation 
Model” di Tronick, ovvero il modello teorico di sviluppo socioemozionale precoce 
proposto dall’autore per l’interpretazione dei risultati. Nell’ultima parte di tale capitolo è 
stata fatta una sintesi della letteratura che ha utilizzato il paradigma con riferimento 
particolare agli studi che hanno indagato lo sviluppo infantile anche dal punto di vista del 
funzionamento fisiologico. 
Il Secondo Capitolo si focalizza sul parametro fisiologico considerato in modo primario nel 
presente elaborato: il tono vagale. Tale concetto riguarda la stimolazione mediata dal 
Sistema Nervoso Autonomo che, attraverso il nervo vago, raggiunge il nodo seno-atriale 
regolando in modo dinamico l’attività cardiaca, in risposta a situazioni di sfida ambientale. 
Nel definire il tono vagale è stato all’inizio del capitolo esposto il funzionamento del 
Sistema Nervoso Autonomo, approfondendo l’anatomia e la funzione delle due porzioni di 
cui si compone: Sistema Nervoso Simpatico e Sistema Nervoso Parasimpatico.
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Successivamente è stata posta l’attenzione sul tono vagale e sulla metodologia che 
abbiamo utilizzato per misurarlo, ovvero la quantificazione della Respiratory Sinus 
Arrhythmia (RSA), una variazione fisiologica della frequenza cardiaca connessa al ciclo 
respiratorio. Uno spazio all’interno di tale capitolo è stato riservato al lavoro di Stephen 
Porges, che ha lavorato molto sul tono vagale e sulla Aritmia Sinusale Respiratoria nel 
corso di oltre trant’anni di studio, proponendo anche un modello evolutivo dello sviluppo 
del sistema vagale denominato Teoria Polivagale. 
Il Secondo Capitolo si conclude mettendo a fuoco l’area specifica di ricerca a cui 
appartiene il presente contributo: viene infatti posta l’attenzione sulle ricerche che hanno 
studiato lo sviluppo socio-emotivo degli infanti attraverso la quantificazione dell’RSA 
durante la procedura Still-Face. 
Il Terzo Capitolo rappresenta la parte sperimentale dell’elaborato in cui viene descritto lo 
studio nei suoi obiettivi e nelle sue procedure. Un campione di 67 diadi madre-bambino ha 
partecipato a una versione del paradigma Still-Face a cinque fasi, durante il quale sono 
stati monitorati il battito cardiaco e il tono vagale del bambino. In questo modo è stato 
possibile valutare come le fasi di engagement, dis-engagement e re-engagement diadico 
possano influire sul comportamento e sulla regolazione fisiologica degli infanti, dedicando 
particolare attenzione alle differenze individuali. 
Per valutare l’aspetto comportamentale è stata operata una codifica da due giudici 
indipendenti, con un accordo ottenuto di circa 80%. 
Ci si è soffermati nel corso del capitolo sul numero e sulle caratteristiche socio-
democrafiche delle madri che hanno collaborato alla ricerca grazie alla collaborazione con 
il servizio di Pediatria dell’Ospedale Fatebenefratelli - Sacra Famiglia - di Erba (CO), sulla 
procedura sperimentale nel dettaglio e su come sono state condotte le analisi dei dati 
comportamentali e fisiologici. 
Infine sono stati presentati i risultati; tali dati sono poi stati discussi dettagliatamente alla 
luce della letteratura disponibile e delle future linee di ricerca che dischiudono.
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PRIMO CAPITOLO 
IL PARADIGMA STILL-FACE DI TRONICK 
 
1.1 Presentazione della procedura osservazionale Still-Face 
Il paradigma Still-Face, elaborato da Tronick e colleghi (Tronick, Als, Adamson, Wise e 
Brazelton, 1978), è una procedura di osservazione strutturata per la valutazione 
dell’interazione madre-bambino, utilizzata con bambini tra i due e i dodici mesi di età.  
Questo paradigma è stato sviluppato negli anni Settanta, all’interno del filone di studi 
denominato “infant research”, una prospettiva teorica nata dalla necessità di formulare un 
modello dello sviluppo psichico piø aderente ai dati forniti dalla ricerca osservativa. Tale 
prospettiva ha rappresentato un cambiamento dal punto di vista metodologico, in cui il 
punto di vista patomorfo e retrospettivo che caratterizzava i modelli di sviluppo 
psicoanalitici è stato sostituito da un ottica che fonda le proprie indagini sui dati emersi 
dall’osservazione strutturata (Lis, Stella, Zavattini, 2001). 
