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Partendo da una problematica molto vasta a livello territoriale ed essendo 
comunque esigue le risorse disponili, la strategia generale ha mirato a innescare 
un processo a catena in cui i benefici dal progetto, che è stato definito progetto 
pilota, potessero avere una ricaduta ed essere estesi ad altre famiglie dello stesso 
insediamento e in altri. Questo ha portato a scelte strategiche e operative precise, 
volte a massimizzare la replicabilità del progetto e il coinvolgimento di altri 
beneficiari. 
Il progetto ha coinvolto gli allievi dell’EFA e le rispettive famiglie 
residenti nell’insediamento Taquaral, e poi successivamente si è aperto anche ad 
altri insediamenti. 
Tali gruppi hanno lavorato su programmi di miglioramento di specifiche 
attività economico-rurali, studiati e messi a punto con la CPT, l’EMPAER e il 
DIVAPRA dell’Università di Torino. 
I ragazzi coinvolti sono stati formati in tecniche agricole nelle strutture 
statali dell’Escola Familia Agricola, e durante il progetto hanno avuto una 
formazione più pratica e volta alla realizzazione d’attività agricole nel loro 
appezzamento di terreno, tenendo conto delle condizioni agronomiche e delle 
possibilità locali d’intervento. 
Al mio arrivo a Corumbà le famiglie coinvolte nel progetto erano 19 e le 
attività svolte erano l’allevamento di bovini, caprini, ovini e la coltivazione di 
prodotti orticoli e di derivati della canna da zucchero. 
L’intervento è consistito nell’avviare attività d’allevamento o, dove tali 
attività erano già esistenti, nel migliorare le condizioni delle famiglie attraverso 
l’acquisto di bestiame, la costruzione di tettoie per garantire una migliore gestione 
sanitaria delle attività zootecniche, la costruzione d’abbeveratoi e riserve per 
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l’acqua, la produzione di colture foraggiere, varie e in tempi diversi dell’anno per 
garantire al bestiame un’alimentazione continua e diversificata, anche in periodi 
d’estrema siccità.   
Quindi, nel mio periodo di soggiorno a Corumbà mi sono occupata di 
effettuare una valutazione del progetto: cioè verificare se i beneficiari erano 
rimasti soddisfatti, e che tipo d’effetti aveva avuto nella collettività. Inoltre mi 
sono occupata di realizzare i questionari informativi dei destinatari di un ulteriore 
finanziamento, al fine di conoscere le reali esigenze delle famiglie, e quindi 
selezionare poi insieme alla CPT le famiglie beneficiarie. 
Ho conosciuto la realtà dei contadini dell’insediamento Taquaral attraverso 
il continuo contatto con le famiglie dell’insediamento nelle ripetute visite. Perciò 
l’esperienza non si è limitata solo alla partecipazione ad un progetto di sviluppo 
(chiamato PROASTA: Progetto Assentamento Taquaral); argomento della tesi è 
l’intero processo d’evoluzione che gli insediati hanno vissuto dall’inizio della 
lotta per la terra fino all’anno scorso, cercando di descriverlo nelle sue diverse 
tappe. 
In questo percorso ho incontrato molte difficoltà, dettate soprattutto dal 
timore di non essere chiara ed esaustiva nel presentare una realtà tanto diversa 
dalla nostra. 
Ora, ripensando alle difficoltà che quotidianamente i contadini devono 
affrontare, mi rendo conto di quanto i fattori climatici e quelli politico-istituzionali 
mettano in discussione il buon esito delle loro fatiche. Tanto più sono rimasta 
colpita dalla tenacia e dalla determinazione nel raggiungere il loro sogno. 
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Introduzione 
Il Brasile, un Paese grande quasi trenta volte l'Italia, esteso da oltre 
l'Equatore ad una latitudine corrispondente a quella della Sicilia e 
proporzionalmente vario per climi, ambienti, vegetazione, possibilità insediative, 
non si lascia certo costringere in una definizione sola. L'immensità è la sua 
caratteristica forse più ovvia. Cinquecento anni fa ebbe inizio il colonialismo, dal 
quale si venne a formare e consolidare una società iniqua, nella quale vige, oggi 
come ieri, una forte disparità tra poveri e ricchi. Tutto ciò proviene dalla 
concentrazione della proprietà terriera, basata sul modello di produzione agricola 
delle fazendas plantation, monocolture di caffè, canna da zucchero, cotone, cacao 
con allevamenti sterminati di bestiame, tutto destinato all’esportazione e 
servendosi di manodopera schiava. Naturalmente la distribuzione della terra 
genera una problematica molto presente nel territorio brasiliano: la nascita delle 
favelas ai margini delle grandi città.  
