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Introduzione 
 
Con questo lavoro mi sono voluta concentrare su due dei fattori che permettono alle imprese 
di ottenere un certo vantaggio competitivo: l’innovazione e il Business model e la Value 
proposition. 
Nel primo capitolo ho innanzitutto analizzato il contesto aziendale e lo stile manageriale più 
propizi per la nascita di innovazioni e ho cercato di offrire una visione d’insieme sul tema, 
analizzando rischi e possibili soluzioni agli stessi. Mi sono poi soffermata sulle innovazioni 
di prodotto, su come queste possano portare un’azienda a differenziarsi dai concorrenti; sulle 
imprese pioniere e sui secondi entranti e sui relativi rischi e problemi. Ho cercato di 
esaminare le situazioni di mercato all’entrata di entrambi i soggetti, come le prime possono 
conservare il vantaggio posseduto e come i secondi possono introdurre sul mercato i propri 
prodotti riducendo il più possibile il vantaggio dei pionieri, e le condizioni che determinano 
l’accettazione dell’innovazione da parte del mercato. Il passo successivo è stato individuare 
le diverse forme di innovazione di prodotto: attraverso Lambin, Del Vecchio e Puccini, 
Henderson e Clark è stato possibile classificare numerosi tipi di innovazione tutti connessi 
tra loro, che hanno permesso di fare luce su un contesto tanto ampio, ricordando 
l’importanza del contesto sociale in cui i nuovi prodotti vengono lanciati. Lo step finale è 
stato esaminare le diverse milestones, le diverse fasi che portano ad un’innovazione di 
prodotto, dall’individuazione del nuovo prodotto al suo lancio commerciale. 
Nel secondo capitolo ho, inizialmente, cercato di fornire gli aspetti definitori di una tematica 
tanto attuale, come quella del Business model, costituiti da definizione e funzioni dello 
stesso. In seguito ho voluto fornire alcuni cenni storici per mettere in evidenza le fasi dello 
sviluppo della letteratura su tale argomento. Sono poi passata ad analizzare la relazione tra 
Business model e innovazione, sottolineando quanto le due aree tematiche siano 
strettamente connesse tra loro. Attraverso il Business Model Canvas, ho indagato sugli 
elementi che costituiscono un Business model, analizzandoli poi uno per volta, ad eccezione 
della Value proposition a cui ho dedicato un paragrafo a sé. L’ultimo studio sul Business 
model ha mirato ad individuare i punti di contatto tra lo stesso e la strategia, posti in 
evidenza dalla letteratura. Sono così arrivata a trattare della Value proposition, scrivendo del 
suo significato, degli elementi, individuati da Osterwalder e Pigneur, che possono 
contribuire alla creazione di valore per i clienti, e il ruolo fondamentale che l’ICT ha svolto 
nel rendere più efficace ed efficiente la stessa creazione e consegna di valore. Ho poi
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concluso tale argomento considerando il ruolo che la Value proposition svolge anche in 
tema di reclutamento. Infine, mi sono concentrata sulla Customer relationship mangement, 
come una delle leve attraverso cui creare valore per i clienti: partendo dalla definizione dello 
scopo, sono giunta ad enunciare le caratteristiche strutturali e le condizioni necessarie per 
una Customer relationship efficace e come quest’ultima sia fortemente subordinata alla 
strategia e al sistema di Information technology. 
Il terzo capitolo è interamente dedicato al caso Apple, leader mondiale nel settore 
informatico. Dopo qualche cenno storico necessario per introdurre l’azienda, ho focalizzato 
l’attenzione sul ruolo strategico dell’innovazione in Apple: innovazione non solo della 
tecnologia, ma anche del design, affinché possa essere più piacevole e accessibile l’uso dei 
nuovi prodotti. Ho ritenuto importante sottolineare spesso il ruolo svolto da Steve Jobs nel 
portare all’apice del successo l’azienda, poiché è chiaro a tutti che, senza “l’uomo che ha 
cambiato il mondo”, Apple non sarebbe esistita. Ho voluto evidenziare come i suoi prodotti 
rispondessero, innanzitutto, ai suoi bisogni; come sia riuscito a far innamorare la gente dei 
suoi prodotti; come abbia reso la vita di tutti più semplice; come sia sempre riuscito a 
trasmettere perfettamente la sua idea del nuovo prodotto del momento. Ho esaminato le 
principali innovazioni introdotte da Apple, come il supporto software del prodotto, lo 
sviluppo parallelo di software e hardware e l’ottimizzazione del primo sul secondo. 
D’obbligo è stato concentrarsi sul concetto di user friendly, di semplicità, di intuitività, e di 
perfezionismo e attenzione ai dettagli, che hanno reso i prodotti e le esperienze Apple i più 
semplici, lineari e perfetti di tutti i tempi. La tappa successiva è stata capire come l’azienda 
creasse valore per i clienti, attraverso la descrizione dei processi che hanno portato alla 
creazione dei prodotti più conosciuti al mondo e di quanto i clienti stessi siano disposti a 
spendere per un prodotto Apple. Infine, non ho potuto non dedicare spazio allo stile di 
comunicazione di Steve Jobs: ho messo in luce come le sue presentazioni fossero essenziali 
ma assolutamente efficaci, come fossero costantemente dominate da colpi di scena geniali, 
in grado di portare milioni di persone ad acquistare il suo prodotto in solo 24 ore; come i 
suoi Apple Store siano un’esperienza unica nel mercato e rispondano sempre al principio 
della semplicità e della perfezione. Tutto questo «perché solo coloro che sono abbastanza 
folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero» (Mahatma Gandhi, spot 
Apple).
Capitolo 1: Innovazione 
 