L’infant research si basa su un modello di “costruzione continua” dello sviluppo (Zeanah 
et al., 1988) caratterizzato da una successione di “cambiamenti bio-comportamentali” 
(Sander, 1962; 1964; Greenspan, 1981; Emde, 1988), ovvero dei punti di rottura che 
rappresentano momenti cruciali in cui le nuove capacità del bambino necessitano di una 
negoziazione per giungere a una nuova regolazione interattiva. In modo opposto, il 
modello di sviluppo concepito dalla psicoanalisi si sostanziava come una progressione 
evolutiva caratterizzata da tappe specifiche e periodi sensibili, che rappresentavano gli 
organizzatori fondamentali della vita psichica, rispecchiando una concezione lineare dello 
sviluppo che ricostruisce punti di fissazione a partire da aspetti psicopatologici osservati in 
periodi successivi della vita del soggetto. 
La metodologia osservativa ideata da Tronick fa parte degli studi sui microprocessi 
nell’interazione faccia a faccia (Brazelton, Kozlowski e Main, 1974, Lewis e Rosenblum, 
1974; Stern, 1971; Trevarthen, 1974, Tronick, 1978) che, a partire dagli anni Settanta, 
hanno permesso di osservare “al microscopio” come il bambino e la madre si relazionino 
fin dalla nascita in modo bidirezionale. 
I risultati di queste ricerche hanno contribuito a confermare gli assunti di base della 
prospettiva dell’infant research, evidenziando come il bambino sia attivamente impegnato 
fin dai primi mesi di vita nella ricerca di stimoli (Wolff, 1966) e in grado di regolare, con il
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contributo materno, il loro eccesso o la loro carenza per raggiungere livelli ottimali di 
stimolazione (Sander, 1962; 1964). 
Nella versione originale la procedura prevede tre fasi in successione, denominate 
generalmente play, still e reunion, della durata di 2 minuti ciascuna. 
Nel corso della procedura il bambino e la madre sono posti uno di fronte all’altro e alla 
madre vengono date consegne specifiche per ciascuno dei tre episodi: nella fase di play, le 
viene chiesto di giocare e interagire in modo abituale con il bambino, nella fase di still di 
stare con il volto immobile, neutro, guardando il bambino senza parlargli nØ toccarlo e, 
infine, nella fase di reunion di riprendere ad interagire normalmente. 
I primi risultati derivanti dall’applicazione di tale paradigma furono presentati da Tronick e 
colleghi nel 1978 (Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry), 
suscitando da subito un forte interesse nella comunità scientifica per le potenzialità del 
modello sia in ambito evolutivo che clinico. 
Ciò che è emerso con maggiore chiarezza dalle prime osservazioni condotte utilizzando lo 
Still-Face è uno specifico pattern comportamentale del bambino caratterizzato da affettività 
negativa e tentativi di autoregolazione che occorre durante l’episodio del volto immobile 
(effetto Still-Face).  
I comportamenti regolatori sono volti al controllo dello stato di stress che il bambino 
esperisce e vengono generalmente suddivisi in due grandi categorie: comportamenti 
regolatori auto-diretti ed etero-diretti (Gianino, Tronick, 1988). I primi sono strategie di 
controllo del disagio caratterizzati da una attività sul proprio corpo. Queste modalità 
includono il distogliere lo sguardo dall’adulto o il succhiare o manipolare parti del corpo o 
oggetti vicini per favorire l’autoacquietamento. Mediante i comportamenti etero-diretti, 
invece, il bambino segnala il proprio disagio in modo da coinvolgere la madre affinchè 
intervenga modificando lo stato negativo esperito, tra questi: uso dello sguardo, vocalizzi, 
mimica facciale, agitazione. 
Come descritto da Tronick nei suoi primi lavori (ad esempio Tronick, Als, Adamson et al., 
1978), e come replicato in vari altri progetti (Field, Vega-Lahr, Scafidi, Goldstein, 1986; 
Fogel, Diamond, Langhorst, Demos, 1982; Gusella, Muir, Tronick, 1988; Mayes, Carter, 
1990; Stack e Muir, 1990, 1992; Stoller, Field, 1982; Toda, Fogel, 1993) in genere il 
bambino, inizialmente reagisce con comportamenti indirizzati al recupero dell’interazione, 
quali accentuazione del sorriso, vocalizzazioni e maggiore intensità nello sguardo alla 
madre, per poi fare ricorso a comportamenti regolatori.
