8 
  
Immaginiamo di avere  una conversazione faccia a faccia 
con un robot, di comprendere il suo linguaggio e di non 
dover fare alcuno sforzo nell’impartirgli un comando. Im-
maginiamo di chiedere alla nostra casa di accendere le luci 
o di aprire la porta agli ospiti o di chiacchierare amabil-
mente con la nostra automobile durante il tragitto casa-
lavoro.  
L’uomo ha sempre desiderato creare una macchina in gra-
do di comprendere perfettamente parole, sentimenti e 
atteggiamenti. Pensiamo ai racconti di Isaac Asimov o a 
film come “Intelligenza artificiale”, “Supercar” o “Eureka” 
dove i robot, le automobili e le case sono in grado di capi-
re parole, sentimenti e atteggiamenti umani. Da semplici 
strumenti di uso quotidiano diventano amici e aiutanti dei 
protagonisti.  
Tra fantascienza e realtà 
Comunicare con una macchina 
 è realmente possibile? 
L’obiettivo di questo elaborato è quello di capire come la tecnologia si sia evoluta nel 
tempo e come continuerà a farlo per assomigliare sempre più all’uomo. Si cercherà di 
capire come le macchine siano state modificate e migliorate per poter comunicare con i 
loro creatori e quali potranno essere i miglioramenti futuri e le aspettative di questo 
sforzo innovativo.  
Proveremo a rispondere a domande come: 
 Gli umani e le macchine possono realmente socializzare e come? 
 I robot possono relazionarsi tra di loro provando sentimenti umani? E se sì, quali 
saranno le conseguenze? Anche le macchine avranno diritti e saranno tutelati dalla 
legge? 
 Le macchine sono in grado di imparare come i bambini?
9 
Note 
 
1
 Ad esempio i telefonini ci 
permettono di comunicare 
con altre persone a km di 
distanza.  
2
 Human-computer interac-
tion. 
3
Qualificate come utenti.  
4
User-centered design. Lo 
scopo della disciplina è quello 
di far sì che gli utenti siano in 
grado di interagire con le 
macchine grazie al loro de-
sign e al modo in cui sono 
state progettate. 
1. Human Computer Interaction – HCI 
Iniziamo il nostro percor-
so spiegando il significato 
di interazione uomo-
computer (Fig. 1).  
L'interazione con le mac-
chine occupa gran parte 
della nostra vita quotidiana. Seb-
bene tendiamo ad associare alla 
parola "computer" un unico og-
getto, il classico Pc, ogni giorno 
interagiamo con decine di pro-
dotti che contengono un compu-
ter, ossia un microprocessore 
comandato da un software. 
Essi possono essere sempre più 
ricchi di funzioni, pensiamo ai 
telefonini, agli elettrodomestici, 
alle automobili, alle macchine 
fotografiche. Durante la nostra 
vita entriamo in contatto con una 
infinità di servizi regolati da pro-
grammi, come in aeroporto, negli 
ospedali, al cinema, o semplice-
mente a casa nostra. Questi soft-
ware modellano le interazioni 
con gli oggetti, ma allo stesso 
tempo con altre persone attra-
verso la loro mediazione
1
. 
L’interazione uomo-computer o 
uomo-macchina, in inglese HCI
2
 è 
una disciplina che studia l’intera-
zione tra le persone
3
 e i compu-
ter, per progettare e sviluppare 
sistemi interattivi usabili, affidabi-
li e che facilitino le attività uma-
ne.  Propone metodi per focaliz-
zare il progetto delle macchine 
sull’utente
4
: esse verranno co-
struite tenendo conto che verran-
no usate da esseri umani. Saran-
no necessarie conoscenze psico-
logiche e studi delle varie catego-
rie di persone che utilizzeranno il 
servizio, al fine di rendere la tec-
nologia semplice e utile. Per que-
sto motivo lo studio dell'intera-
zione copre aspetti di informati-
ca, psicologia, scienze cognitive, 
ergonomia, design, ed altre ma-
terie. La progettazione dovrà va-
lutare i possibili contesti d’uso, gli 
obiettivi e i bisogni degli utenti. 
Fig. 1 HCI 
Cenni storici 
La scheda perforata (Fig. 2), introdotta in ambito 
industriale tessile già nei primi del 1800, è consi-
derata un primo elemento di quella che per alcu-
ni corrisponde ad una vera e propria rivoluzione 
informatica. Fu Charles Babbage a creare il co-
siddetto motore analitico, da molti considerato
10 
l'antenato del calcolatore elettronico, che usava 
le schede perforate e il riporto automatico.  