Per comprendere la formazione del Movimento Sem Terra, nel primo 
capitolo ho voluto delineare un inquadramento storico generale delle norme e 
istituzioni che si occupano della distribuzione della terra. Mi sono soffermata in 
modo particolare sulla cosiddetta “legge della terra”, che impedì agli ex-schiavi di 
divenire contadini. Anziché promuovere una giusta distribuzione delle immense 
proprietà disponibili, la legge impediva che si divenisse agricoltori se non si 
possedeva il denaro necessario per comprare il fondo dalla Corona portoghese. 
D’altra parte si stava sviluppando l’industria, che permise di trasformare le 
strutture economiche mantenendo la concentrazione della ricchezza, del reddito e 
della terra, con gli effetti perversi che da tale concentrazione derivano. 
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Con l’entrata in crisi di questo modello economico, nel corso degli anni 
Ottanta del secolo scorso, si formano diversi movimenti sociali sorti con 
l’obiettivo di contestarlo e combatterlo, col sogno di eliminare la povertà e la 
disuguaglianza. In questo quadro rientrano le sommosse popolari promosse dal 
MST, Movimento dei lavoratori rurali senza terra. Con quest’argomento si entra 
nel secondo capitolo della tesi che verte appunto intorno al MST. Questo viene 
presentato a livello nazionale, per sottolineare la forza e la capacità di esigere ed 
ottenere un cambiamento dalle autorità politiche, contribuendo a provocare la 
caduta della dittatura militare. In campo economico si ottenne il raggiungimento 
di risultati apprezzabili attraverso la conquista di molte terre che erano state 
privatizzate dal latifondo.  
Il movimento ha, infatti, l’obiettivo di riunire ed organizzare famiglie che 
non possiedono nulla e che, senza un pezzo di terra da coltivare, patirebbero la 
fame nelle favelas delle città, o emigrerebbero di continuo da una regione all’altra 
in cerca di fortuna.  
Il MST, innalzando il vessillo della riforma agraria, persegue due grandi 
mete: una redistribuzione della terra, accompagnata da tutte le garanzie necessarie 
per vivere degnamente, e la costruzione di una società nuova, che offra eguali 
condizioni di partenza, con l’eliminazione del latifondo ed il ritorno dei beni alla 
loro originaria destinazione. In altre parole, il Movimento esige una vera 
mutazione sociale, a livello politico, economico, culturale e religioso. 
La denominazione esatta del MST è ‘Movimento dei lavoratori rurali 
senza terra’, e non ‘dei contadini’, perché la parola ‘contadino’ viene usata dai 
latifondisti. L’uomo dei campi non definisce mai se stesso un contadino, ma 
piuttosto un agricoltore o, appunto, un lavoratore rurale. Pur tenendo presente tale 
 8
sostanziale rilievo, nel testo non farò distinzione tra i diversi termini. 
L’espressione ‘Movimento dei sem terra’, infine, è stata largamente 
diffusa dai media ed è oggi quella popolarmente adottata. 
La lotta per la terra richiama il desiderio di costruire una società solidale, 
una società che bandisca l’esclusione. L’unico cambiamento possibile viene dai 
poveri; attraverso una spinta dal basso a costringere chi sta in alto a modificare le 
cose. Solo il cammino ed il sudore dei miseri permetteranno di realizzare un vero 
progresso.  
Il Movimento, permettendo ai singoli di uscire dal loro isolamento e di 
contrapporsi collettivamente agli avversari, crea visibilità nei media ed esercita 
pressione sulle autorità perché passino dalle promesse ai fatti e realizzino la tanto 
agognata riforma agraria. 
La marcia è uno degli strumenti con i quali i senza terra hanno espresso le 
loro rivendicazioni, percorrendo distanze elevate e coinvolgendo così gran parte 
della popolazione brasiliana, che in questo modo poteva conoscere la loro causa, 
le loro motivazioni. Nella maggior parte dei casi vi fu un sostegno della 
popolazione ai senza terra, poiché camminavano senza cibo e senza acqua. 
Alla lotta per la riforma agraria si aggiungono gli scioperi degli operai. La 
richiesta era la medesima: condizioni di lavoro e di vita più eque. In questo 
quadro, negli ultimi venti anni, i movimenti per la terra hanno potuto portare 
avanti con forza le proprie richieste di giustizia. 
