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1.2. Modelli di musicoterapia  
Quando parliamo di musicoterapia non possiamo riferirci ad un solo modello 
poiché esistono differenti modelli di musicoterapia, ciascuno con principi 
teorici, finalità, indicazioni e controindicazioni, procedure e tecniche 
metodologiche, linee guida per la relazione dentro la pratica, aspettative del 
processo, requisiti formativi e competenze (Bruscia, 1987).   
Ad un livello generale, esistono due principali modalità della musicoterapia 
che sono la musicoterapia attiva e passiva. La musicoterapia attiva si riferisce 
a un cliente che partecipa attivamente ad attività musicali terapeutiche, come 
suonare uno strumento musicale, cantare, comporre musica e testi e 
discutere pensieri e sentimenti suscitati dalle attività per raggiungere gli 
obiettivi del trattamento. La musicoterapia attiva include più attività durante il 
processo di trattamento e può anche essere chiamata musicoterapia di 
iniziativa. La musicoterapia passiva si riferisce invece all'ascolto e 
all'apprezzamento della musica per stimolare i sensi e raggiungere gli obiettivi
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del trattamento. Poiché l'ascolto passivo della musica si verifica più 
frequentemente durante il trattamento, la musicoterapia passiva è anche 
chiamata musicoterapia ricettiva (Yu ‐ Shiun Chang et al., 2015). 
Nello specifico invece, esistono di cinque modelli clinici validati nel 1999 dalla 
World Federation of Music Therapy (WFMT) in cui ciò che cambia è la visione 
del ruolo del terapeuta, la relazione clinica tra terapeuta e paziente e la 
funzione che la musica può assumere nei diversi approcci terapeutici.  
 
1.2.1. Il modello Benenzon 
Il modello di Benenzon è stato progettato nel 1969 da Rolando Benenzon, 
Medico Psichiatra della facoltà di Medicina dell’Università di Buenos Aires e si 
rivolge per lo più a pazienti che presentano difficoltà nella comunicazione e 
nella relazione. Lo scopo di questo approccio è quello di migliorare la qualità 
della vita e la comunicazione per produrre dei cambiamenti e miglioramenti di 
tipo sociale, educativo e culturale nei pazienti (Benenzon, 2007). Il pensiero 
psicoanalitico con i suoi presupposti teorici relativi alla pratica clinica e della 
formazione didattica è senza dubbio il punto di partenza di questa teoria 
(Wagner, 2007). All’interno di questa concezione Benenzon (2007) ritiene 
pertanto la musicoterapia come tecnica psicoterapica non verbale e il 
musicoterapista viene considerato uno psicoterapeuta che aiuta gli individui a 
rivivere esperienze passate tramite tecniche come il suono, la musica, il 
silenzio, le pause (Benenzon, 2007). I tre aspetti principali di questa teoria 
sono rappresentati dall’Identità Sonora (ISO), dal setting e dal Gruppo 
Operativo Strumentale (GOS). L’ISO è inteso come il vissuto sonoro di ogni 
individuo, la cui caratteristica principale è quella di essere un’esperienza 
sonora che le persone hanno memorizzato e consolidato nel corso della loro 
esistenza. Successivamente troviamo il setting, che in questo modello deve 
avere dimensioni sufficientemente grandi da permettere il movimento, senza 
però creare senso di dispersione, avere una limitata quantità di stimoli che 
possano distogliere l’attenzione dalla seduta e sufficientemente isolato da 
suoni esterni. Ed infine il G.O.S (Gruppo Operativo Strumentale) ovvero tutti 
gli strumenti sonoro-musicali utilizzati dal musicoterapista all’interno della 
seduta per comunicare con il paziente.  
Ciascuna seduta infine è costituita da tre diverse fasi: l’osservazione, le 
associazioni di tipo corporeo sonoro e l’isolamento riflessivo - attivo 
(Benenzon, 1997).
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1.2.2. La Musicoterapia creativa di Paul Nordoff e Clive Robbins 
La Nordoff-Robbins Music Therapy (NRMT) viene definita dal Nordoff-Robbins 
Center for Music Therapy dell’Università di New York come: “L'approccio 
basato sulla convinzione che esista una musicalità innata che risiede in ogni 
essere umano che può essere attivato al servizio della crescita e dello sviluppo 
personale. Questo potenziale auto-attualizzante è più efficacemente 
risvegliato attraverso l'uso dell'improvvisazione musicale in cui la creatività 
innata dell'individuo viene utilizzata per superare le difficoltà emotive, fisiche 
e cognitive. In questa forma di co-creazione, i clienti assumono un ruolo 
attivo nella creazione di musica insieme ai loro terapisti su una varietà di 
standard e strumenti specializzati. Perché gli strumenti possono essere scelti 
che sono espressivamente gratificanti ma non richiedono competenze 
particolari per suonare, non è richiesta alcuna esperienza o formazione 
musicale precedente di clienti” (Youngshin, 2005). 
Questo modello è nato dal lavoro svolto da Paul Nordoff, pianista e 
compositore, e Clive Robbins, educatore, con bambini affetti da disturbi lievi e 
gravi di apprendimento, tra cui la sindrome di Down, da autismo, da disabilità 
psico-fisiche e da disturbi dell’udito (Youngshin, 2005). Lo scopo del loro 
lavoro fu quello di trovare il modo di dare ai bambini l'accesso diretto 
all’esperienza musicale e studiare esattamente come il gioco dei bambini 
rivelasse qualcosa su sé stessi e sulla possibilità di una "terapia fondata sulla 
musica" (Ansdell, Pavlicevic, 2010). Anche se Nordoff e Robbins non vedevano 
la NRMT come una forma di psicoterapia, un gran numero di musicoterapisti 
ha integrato la pratica della NR con la psicoterapia musicale.  
In questo approccio, il primo compito del terapeuta è entrare in contatto con 
ogni cliente attraverso un incontro musicale. Inoltre, una componente 
essenziale è scoprire e connettersi con l'essenza o lo spirito dell'altro. Una 
volta eseguito questo compito, si inizierà a vedere il mondo attraverso gli 
occhi del paziente (Jacqueline, Birnbaum, 2014). 
 