Nel 1924 nasce l’ IBM e negli anni successivi 
macchine tabulatrici e a schede vennero intro-
dotti in ambienti professionali rivoluzionando 
molte imprese e anche il lavoro delle persone.  
Nel 1944 venne creato Mark 1, in grado di fare 
anche calcoli logarit-
mici, esponenziali e 
trigonometrici.  
La dimensione di questa macchina, e di quelle 
successive, costituisce la principale differenza di 
interazione con l'uomo rispetto ai computer 
attuali: l'utilizzatore aveva un rapporto total-
mente diverso con la macchina, che non era un 
oggetto da manipolare ma un laboratorio in cui 
accedere. Mark 1 pesava 5 t ed era meno poten-
te delle odierne calcolatrici tascabili.  
Nel 1946 entra in funzione l'ENIAC
5 
(Fig.3), il pri-
mo calcolatore digitale completamente a valvo-
le, dando inizio all'era elettronica. L'ENIAC era in 
grado di effettuare oltre 300 moltiplicazioni in 
un secondo,  possedeva 18.000 valvole e occu-
pava una superficie di 180 m². Una squadra di 
tecnici lavorava per diversi giorni per collegare 
manualmente i circuiti elettrici necessari per una 
determinata operazione.  
Già in quegli anni emergeva l'esigenza di formu-
lare tecniche di programmazione; le nuove mac-
chine vennero basate sul concetto di programma 
memorizzato, venivano registrati non solo i dati 
su cui lavorare, ma anche le istruzioni per il fun-
zionamento.  
Il calcolatore diventava un elaboratore capace di 
eseguire l'operazione aritmetica ad alta velocità 
e di elaborare qualsiasi tipo di informazione.  
Negli anni ’50 vennero introdotte memorie 
esterne ausiliarie come nastri, dischi e tamburi 
magnetici. In questo periodo il miglioramento 
delle macchine era legato prettamente all’incre-
mento di potenza e di memorizzazione dei dati: 
si è ancora troppo lontani dal rapporto cognitivo 
tra l'uomo e la macchina.  
 
Fig. 2 Scheda perforata 
Mark 1 pesava 5 t ed era meno potente delle odierne calcolatrici tascabili. 
Fig. 3 ENIAC
11 
Nel 1945 Vannevar Bush progettò il Memex, 
un'estensione della memoria umana, un conge-
gno in grado di registrare libri, archivi, comunica-
zioni, ecc... . Questo congegno era meccanizzato 
in modo da poter essere consultato con eccezio-
nale velocità e versatilità. Le intuizioni di Bush 
furono utilizzate successivamente da Ted Nelson 
e da coloro che divennero i precursori dell'iper-
testo e dello sviluppo delle banche dati relazio-
nali.  
J. C. R Licklider capì che il vero obiettivo del suo 
lavoro era quello di adattare i computer agli es-
seri umani, rendendo l’interazione più semplice 
e immediata. Man Computer Symbiosis
6
 racco-
glie le sue teorie sulla creazione di un sistema di 
supporto all'uomo semplice da usare per la ge-
stione delle attività cognitive, dei documenti e 
della memoria. 
A metà degli anni ‘50 un gruppo di esperti dell’ 
IBM sviluppava un linguaggio noto come FOR-
TRAN o “traduttore di formule” che sostituiva i 
numeri con delle lettere e dei simboli che ne 
esprimevano un significato. Con questo linguag-
gio l'uomo si esprimeva con parole come 
“moltiplica” e “calcola”, che l’elaboratore prov-
vedeva poi a trasformare automaticamente in 
linguaggio macchina.  
All’inizio degli anni ’60 erano già stati inventati 
linguaggi di programmazione che permettevano 
anche ad utenti meno esperti di utilizzare l’ela-
boratore, diminuendo la possibilità di errori e il 
tempo di preparazione della macchina. Inoltre 
vennero 
ideati pro-
grammi 
preconfe-
zionati 
capaci di 
risolvere 
problematiche comuni ad un certo modello di 
aziende. Esse dovevano completarli inserendo 
dati inerenti alla loro specifica applicazione. 
Introdotto il circuito integrato, nacque una nuo-
va generazione di computer più veloci e capaci di 
gestire programmi intercambiabili, periferiche e 
terminali. I programmi diventavano i protagoni-
sti: rispondevano su misura ad ogni tipo di pro-
blema. Non era più necessario progettare com-
puter adatti ad ogni singola problematica.  