Nel pensiero del MST, è importante l’occupazione della terra per indurre 
l’opinione pubblica a discutere il grave problema della concentrazione fondiaria e 
spingere poi le autorità a promuovere un’efficace redistribuzione agraria. 
“È una forma di lotta pesante, che non permette a nessuno di starsene a 
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guardare, che obbliga tutti i settori della società a manifestare approvazione o 
contrarietà. E per il Movimento è fondamentale, perché crea unità tra i militanti”. 
È una dichiarazione di Joào Pedro Stédile, il quale è convinto che senza 
occupazione non c’è espropriazione, e che dove non agisce il MST gli interessi 
dei grandi fazenderos non vengono toccati. 
La base indispensabile di una buona riuscita dell’occupazione della terra è 
il legame tra le famiglie, consolidatosi nella convivenza in accampamento e in 
piazza. 
Le riunioni preparatorie all’azione vertono soprattutto sui contenuti e sul 
significato della legge di riforma agraria, perché ciascuno si faccia cosciente del 
proprio diritto e sappia che sta lottando per una causa legittima: si tratta di 
momenti altamente educativi. 
Identificato il proprietario del fondo incolto, e verificata la validità del suo 
possesso, nella gran parte dei casi ereditario, si cerca di capire quali siano il 
momento e la strategia più adatti per procedere all’occupazione. Ottenere il 
risultato desiderato non è sempre facile. 
L’area da occupare è selvaggia perché mai sfruttata dall’uomo, e perciò da 
lavorare ancor prima che possa accogliere il militante. Erbacce ed arbusti assai 
tenaci impediscono la possibilità di qualsiasi agio. Bisogna estirpare e dissodare 
prima di costruire. 
Quando i senza terra occupano un fondo, di rado riescono a lavorarvi 
tranquillamente. I magistrati possono emettere un ordine di sgombero forzato per 
violazione della proprietà privata, che la polizia s’incarica di rendere esecutivo. 
Per questo l’accampamento ha sempre un sapore di provvisorietà, fino a quando 
un altro giudice non stabilisce che l’area è stata acquisita dallo Stato ai fini della 
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riforma agraria, e quindi va espropriata. 
Il codice civile non si adatta facilmente ad un pensiero sociale in 
evoluzione. In tal modo, il problema dell’occupazione del latifondo viene ridotto a 
mera questione poliziesca. 
Così i senza terra si accampano all’esterno del fondo conteso. I membri del 
MST attendono che il procedimento giudiziario avviato dal proprietario si 
esaurisca. Loro torneranno ad occupare la terra, ed egli dovrà sporgere una nuova 
denuncia, per rimettere in movimento il magistrato. 
Ed intanto, a pezzi e bocconi, contrapponendosi la tenacia del Movimento 
a quella del ricco, si arriva all’acquisizione dell’area da parte dello Stato. Le 
famiglie vi si potranno finalmente insediare in via permanente, e mai più 
torneranno a rischiare quotidianamente la vita nella miseria della favela.  
Con le occupazioni, i senza terra diventano invasori della terra altrui, 
violano il diritto di proprietà privata. Si invoca il codice a protezione del 
privilegio latifondista. Inutile richiamarsi alla Costituzione, alla necessità di 
restituire al fondo una funzione sociale, ad una legge naturale che dà ragione a 
milioni di famiglie che non possiedono nulla: si vuole imporre la legge del più 
forte. 
Il movimento dei senza terra nacque nel Rio Grande del Sud, quando, in 
seguito ai fallimenti ottenuti durante le manifestazioni, i senza terra decisero che 
la miglior cosa per essere presi in considerazione era occupare le terre 
improduttive dei latifondisti. In breve tempo, il movimento si allargherà in tutto il 
territorio nazionale. L’attenzione sarà rivolta in particolare al MST nel Mato 
Grosso del Sud, dove le persone che daranno vita a questo movimento sono 
principalmente brasiguais, insieme a brasiliani. Questo Stato sarà oggetto di 
 11
diversi progetti di colonizzazione per la distribuzione della terra. Il territorio 
corumbaense, in particolare, sarà oggetto di progetti di colonizzazione. Uno di 
questi segue la direzione della strada statale che collega la città alla capitale dello 
Stato: sono stati realizzati tre insediamenti che prendono il nome di Albuquerque, 
Mato Grande e Urucum. Anche nell’area al confine con il territorio boliviano 
sono stati ottenuti da parte dei senza terra dei progetti di colonizzazione. Gli 
insediamenti prendono nome di Taquaral, Paiolzinho, Tamarineiro I, Tamarineiro 
II nord e sud.  