1.2.3. La musicoterapia analiticamente orientata di Mary Priestley 
La Musicoterapia Analitica è l’uso simbolico della musica improvvisata dal 
musicoterapeuta e dal cliente per esplorare la vita interiore del cliente e 
offrire uno stimolo alla crescita. Non è una lezione di musica, né di 
psicoanalisi, o una terapia magica che mette il terapeuta o il paziente in 
condizione di superare tutti i problemi; è piuttosto una forma di trattamento 
come qualsiasi altra con i propri limiti e controindicazioni (Priestley, 1980).
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Questo modello, è fondato sull’improvvisazione attraverso l’uso delle parole e 
della musica, ha come scopo primario quello di esplorare la vita interiore del 
paziente in modo tale da indurlo ad un percorso di crescita personale. 
Fortemente ispirato dalla letteratura psicoanalitica, dai modelli formativi e dai 
concetti di Sigmund Freud, Carl Jung e Melanie Klein (Scheiby, 2018), questo 
approccio viene utilizzato come rinforzo o come stimolo per aumentare o 
modificare comportamenti adattivi o eliminare comportamenti distorti 
(Mantovani, 2020). Il metodo inizialmente fu ideato per i soli adulti, in 
particolare pazienti psichiatrici con problemi di depressione, isteria, nevrosi, 
psicosi e disturbo borderline di personalità, ma successivamente è stato poi 
esteso anche ai bambini.  
 
1.2.4. La musicoterapia comportamentale di Clifford Madsen  
La Behavioral Music Therapy (BMT) è stata ideata da Clifford Madsen, 
professore di musica negli Stati Uniti. L'approccio comportamentale alla 
musicoterapia si basa sull’applicazione scientifica della musica per raggiungere 
obiettivi terapeutici, indipendentemente dal fatto che siano comportamentali, 
evolutivo o medici (Madsen, 1968). Questo modello è stato definito da Bruscia 
come: “L’uso della musica come rinforzo contingente o stimolo di 
suggerimento indirizzato ad aumentare o modificare i comportamenti di 
adattamento e ad eliminare i comportamenti non adattivi” (Bruscia, 1993). 
A questo proposito, l’elemento sonoro è usato con lo scopo di modificare il 
comportamento e ridurre i sintomi della patologia e per esplorare le cause del 
comportamento. 
 
1.2.5. La musicoterapia recettiva di Helen Bonny  
La Guided Imagery and Music (GIM) è stata sviluppata negli anni '70 da Helen 
Bonny, una musicoterapista che lavora negli Stati Uniti.  
In questo modello il cliente è incoraggiato a rilassarsi e, mentre viene 
ascoltata musica classica, gli viene chiesto di far emergere immagini relative a 
tematiche personali.  
Questo modello si utilizza principalmente con le patologie depressive e gli stati 
d’ansia, in particolar modo quella relativa a situazioni di abuso (Bonny, 1986). 
La terapia GIM utilizza principalmente musica classica come Beethoven, 
Brahms, Debussy, Mozart, Rachmaninov e Vivaldi e la musica scelta deve 
essere legata alla situazione emotiva del cliente e corrispondere all'umore del 
paziente.
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Ciascuna sessione del metodo GIM è strutturata cinque differenti fasi e ha una 
durata di 35-45 minuti circa.  La fase iniziale prevede una raccolta 
anamnestica, durante la quale il terapista valuta l'umore e il livello di energia 
del cliente e seleziona il programma musicale per la sessione. 
Successivamente, il terapista offre suggerimenti per rilassare il corpo e 
focalizzare la mente in preparazione per la musica. Una volta che la musica 
inizia, il cliente condivide con il musicoterapeuta le sensazioni, le immagini e 
le emozioni che sta provando. Infine, il terapeuta facilita il ritorno alla 
coscienza di veglia e il cliente e il terapeuta riesaminano la sessione insieme.  
Inoltre, la musicoterapia recettiva si differenzia dal semplice ascolto musicale 
perché vengono tenuti in considerazione i bisogni specifici del paziente e la 
sua condizione generale, fisica, cognitiva, psicologica e spirituale. 
Concludendo, il metodo GIM è stato utilizzato con successo per trattare 
individui con una varietà di diagnosi come per esempio persone con disturbo 
di personalità multipla, disturbo da stress post-traumatico, doppia diagnosi di 
depressione e abuso di sostanze, sindrome da immunodeficienza acquisita, 
pazienti oncologici, donne incinte sono stati trattati con successo con questo 
metodo (McKinney et al., 1997).  
 