«L’innovazione di prodotto e di processo, la gestione delle attività di R&S e lo sviluppo 
organizzativo si pongono al centro della strategia di impresa, soprattutto nei settori più 
dinamici dell’economia. In essi la possibilità di creare valore risiede nella volontà e 
capacità del gruppo imprenditoriale di proporre ed attuare in modo sistematico 
trasformazioni strutturali atte a ricostituire, con l’innovazione dei prodotti e dei 
processi, le posizioni di vantaggio competitivo, erose dai cambiamenti della domanda e 
dall’azione aggressiva della concorrenza.» (Dringoli, 2007) 
 
 
1.1 Background dell’innovazione 
In un mondo come quello attuale in cui è sempre più difficile riuscire a battere la 
concorrenza, le decisioni d’innovazione, seppur complesse e rischiose, sono di vitale 
importanza per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’ impresa. 
L’innovazione è uno dei fattori chiave che permette di stabilire un vantaggio 
competitivo durevole; infatti una vera innovazione è rappresentata da un prodotto, un 
servizio o un concetto che fornisca una soluzione nuova ai problemi del consumatore, 
sia migliorando le soluzioni esistenti proposte dai concorrenti, sia aggiungendo una 
funzione nuova o diversa (Lambin, 2007). I rischi ad essa associati sono, dunque, di due 
tipi (Lambin, 2007): 
 il rischio di mercato, ovvero il grado di originalità e di complessità del concetto, 
che definirà la ricettività del mercato e i costi di trasferimento a carico dello 
utente; 
 il rischio tecnologico, ovvero il grado d’innovazione tecnologica legato al nuovo 
concetto, che definirà la fattibilità tecnica dell’ innovazione. 
Un’impresa può innovare in ogni campo possibile: da quello del prodotto a quello delle 
materie prime, da quello della tecnologia di prodotto a quello della pubblicità e della 
promozione, da quello della distribuzione a quello della finanza, e così via. 
Ogni volta che un’impresa realizza qualcosa di nuovo, qualsiasi attività che non sia mai 
stata realizzata precedentemente da parte dei suoi concorrenti, pone in essere un’ attività 
innovativa (Corno, 1989). Tuttavia le innovazioni sono apprezzabili solo quando sono 
tese a preservare o a migliorare il potere competitivo aziendale, e «non quando sono
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Io 
Tu 
Entrambi 
Noi 
spinte dal semplice gusto di cambiare le cose» (Corno,1989). Un’innovazione può 
quindi dirsi strategica solo se comporta una nuova e migliore combinazione di valore e 
costi; se questa nuova combinazione si dimostra addirittura migliore di quelle realizzate 
dai concorrenti, si parla allora di innovazione di business. 
Elemento da non trascurare nel processo di innovazione è il contesto aziendale in cui ci 
si trova e lo stile di management del leader, cioè la capacità da parte di chi “gestisce” 
persone di mettere in atto, in modo appropriato alla situazione, comportamenti di guida, 
di regolazione e di stimolo (Del Vecchio e Puccini, 2005). Il leader deve saper creare un 
ambiente organizzativo e motivazionale tale da promuovere e favorire il cambiamento, 
vissuto non come minaccia ma come opportunità di crescita. Spesso si ritiene che sia 
solo un livello retributivo più elevato a rendere un team ben motivato, ma questo, da 
solo, non è sufficiente; i valori base che il leader deve trasmettere per stimolare ed 
incentivare sono: 
 la cultura del cambiamento continuo; 
 il diritto di provare e sbagliare; 
 avere una visione di alto livello; 
 liberare la creatività secondo le potenzialità di ciascuno; 
 dare fiducia e condividerla tra tutti nel team. 
Esistono tre tipi di stile manageriale (Del Vecchio e Puccini, 2005): 
 