La tesi, che è il risultato di una borsa di studio finanziata dal Servizio 
Volontario Europeo, si concentrerà sull’insediamento Taquaral. 
Grazie a questa borsa ho trascorso undici mesi del 2002, da gennaio a 
dicembre, a Corumbà, occupandomi dei progetti finanziati da un gruppo di 
volontari, in rapporto di partneriato con la Commissione Pastorale della Terra, 
CPT. Ai progetti di finanziamento hanno partecipato un numero limitato di 
famiglie, che formavano nel momento della realizzazione quattro piccoli gruppi a 
cui veniva dato il nome Proasta (PROgetto di ASsentamento Taquaral), con un 
numero progressivo.  
Uno dei requisiti per accedere ai primi finanziamenti era l’iscrizione di un 
figlio all’Efa. Questo faceva sì che si potessero utilizzare nel lotto di terra del 
padre le conoscenze acquisite durante il periodo di studio trascorso nella scuola a 
Campo Grande, nei quindici giorni previsti. Fattori esterni trasformano poi 
quest’idea. Nell’ultimo gruppo di famiglie beneficiarie di un progetto, nei criteri 
non è compresa l’iscrizione di un figlio all’EFA. 
Nella tesi cercherò di far emergere i vari aspetti del cammino di lotta per 
giungere in quella terra ‘benedetta da Dio’, a partire dalla sofferenza condivisa nel 
 12
periodo dell’accampamento. Sarà proprio per questo che i giovani e donne 
avranno molta nostalgia di quel periodo.  
L’entusiasmo dei senza terra nel divenire beneficiari di un appezzamento 
di terreno, si scontra subito con le condizioni d’accoglienza non vantaggiose. 
Appunto per questo, la modifica delle condizioni di vita, la trasformazione 
richiede una complessiva modifica di atteggiamento che si rifletterà nelle relazioni 
interpersonali.  
La situazione generale che incontrano le famiglie quando entrano nell’area 
della fazenda, è che normalmente non trovano a disposizione case o strutture 
finite. Si svolge così un primo, veloce e faticoso lavoro di pulizia: tutti tagliano 
erba e radici preparando lo spazio che accoglierà le prime baracche di pali e teloni 
di plastica. Non vengono costruite subito abitazioni più solide: per alcuni giorni la 
situazione rimane incerta a causa delle possibili espulsioni da parte della polizia, o 
nel timore di incursioni di guardie pagate dal latifondista. Infatti, sin dal primo 
momento, è importantissima la sorveglianza che garantirà la sicurezza degli 
accampamenti. 
In questo difficile cammino di vita, i senza terra sono stati sostenuti dalla 
fede e dalla speranza. Così anche la religione, come gli insegnamenti e i valori 
tramandati, è tra i fattori stimolanti per la formazione di una coscienza sociale tra i 
pionieri della lotta per la terra.  
Le giornate di lotta trascorse insieme uniscono profondamente le persone. 
Quei momenti sono ancora presenti nelle loro menti, ma con l’assegnazione dei 
lotti le relazioni umane tra insediati si stanno riducendo ad alcuni momenti 
particolari. Una persona della famiglia deve sempre rimanere nel proprio lotto per 
custodirlo, visto che non c’è sicurezza a lasciare il capitale di bestiame e materiale 
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incustodito. Infatti, sono avvenuti più di una volta dei furti.  
Le riunioni generali degli accampati venivano svolte con l’obiettivo di 
mantenere viva l’unità nella lotta. In quei momenti vi era anche la presenza della 
CPT. Ancor oggi questa è attiva nel territorio del Taquaral, occupandosi del 
mantenimento dell’identità rurale attraverso momenti educativi trascorsi con gli 
insediati. 
La Chiesa, attraverso la Commissione Pastorale della Terra, e il 
CEDAMPO, centro di documentazione popolare che ha come scopo la 
sensibilizzazione alle problematiche sociali, sono presenti e partecipi della loro 
lotta. Inizialmente si trattava d’appoggi prettamente materiali, ma con il passare 
del tempo il rapporto si è trasformato in un aiuto rivolto alla formazione dei 
leaders, oltre che di sostegno nei momenti d’accampamento nella fazenda, esposti 
al rischio di repressione da parte delle forze di polizia.  