Per aumentare l’efficienza della macchina ven-
nero creati i “sistemi operativi” che ne controlla-
vano il funzionamento senza l’intervento dell’o-
peratore. Nuovi linguaggi furono sviluppati te-
nendo conto dei concetti di multi-
programmazione e di time sharing, riuscendo ad 
elaborare più programmi contemporaneamente 
e a permettere a più utenti di collegarsi al termi-
nale simultaneamente. 
Il terminale fu un’importante innovazione per-
ché permetteva al singolo fruitore di relazionarsi 
con la macchina attraverso un monitor di lavoro 
personale, avvicinandosi all’interazione che si 
sarebbe affermata con la nascita dei personal 
computer.  
Note 
5
Electronic Numerical Integrator and 
computer 
6
Libro scritto da Licklider nel 1960.
12 
Da semplici macchine in grado di trasmettere e 
ricevere dati, i terminali divennero sempre più 
potenti e intelligenti, fino a svolgere operazioni 
aritmetiche e logiche, registrare e stampare dati.  
Soltanto negli anni ’70 venne inventato il primo 
chip programmabile, avvicinandosi alla nascita 
dei personal computer e ad un nuovo modo di 
pensare all’utente.  
Nell’evoluzione delle macchine, i fruitori hanno 
ricoperto diversi ruoli: si passa da esperti inge-
gneri e programmatori che costruivano sia 
l’hardware che 
il software, a 
individui sem-
pre meno con-
sapevoli delle 
procedure 
adottate dagli 
elaboratori per 
svolgere deter-
minate attività.   
L'introduzione 
dei programmi 
e dei linguaggi ha avuto un'influenza positiva 
sull'interazione con il computer, ma lo scopo dei 
miglioramenti non era di certo incentrato sull’u-
tente come, invece, accade oggi. L’obiettivo era 
quello di ottimizzare le prestazioni della macchi-
na potendo effettuare operazioni sempre più 
complesse in breve tempo.  
Negli anni ’70 l’impiegato amministrativo godeva 
di un posto di lavoro informatizzato, ma non an-
cora del tutto privo di problematiche comunica-
tive con il terminale. Iniziava, quindi, a risentire 
della situazione; nascevano i primi casi di com-
puter anxiety, una forma di stress provocata dal 
cambiamento radicale del modo di lavorare e 
della formazione insufficiente. 
Si comincia a parlare dell’ “utente”, destinatario 
di una tecnologia non più oggetto di lavoro, ma 
strumento per lavorare. Da 
questo momento si studiano 
miglioramenti 
atti a creare 
una nuova for-
ma di intera-
zione con il 
terminale, al 
fine di rendere 
più semplice e 
immediata la comunicazione. 
Oggi ogni tipo di tecnologia vie-
ne adattata ai bisogni e alle caratteristiche dei 
fruitori (Fig.4). 
Ciò che mancava era un approccio sistematico e 
scientifico alla questione del rapporto uomo-
artefatto e agli aspetti umani coinvolti  e non 
solo all'analisi delle applicazioni migliori per la 
produzione. 
Fig. 4 Design for 
Humans 
Sottolineano che è 
stata studiata una 
tecnologia 
incentrata sul 
fruitore, sulle sue 
Il principale obiettivo dell’HCI è l'usabilità...
13 
Oggi viviamo in una fase in cui la ricerca tecnolo-
gica prende in considerazione in maniera sempre 
crescente fattori cognitivi, emotivi, relazionali, 
semiotici, linguistici, del rapporto e della comu-
nicazione che si creano tra l'uomo e la macchina.  
Fu la seconda guerra mondiale la causa che fece 
incontrare per la prima volta ingegneri e psicolo-
gi: si necessitava di sistemi molto complessi facili 
da utilizzare in condizioni di pericolo e stress. Gli 
ingegneri cominciarono a prendere in considera-
zione il fattore umano, gli psicologi cercarono di 
adattare il modello concettuale del calcolatore al 
cervello umano, attraverso simulazioni di quanto 
avviene nella mente umana. 
Si cominciò a prendere in considerazione aspetti 
cognitivi, antropometrici e fisiologici, dell'intera-
zione dell'uomo con gli strumenti di lavoro. 