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Le manifestazioni emotive del bambino assumono la funzione di regolare l’interazione 
oltre che quella di comunicare. Il linguaggio non fa ovviamente ancora parte di questa 
interazione, ma sembra essere presente un lessico espressivo-emotivo che trasmette a 
ciascun componente della diade informazioni sullo stato  emotivo interiore del partner, con 
il fine di regolare l’interazione. Così un segnale del bambino può comunicare alla madre, 
per esempio, l’accettazione dello stato attuale della relazione, così come il rifiuto o il 
tentativo di modificarla. 
Dal confronto tra il primo e il secondo episodio del paradigma (Cohn e Tronick, 1983), 
emergono differenze nella gestione della comunicazione da parte del bambino; nella fase di 
play le condotte comunicative sono basate sul controllo visivo della madre e un 
coinvolgimento mediamente positivo, mentre durante la fase di still si fondano su brevi 
orientamenti positivi verso la madre che velocemente evolvono in protesta e 
coinvolgimento negativo (espressioni di tristezza o rabbia, pianto, postura e gesti di 
protesta). 
Negli anni Novanta (Weinberg e Tronick, 1996) inizia a essere studiata anche la fase di 
reunion, durante la quale il bambino presenta una attività comunicativa contraddistinta da 
emozioni di interesse e gioia per il ripristino della comunicazione con la madre, miste a 
emozioni negative, quali rabbia, tristezza. Tale fenomeno, denominato effetto reunion, si 
configura come il trascinamento dall’episodio precedente di still al successivo di reunion 
di un coinvolgimento di segno negativo. BenchØ l’ultima fase della procedura è stata 
analizzata meno in letteratura, tale momento di ripristino dell’interazione può rivelarsi 
importante per gettare luce sui processi regolatori  affettivi e diadici presenti 
nell’interazione tra madre e bambino. 
Secondo Tronick e Cohn (1989) l’interazione diadica normale è contraddistinta da 
frequenti errori che determinano una mancata corrispondenza, che viene velocemente 
riparata, così che l’interazione passa continuamente da stati di coordinazione ad altri di 
mancata coordinazione. Durante la fase reunion, madre e bambino devono riparare 
l’interazione in seguito a un errore interattivo prolungato (la fase still). Il ricongiungimento 
pone quindi il bambino di fronte a un compito regolatorio affettivamente complesso: deve 
affrontare la ripresa del comportamento materno e, contemporaneamente, il trascinamento 
degli affetti negativi suscitati dall’episodio precedente.
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1.2 “Mutual Regulation Model”   
E’ interessante notare come i dati emersi dall’applicazione di tale paradigma siano stati 
oggetto di continua riflessione anche da parte dello stesso Tronick. Nel corso degli anni 
Ottanta, il ricercatore ha  interpretato i risultati delle sue ricerche in base alle competenze 
regolatorie messe in atto dal bambino a fronte dell’indisponibilità materna, rileggendo 
successivamente gli stessi dati comportamentali come processi di sintonizzazione, rottura 
della sintonizzazione e tentativi di ricostruire una nuova sintonizzazione. Tali concetti sono 
alla base del modello di regolazione reciproca (Mutual Regulation Model, MRM, 
Brazelton, 1982; Brazelton et al., 1974; Tronick, 1980, 1982). Una attenta osservazione, 
contenuta negli ultimi lavori (Tronick, 2004, 2008), ha portato infine Tronick a delineare le 
reazioni al volto immobile come frutto dell’impossibilità per il bambino di condividere ed 
espandere i suoi stati di coscienza con quelli della madre. Tale condizione rappresenta la 
normalità delle interazioni, in cui il bambino attraverso la condivisione è in grado di 
organizzare i suoi stati mentali attraverso un continuo processo di costruzione duale dei 
significati (meaning making). Dunque, ipotizza Tronick, il venire meno di tale processo di 
meaning making causa nel bambino vissuti di tristezza, comportamenti di ritiro e 
disorganizzazione derivanti da un sentimento di non esistenza (Tronick, 2008). 
