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Introduzione 
L’idea di raccontare il Teatro Valdoca nasce in primis dall’esigenza di approfondire il rapporto 
tra poesia e linguaggio scenico. Mariangela Gualtieri, una delle autrici oggi più note e lette in 
Italia, oltre a essere poetessa, ricopre il ruolo, dopo anni di attività in qualità di attrice, di 
drammaturga del Teatro Valdoca, compagnia che lei stessa fonda nel 1983 assieme al regista 
Cesare Ronconi. 
Questa tesi si propone di raccontare, nel primo capitolo, la storia di questa compagnia attraverso 
i suoi spettacoli. Dalla realtà di collettivo si arriva alla fondazione del Teatro Valdoca nel 1983, 
in un contesto assai fruttuoso: sono gli anni di Grotowski, di Eugenio Barba e di Peter Brook, 
e, in Italia, dell’affermazione in Nuova scena di Leo de Berardinis (1983), del Teatro delle Albe 
di Ravenna e della Societas Raffaello Sanzio a Cesena. Tutte queste realtà, insieme 
all’affermato Festival di Santarcangelo, influenzano fortemente il Teatro Valdoca, che inizia il 
suo percorso con spettacoli privi di testo come Lo spazio della quiete (1983). La ricerca, qui, è 
tutta improntata sul corpo, inteso come immagine, e sulla sua relazione con lo spazio.  
La parola della Gualtieri farà ingresso in scena solo nel 1991 con Antenata, alla luce del 
fondamentale incontro con il poeta Milo De Angelis. Da qui, si prosegue con l’incontro con il 
mito, in Parsifal (1999) e in Caino (2011), sino ai più recenti lavori che si focalizzano invece 
più direttamente sulla nostra attuale società, come Voce di tenebra azzurra (2014) e 
GIURAMENTI, trilogia tutt’ora in preparazione. 
Il secondo capitolo, a questo punto, tenta di indagare proprio la figura della Gualtieri, la sua 
poetica, le sue influenze letterarie, e la relazione tra la sua attività d’attrice e di scrittrice. Si 
procede, dunque, attraverso la descrizione e l’analisi delle sue raccolte poetiche più importanti 
e dei testi drammaturgici che hanno, nel corso degli anni, animato la scena. Di conseguenza, 
diventa fondamentale affrontare anche la questione del rapporto con la regia di Ronconi e 
l’incontro di due universi contrastanti ma indispensabili l’uno all’altro.  
Dai primi testi, la Gualtieri arriva poi all’attività del reading, che nel 2010 prende ufficialmente 
la dicitura di “rito sonoro”, a sottolineare il valore sacrale della parola, intesa come materia 
sonora appunto, in cui l’autrice, priva di connotazioni caratteristiche, dà voce e corpo alla sua 
parola scritta in scena. 
Punto centrale della sua ricerca è l’importanza della parola sacra, che giunge in dono da mondi 
lontani e forze superiori. Si fa spazio allora anche il rapporto tra umano e divino, tra umano e 
natura e tra quei due elementi opposti e complementari di luce e tenebra, di spirito apollineo e 
dionisiaco, di ordine e caos.
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Anche il silenzio, da abitare, ascoltare e contemplare è un fondamentale elemento della ricerca 
linguistica e scenica della Valdoca: in esso è racchiuso tutto il potere del suono, della parola e 
dei corpi. Questi ultimi, spesso imbrattati di colore denso o di trucco bianco, rosso e nero, 
applicato dallo stesso regista, sono indispensabili per soddisfare l’esigenza di Ronconi e 
Gualtieri: dare vita a un teatro privo di progettualità, narrazione o racconto, dove il corpo si 
rivela nell’hic et nunc.  
Infine, il terzo e ultimo capitolo, attraverso l’analisi della trilogia Paesaggio con fratello rotto 
(2005), l’apice di un percorso iniziato con Chioma nel 2000, si propone di coniugare l’attività 
poetica con la scena e l’impianto registico. In una prima fase, si analizza la trilogia nella sua 
interezza, a partire dal particolare contesto del Drodesera festival in cui sono state presentate 
due delle tre tappe di Paesaggio, fino alla scelta di un titolo tanto evocativo, dalle figure in 
scena, fino alla sfida che questo spettacolo si pone: provare a raccontare, nonostante la 
sofferenza che attanaglia il mondo, la gioia e il bene, attraverso un’istantanea della società 
occidentale. 
Segue dunque l’analisi dei tre atti che costituiscono l’intera trilogia e infine, come un filo rosso 
che tutto stringe e tutto lega, si evidenzia e analizza la relazione tra poesia e scena, partendo 
dall’esclusione della Gualtieri nella prima iniziale fase delle prove, fino alla sua inclusione (e 
insieme a lei anche quella del pensiero e della razionalità), che avviene solo quando le figure 
sono state ben identificate. 
Un grande affresco della nostra società che, attraverso il ricco linguaggio poetico, a volte focoso 
e agguerrito, a volte pacato e nostalgico, racconta la solitudine di ognuno di noi e il costante e 
vorticoso tentativo di abitare quel vuoto.
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Capitolo 1 
Il Teatro Valdoca, una storia attraverso gli spettacoli 
1.1 Da collettivo a Teatro Valdoca: storia di una nascita  
Il Collettivo Valdoca nasce a Cesena negli anni ’70 come gruppo di teatro e musica composto 
da Cesare Ronconi, Mariangela Gualtieri, Giovanni Carpano, Guglielmo Salvadori, Gianguido 
Palumbo e Luigi Mavacchia. Citiamo gli spettacoli realizzati dalla formazione: La ballata dei 
14 giorni di Masaniello (1978), Tre storie brevi (1979), Chiaroscuri, Concerto teatrale e 
Indicatori (1980), Tavole sinottiche (1981) e Tombola spettacolo (1981), Catalogo – Quattro 
pezzi di teatro da camera (1982).   
Lo scioglimento del collettivo avviene quando Ronconi e la Gualtieri, a differenza degli altri 
componenti del gruppo, iniziano ad avvertire la necessità di definirsi in qualità, rispettivamente, 
di regista e attrice, distinguendosi da una realtà culturale priva di mansioni specifiche. È dunque 
dal sodalizio dei due che, allo snodo con gli anni ottanta, nasce il Teatro Valdoca, che con scelta 
significativa non si definisce più “collettivo”. Il 1983 è la data d’inizio dell’attività della 
compagnia, segnata dalla rappresentazione a Modena del primo spettacolo Lo spazio della 
quiete (ripreso nell’aprile del 2009), una sorta di studio sulla percezione spazio-temporale 
attraverso le figure femminili di Mariangela Gualtieri e Paola Trombin.   
La compagnia si afferma in una regione, l’Emilia Romagna, ricca di realtà teatrali: dal Festival 
di Santarcangelo a Leo de Berardinis proprio allora acquisito da Nuova Scena (1983), dal Teatro 
delle Albe a Ravenna alla Societas Raffaello Sanzio anch’essa a Cesena. Sono anni fiorenti sia 
per quanto riguarda la scena italiana, in cui si affermano il talento di Carmelo Bene e le diverse 
realtà dei gruppi, sia a livello internazionale, con quelli che oggi definiamo a buon diritto gli 
innovatori della scena mondiale: Jerzy Grotowski, Eugenio Barba, il Living Theatre e Peter 
Brook. 
Già ai tempi del liceo, Ronconi e la Gualtieri frequentano il Ridotto di Cesena per assistere agli 
spettacoli del circuito Eti. Entrambi studiano architettura allo IUAV di Venezia ed è proprio 
negli anni dell’università che conoscono, nel 1978, in America, l’esperienza di Peter Shumann 
e del suo gruppo newyorkese Bread and Puppet, il lavoro di Bob Wilson, di Richard Foreman 
e dello Squat Theatre, appena approdato dall’Ungheria.  
Il momento di svolta della loro carriera arriva proprio in quel periodo, nel 1979, quando i due 
giovani artisti ricevono una borsa di studio in Polonia per approfondire il teatro polacco delle 
marionette. Ben presto però, i due riconoscono che il loro interesse verte altrove: sono entrambi 
alla ricerca di un teatro fatto di presenze corporee. Ecco che allora, a Cracovia, si confrontano
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con il lavoro di due pietre miliari del teatro mondiale, Tadeusz Kantor e Jerzy Grotowski. 
Assistono di nascosto alle prove de La classe morta nella sotterranea Galleria Krzysztofory di 
Cracovia, mentre, a Breslavia, partecipano al laboratorio Tree of People e presenziano ad 
Apocalypsis cum figuris.  
È difficile inserire la Valdoca sotto una bandiera ideologica e tanto più ricondurla alle tendenze 
del Terzo Teatro e del cosiddetto Teatro Postmoderno. Piuttosto, la coppia crea un linguaggio 
teatrale a sé, fatto di segni mimici, oggetti, gesti, presenze e suggestioni simboliche. Si cerca 
inoltre una realtà unitaria, dove ogni elemento viene trattato come se fosse parte di una totalità, 
senza bisogno di concatenare gli eventi: mentre la nostra cultura ci obbliga all’ordine, alla 
separazione e alla sequenza, il teatro Valdoca si propone di cogliere la realtà nella sua unità. 
Una ricerca incentrata sul corpo e sulla visione che, con l’ingresso dei versi della Gualtieri negli 
anni novanta, si fa profondamente in accordo con la parola. Nella resa degli spettacoli, colpisce 
soprattutto “quel loro apparire naturali come un cristallo e perfettamente artificiali, quel far 
accadere l’essere in scena come una rivelazione (…) che stupisce, inattesa e nello stesso tempo 
così antica da averla dimenticata”
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. 
1.2 La poetica della Valdoca: il teatro come rivelazione 
 