Ciò che emerge con insistenza è il concetto di ‘luta pela terra’. Una lotta 
sostenuta dai sem terra per far ottenere la possibilità di vivere dignitosamente. 
Ancora oggi la parola luta viene utilizzata nelle canzoni che animano i momenti 
comunitari, ‘a luta ainda està de pé’, e anche durante le conversazioni quotidiane. 
Gli insediati si domandano come va la lotta, cioè il lavoro. In altre conversazioni è 
evidente che le difficoltà non sono terminate e che le persone portano avanti i loro 
ideali, il loro sogno con la speranza di cambiare la loro vita. È una vita fatta della 
sofferenza di un lungo pellegrinare. Ciò che li aiuta è il sostegno della fede.  
La presenza della CPT nell’attuale realtà di Corumbà è ancora viva. 
Ovviamente il lavoro svolto è sempre quello di favorire la presa di coscienza e di 
rafforzare l’identità “dos trabalhadores rurais”. 
Naturalmente il lavoro va continuamente finalizzato all’utilizzazione delle 
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varie possibilità del territorio in vista di una vita qualitativamente migliore. In 
tutto questo acquista particolare importanza il compito dei leaders. La dura realtà 
li pone di fronte anche ad un ciclo naturale alterato dalle azioni irresponsabili di 
chi mirava esclusivamente ai propri interessi. 
I sem terra che giunsero nell’insediamento Taquaral sono i pionieri del 
MST nello stato del Mato Grosso del Sud. Sono essenzialmente famiglie 
numerose che, insieme, hanno vissuto i momenti dell’occupazione. Naturalmente 
si è verificata anche un’emigrazione d’alcuni giovani verso altre terre; ma la 
densità della popolazione è tale che in uno stesso appezzamento vivono spesso 
molte famiglie. 
Verrà presentato il concetto d’identità rurale, espresso da un gruppo di 
giovani con il quale la CPT ha svolto diversi momenti di riflessione. L’anno 
scorso la CPT ha utilizzato le sue energie per motivare e formare un gruppo di 
giovani, aiutandoli a sentirsi protagonisti del futuro dell’insediamento. Nelle 
parole dei giovani, emerge un confronto con la cultura cittadina e nello stesso 
tempo si esprime il cambiamento che stanno vivendo.  
In un primo momento i senza terra sostengono la ‘lotta per la terra’ come 
risposta alla necessità di far fronte al bisogno di cibo, poi come ricerca di libertà 
dalla dipendenza di un padrone, di un posto proprio dove vivere, abitare e 
lavorare. 
Ottenuta la terra, la lotta non finisce: si trasforma nel tempo in un desiderio 
di miglioramento delle loro condizioni di vita che si manifesta nella quotidianità, 
attraverso tutto il ciclo delle attività dos trabalhadores rurais. 
Un altro argomento della tesi è l’aspetto spirituale, grazie al quale si 
mantiene viva la loro lotta quotidiana. 
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Sin dal periodo dell’accampamento veniva celebrata la presenza di Dio nel 
loro cammino di conquista della terra, attraverso la messa ed il culto ecumenico. 
Anche nei momenti più difficili, ad esempio durante l’espulsione da una terra 
occupata, percepiscono il Dio dei poveri che dà coraggio e forza per continuare il 
cammino senza disperarsi.  
Sono persone assetate della Parola divina: vogliono leggere la Bibbia, e 
per questo la tengono sempre in casa. Per molti essa è compagna di viaggio nella 
conquista della terra. Ed è commovente vedere come riescano ad attualizzare 
continuamente, nella loro vita, il messaggio di Dio. Per i senza terra, la Scrittura 
diventa impegno quotidiano. 
Ciò che acquisisce maggior rilievo nella rivoluzione culturale imperniata 
sulla visione biblica, propugnata dall’MST, è la dimensione comunitaria della 
vita, la riscoperta e valorizzazione della terra quale madre di tutti i suoi abitanti, 
con lo sfruttamento razionale e l’uso equilibrato delle risorse che essa mette a 
disposizione, in modo da non intaccare la ciclicità del sistema naturale.  
Nel Movimento si riconosce come vero proprietario di ogni cosa il 
Signore, colui che dona al suo popolo i beni creati. Di conseguenza nessuno può 
proclamarsi esclusivo ed assoluto detentore di alcunché. Solo a Dio compete 
questo privilegio.  