 
Il modello di regolazione reciproca (Brazelton, 1982; Brazelton et al., 1974; Tronick, 1980, 
1982) si focalizza sull’unità diadica, mutuando la base concettuale della teoria dei sistemi 
(Von Bertanlaffy, 1969). Il bambino e la madre sono concettualizzati come due 
sottosistemi auto-organizzati che interagiscono tra di loro formando un sistema diadico di 
mutua regolazione. 
Tronick osserva come madre e bambino abbiano come obiettivo il raggiungimento di uno 
stato di regolazione reciproca, e dispongano di una gamma di comportamenti interattivi, 
innanzitutto manifestazioni affettive, per raggiungerlo (Gianino, Tronick, 1988). L’ipotesi 
fondamentale è che il bambino di pochi mesi possiede già competenze autoregolatorie, 
seppur parziali, tali da modulare le proprie emozioni in constante interazione con le 
modalità comunicative della madre. 
Dunque le risposte affettive del bambino hanno una importante funzione interpersonale, in 
quanto comunicano la valutazione che il bambino fa dell’interazione. Ciò conferisce al 
bambino un notevole potere comunicativo (Gianino, Tronick, 1988), a condizione che il 
partner sia sensibile e disposto a modificare il proprio comportamento in modo da farlo 
corrispondere alla sua interpretazione delle comunicazioni del bambino.
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Il modello di regolazione reciproca sostiene, ispirandosi ad alcune teorizzazioni di altri 
studiosi (Izard, 1978; Campos et al., 1983), che entro i primi sei mesi di vita il bambino sia 
in grado di esprimere almeno sette reazioni affettive primarie: gioia, interesse, tristezza, 
rabbia, paura, sorpresa e disagio. Tali emozioni riflettono un processo di valutazione 
specifico e diverso dal punto di vista qualitativo per ciascuna emozione. Infatti se il 
bambino valuta di aver raggiunto il suo obiettivo interattivo, ne deriverà uno stato emotivo 
positivo, caratterizzato da gioia o curiosità, che a sua volta motiverà il bambino a ulteriori 
coinvolgimenti. Quando invece la valutazione risulta negativa, il bambino sperimenterà 
emozioni di segno negativo: a seconda che il bambino giudichi l’ostacolo che gli si pone 
davanti come superabile o meno, esso reagirà rispettivamente con collera o con tristezza. 
Il concetto di reciprocità emerge, seppur con terminologie diverse, da una serie di ricerche 
condotte da Stern (1974), Brazelton e collaboratori (1974), Tronick, Als e Adamson (1978) 
e Beebe e Stern (1974). 
Lo stato di reciprocità, osservato attraverso l’impiego dello Still-Face, viene sovente 
turbato da imperfezioni comunicative, fino a una percentuale di non corrispondenza del 
70% osservata da uno studio su bambini di tre, sei e nove mesi (Cohn, Krafchuk, Rick et 
al., 1985). 
Il modello avanza l’ipotesi dell’esistenza di un normale stato di mismatch (Stern, 1977; 
Tronick, Als, Brazelton, 1980; Tronick, Krafchuk, Ricks et al.,1985; Fafouti-Milenkovic, 
Uzgiris, 1979), una mancanza di corrispondenza tra il proprio stato emotivo e quello del 
proprio partner interattivo che motiva il bambino ad adeguarsi ad esso o a impegnarsi per 
modificarlo. Tronick mette in evidenza l’importanza dei momenti in cui la diade recupera 
un’interazione di segno positivo, ancora piø determinanti, ai fini di un corretto sviluppo 
evolutivo, dell’intensità dei momenti di reciprocità. Scrivono a tale riguardo Tronick e 
Gianino (1988): 
“Pur confermando l’importanza della reciprocità, nel modello MRM si propone che la 
risoluzione positiva delle mancate corrispondenze sia ancora piø determinante, in quanto 
assolve a molteplici funzioni evolutive”. 
In tale senso gli autori distinguono le mancate corrispondenze ordinarie, ovvero proprie di 
una normale comunicazione diadica, dalle forme prolungate, esagerate e/o aberranti di 
stress interattivo, designate mediante l’acronimo PRESAS (prolonged, exaggerate and/or 
aberrant forms of interactive stress, Gianino,Tronick, 1988). Dunque secondo gli autori le 
prime favoriscono lo sviluppo in due modi: da un lato obbligano il bambino ad apprendere 
nuove competenze interattive che gli permettano di riparare la rottura dell’interazione,