Cesare Ronconi concentra il suo lavoro, in primis, sul rifiuto della categoria di 
rappresentazione: l’obiettivo è inseguire il divenire e abbattere la narrazione: “la vera meta è 
non avere una meta, (…) il teatro è la distruzione del progetto”
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. 
Non c’è dunque alcune interesse nel narrare, bensì nel rivelare. È forse per questo che i primi 
due spettacoli della Valdoca, Lo spazio della quiete e Le radici dell’amore, così come il 
progetto speciale Rebus sono tutti privi di testo. Lo spettatore viene accolto da un’atmosfera 
rarefatta, attraversata da suoni minimali, flussi diurni e immagini precise. L’ispirazione 
figurativa, basata su pochi elementi formalizzati, dà vita dunque a spettacoli non recitati né 
danzati, privi di scenografia, che relativizzano l’attimo fino alla perdita del senso del tempo.  
L’obiettivo, dunque, diventa permettere a questo vuoto, a questa imperfezione di aderire a una 
figura interiore: quella del proprio “destino”. Perché questo sia possibile, però, Ronconi sente 
il bisogno di eliminare tutto ciò che è superfluo, l’elemento virtuosistico e decorativo: “Il mio 
                                                 
1
 Valentina Valentini, L’inatteso che appare, note sulla poetica del Teatro Valdoca in Teatro Valdoca, Emanuela 
Dallagiovanna (a cura di), Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ), 2003, p. 19 
 
2
 Ivi, p. 17