Il latifondista, con la sua presa di posizione unilaterale, emargina e ricaccia 
dalla fazenda non solo migliaia di famiglie, ma Dio stesso. Appunto per questo la 
grande meta di vita autenticamente cristiana è l’impegno di restituire ai senza terra 
la loro dignità, liberandoli dalla schiavitù della miseria che li condanna a morire 
nelle favelas. Questa dignità può essere riacquistata con il sacrificio del giusto 
lavoro, sulla terra nuovamente donata ai poveri. Essi, con le loro famiglie, 
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riportano nei campi quel Dio che n’era stato escluso dalla prepotenza del ricco. 
Il Movimento ha creato poi una sua tipica animazione, che viene definita 
‘mistica’: canzoni e musica legate al suolo, rappresentazioni teatrali, poemi, 
bandiere, esprimono la volontà di camminare verso la conquista della terra. Tutto 
serve, specie quando la strada si fa dolorosa. Come ha affermato uno dei leader 
dell’MST, dopo una violenta carica della polizia che tentava di sgombrare un 
edificio occupato: “siamo oppressi, ma non tristi”. E subito l’assemblea, animata 
da canti e parole d’ordine, ha dissipato l’atmosfera pesante che si stava 
impadronendo di essa, aiutando a ricostruire una propria coscienza d’uomini e 
militanti. 
La mistica del Movimento e la pratica religiosa si avvicinano 
notevolmente: i senza terra hanno un proprio apparato liturgico per coagulare i 
propositi dei militanti attorno al progetto dell’MST. La mistica, con i suoi canti, 
gli slogan, diventa espressione di dignità ed, a sua volta, strumento di lotta: 
quando le cose si fanno difficili, da una parte abbiamo la vivacità dei senza terra, 
una resistenza rumorosa ma disciplinata, una richiesta consapevole e pacifica di 
giustizia, dall’altra la durezza e la violenza della polizia. Da un lato, chi può 
discutere, spiegare, razionalizzare, dall’altro chi conosce solo il metodo della 
forza.  Nello stesso tempo, la mistica continuerà ad essere un momento d’intensa 
condivisione e rafforzamento spirituale per gli insediati.  
Il faticoso lavoro nei campi viene aggravato dalle elevate temperature. Il 
clima è aspramente avverso al riscatto dei lavoratori, e appunto per questo molte 
famiglie si sono allontanate dai motti che sostengono il MST: lottare, resistere 
produrre per e nella terra conquistata. Inoltre, il clima crea difficoltà in tutto ciò 
che riguarda la lavorazione della terra.  
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Tra gli insediati si devono distinguere due categorie: una è quella dei 
lavoratori rurali, per i quali il lavoro agricolo non è solo una risorsa dalla quale 
trarre sostentamento, ma una ragione di vita, perché, dicono, senza di esso non ha 
senso vivere lì. In altri si nota invece un indebolimento culturale, per cui 
l’ambiente naturale nel quale vivono viene a poco a poco abbandonato, 
trasformandosi in un paesaggio desolato, senza alberi, ridotto dal continuo 
processo di disboscamento ad una specie di cimitero. Un altro aspetto di questa 
deculturazione è il desiderio di agi e comodità che si rivela con l’acquisto di 
prodotti fini al supermercato. Queste persone non sono più riconosciute dai loro 
compagni come lavoratori rurali, ma come ‘abitanti’ dell’insediamento.  
Il legame con la terra viene trasmesso però anche nell’ambito scolastico. 
Molto importanti erano le attività svolte coi piccoli accampati durante il periodo 
di lotta, nel quale il MST creava attività educative svolte da volontari. Ora 
all’interno della struttura scolastica ci sono due tipi d’atteggiamenti: 
indubbiamente in alcune persone rimane ancora forte e ancorato l’amore per la 
terra da trasmettere alle generazioni future, in altre invece si dà più attenzione 
all’aspetto formativo. 
Il mio approccio metodologico alla tesi ha tenuto in considerazione fattori 
innanzi tutto temporali, visto che sapevo di poter disporre d’undici mesi durante i 
quali venire a contatto con gli insediati, con la loro cultura, i loro ritmi di vita.  
Nei primi mesi, un fattore che condizionava la comunicazione con gli 
insediati era la conoscenza della loro lingua. Infatti, sono arrivata in Brasile senza 
saper esprimere una parola. Così in quel periodo la mia attenzione era rivolta 
soprattutto alla descrizione degli ambienti con cui venivo a contatto.