Fig. 1 – Stile manageriale 
 
ACCENTRATORE      CONSOCIATIVO      INTERDIPENDENTE 
 
 
 
 
 
 
Fonte: Del Vecchio – Puccini, 2005, p. 132 
 
Il primo stile, il peggiore, è caratterizzato da una netta separazione tra la persona del 
leader e i componenti del team: i poteri, le decisioni e le responsabilità sono accentrate
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nelle mani del leader. Questo può essere causa di reazioni da parte del gruppo, il quale 
si vede smorzare la propria creatività in un ambiente poco stimolante. 
Il secondo stile è contraddistinto da una buona collaborazione e comunicazione, ma è 
uno stile che potrebbe provocare gelosie e competizioni, creando così continue 
polemiche e un rendimento non ottimale. 
Il terzo stile, il migliore, mette insieme i talenti individuali, porta maturità ed 
entusiasmo nel gruppo, diffonde fiducia, produce concordia, liberà la creatività 
necessaria; vi è qui un manager dalla capacità di fornire un supporto continuo alla 
squadra e di creare un ambiente in cui la comunicazione tra le persone è trasparente. 
Questo approccio garantisce risultati positivi a tutta l’azienda, in quanto si ha la 
possibilità di migliorare la gestione e la crescita dei singoli e di condividere conoscenze 
e competenze. 
 
1.1.1 Le barriere all’imitazione: condizioni per un vantaggio competitivo durevole 
L’innovazione necessita di protezione da eventuali imitazioni da parte dei concorrenti. I 
tipi di ostacoli all’imitazione che possono rendere durevole il vantaggio competitivo 
sono (Dringoli, 2007): 
 i diritti di proprietà: nel caso di conoscenze brevettabili si può costituire una 
tutela giuridica di tali diritti con pesanti sanzioni per chi li viola. Anche risorse e 
conoscenze non brevettabili possono costituire efficaci barriere all’entrata: basti 
pensare all’immagine, alla reputazione, al know-how, risorse non tutelabili in 
maniera forte ma difficili da replicare, poiché specifiche dell’impresa; 
 diseconomie nelle tecniche di produzione: l’imitazione dei prodotti è ostacolata 
dai lunghi tempi necessari per la loro messa a punto e dal conseguente rischio di 
arrivare sul mercato quando le condizioni non sono più favorevoli; 
 la deterrenza all’imitazione: minaccia di azioni di rappresaglia che le imprese 
imitate possono attuare con rilevanti danni per l’imitatore; 
 la complementarietà delle risorse: un sistema di interrelazioni forti tra le risorse 
limita l’imitazione, perché essa da sola non è in grado di riprodurre le condizioni 
di vantaggio competitivo; 
 ambiguità causale: difficoltà a capire quali sono veramente i fattori che contano 
nel determinare il vantaggio competitivo; un’azione di mascheramento da parte 
dell’impresa di successo che gode del vantaggio competitivo provoca