1.2.6.  La valutazione della musicoterapia 
Entrando nello specifico della clinica, la necessità di dover valutare la pratica 
musicoterapeutica ha portato alla creazione di resoconti di casi clinici. Questa 
metodologia, secondo Lorenzetti e Suivini (2010), si è rivelata utile ma anche 
insufficiente per produrre una verifica clinica esauriente.  
Va precisato che dalla valutazione emergono diversi elementi utili alla pratica 
clinica come: il profilo musicoterapico di ciascuno, la sua modificabilità, il 
setting spazio-temporale più idoneo, le dinamiche relazionali sonoro-musicale 
e non verbali. Inoltre, al termine della valutazione il terapeuta stabilisce gli 
obiettivi del trattamento, le modalità più adatte per raggiungerli e la tipologia 
di seduta (Fazzi et al., 2011). 
Infine, per rendere esaustiva la ricerca musicoterapeutica, è importante 
sottolineare come i vari processi che si instaurano nella pratica e gli esiti che 
si producono, possano emergere tramite indicatori misurabili e rilevabili.  
 
1.2.7. Procedure di valutazione  
Il cambiamento a livello generale riferito dal paziente, secondo Lorenzetti e 
Suivini (2010), è un elemento molto importante per andare a misurare gli
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effetti prodotti dal trattamento. Una prima forma di misurazione della partica 
musicoterapica è rappresentata dalla somministrazione di questionari al 
paziente, in fasi successive al trattamento, per valutarne gli effetti. Una valida 
alternativa per la valutazione di questo metodo può essere quella di far 
compilare al paziente “diario del trattamento terapeutico”, dove è il nostro 
paziente che riportare i suoi pensieri, sentimenti e comportamenti riguardanti 
la terapia (Bitti, 2001).  
L’utilità di questo strumento è quella di verificare la reale efficacia del 
trattamento e, nel caso non lo fosse, dare utili informazioni al clinico per 
capire come modificarla sulla base delle esigenze personali. Proprio per questo 
motivo è estremamente utile compilarla in modo dettagliato, senza trascurare 
nessuna informazione (Gentili, Fanelli, 2012).  
Altra alternativa è invece rappresentata dai test di personalità. A livello 
generale, possiamo infine distinguere le valutazioni effettuate da osservatori 
“non professionisti” come familiari, educatori, operatori sociali e sanitari 
oppure “esperti” che lavorano invece tramite un’osservazione clinica (Bitti, 
2001). 
 
1.2.8. La valutazione della regolazione emozionale in musicoterapia  
Nella seduta di musicoterapia vengono evocate, elaborate, espresse e 
comunicate emozioni. Per questo motivo è necessario andare a valutare il 
modo attraverso il quale viene espresso il processo di regolazione emozionale 
definito da Gross (1988) come: “un processo tramite cui gli individui 
influenzano le proprie emozioni, il momento in cui provarle e il modo in cui 
farne esperienza ed esprimerle”. 
Nella pratica musicoterapica la regolazione emozionale può essere misurata 
effettuando analisi sulle forme di esteriorizzazione emotiva, nello specifico 
quella spontanea non verbale.  In questo frangente i metodi analitici che 
misurano le diverse componenti cinesiche di una particolare emozione e 
permettono il confronto tra le varie espressioni facciali della stessa emozione 
per valutare la similarità oppure la discordanza di alcuni movimenti mimici 
(D’urso, Trentin, 2006) si sono rilevati uno strumento più efficace, rispetto a 
quello del giudizio, per andare a misurare le espressioni facciali delle 
emozioni. . Fra i metodi analitici, il più noto è il FACS (Facial Action Coding 
System) realizzato da Ekman e Friesen (1978) che valuta, in modo puramente 
descrittivo, i movimenti delle espressioni facciali in relazione alle emozioni.