Si cercarono soluzioni per rappresentare le infor-
mazioni ottenute dall’elaboratore con display e 
dispositivi di output. Si adottarono font, dimen-
sioni dei caratteri, colori e spazi per rendere più 
piacevole la comunicazione con lo strumento. Si 
studiarono anche nuove tipologie di output e 
input. Inizialmente gli studi ergonomici in ambito 
informatico si limitarono ai rischi per la salute 
degli operatori, che potevano risentire di proble-
mi legati alla vista e alla cattiva postura adottata 
durante le ore di lavoro. A partire dagli anni ‘80 
nasce la Human Computer Interaction, un setto-
re dedicato al dialogo tra uomo e calcolatore. 
Nel 1982 si svolse la prima conferenza in 
“Human Factors And Computing Systems” negli 
Stati Uniti  e nel 1985 la prima edizione del con-
vegno CHI organizzato dall’ Association For Com-
puter Machinery. Negli ultimi anni il settore ha 
riscontrato un notevole interesse, consolidando 
il suo status di disciplina collegata sia alla Com-
puter Science sia alla psicologia cognitiva e all’er-
gonomia cognitiva. 
L’usabilità 
Il principale obiettivo dell’HCI è l'usabilità, ossia 
la misura con cui un prodotto può essere usato 
da specifici utenti, per raggiungere alcuni obietti-
vi con efficacia, efficienza e soddisfazione in un 
determinato contesto d'uso. L'usabilità è impor-
tante perché aumenta la produttività degli uten-
ti, aumenta la sicurezza, aumenta le vendite, si 
riducono i costi di addestramento e si riduce la 
necessità di sostegno degli utenti.  
Un concetto distinto è il concetto di accessibilità:  
il sistema, oltre ad essere utilizzabile, deve esse-
re anche accessibile. Se non si può accedere al 
sistema non lo si può nemmeno utilizzare.  
Donald Norman e le fasi nell’in-
terazione uomo-macchina 
Donald Norman è stato direttore del diparti-
mento di Psicologia e fondatore e direttore del 
Dipartimento di Scienze Cognitive presso l'Uni-
versità della California, San Diego. 
Attualmente insegna Psicologia, Scienze Cogniti-
ve e Informatica presso la North Western Uni-
versity. Ha raggiunto una fama mondiale per i 
suoi studi sulla memoria, l'attenzione e altri pro-
14 
cessi cognitivi, ed è considerato uno dei 
padri della moderna psicologia cognitivi-
sta. 
Per capire cos'è l’interazione uomo-
macchina e l'usabilità bisogna far riferi-
mento al modello di Norman che identi-
fica le sette fasi principali nell'interazio-
ne utente-oggetto (Fig.)5: 
 formulare l'obiettivo/scopo 
 formulare l'intenzione 
 specificare l'azione 
 eseguire l'azione 
 percepire lo stato del sistema 
 interpretare lo stato del sistema 
 valutare il risultato dell’azione rispetto all'o-
biettivo. 
Norman propone una teoria dell’azione con con-
seguenze dirette per il design. L’azione ha due 
aspetti principali, ossia quello di fare qualcosa 
(esecuzione) e quello di verificare gli effetti 
(valutazione)
 
. Ogni azione è definita da uno sco-
po iniziale che per essere raggiunto ha bisogno 
di un’azione nota che si chiama intenzione.  
L’esecuzione è composta da: 
 scopi; 
 intenzione ad agire in modo da realizzare lo 
scopo; 
 effettiva sequenza di azioni che progettiamo 
di eseguire; 
 esecuzione fisica della sequenza di azione. 
 
Stabilito un obiettivo, si trasforma l'intenzione in 
azio-
ne.  
La valutazione è composta da: 
 percezione dello stato del mondo; 
 interpretazione della percezione secondo le 
nostre aspettative; 
 valutazione delle interpretazioni in confron-
to alle aspettative precedenti. 
I sette stadi dell'azione descritti da Norman co-
stituiscono un modello approssimativo, non è 
una teoria psicologica completa, ma è molto 
utile per dare indicazioni al design. Gli scopi pos-
sono essere anche legati alle circostanze, non 
sono sempre pianificati. Ad esempio, uno stimo-
lo del mondo esterno può generare un'interpre-
tazione e un risultato che produce un nuovo sco-
po. La difficoltà consiste nel cogliere il rapporto 
tra le intenzioni e le interpretazioni mentali e tra 
le azioni e gli stati del mondo fisico. Norman par-
la di "golfi" che separano gli stati mentali degli 
stati fisici. La distanza fra le intenzioni e le azioni 
possibili è detta "Golfo dell'esecuzione". Il 
Fig. 5 Fasi di interazione uomo-oggetto