15	
1.3 Il Codice di Hammurabi 
Il più noto dei sovrani di Babilonia fu Hammurabi,
14
 che fu autore di una grande 
opera di civiltà: il “Codice delle Leggi”, una raccolta in cui egli riunì ed espresse 
in modo organico le leggi e le usanze del regno che governava.  
La promulgazione del Codice delle Leggi si inserisce in una più vasta azione di 
natura politico-sociale, che vide la riunificazione di tutti i popoli della 
Mesopotamia sotto l’egemonia di un unico sovrano e l’introduzione del 
babilonese, variante dell’accadico, come unica lingua per tutto il regno. 
Tutto ciò, però, comportò anche delle difficoltà: infatti, a causa della vastità del 
suo impero, che non poteva essere governato direttamente da una sola persona, 
Hammurabi si ritrovò nella necessità di dover varare un codice di leggi scritto, a 
cui tutti potessero fare riferimento. Nacque così il “Codice di Hammurabi”, una 
delle più antiche raccolte di leggi scritte.
15
  
Questo testo è una pietra miliare nella storia delle civiltà umane, 
fondamentalmente per due ragioni: la prima risiede nel fatto che, probabilmente, 
il Codice di Hammurabi può essere considerato come la prima raccolta organica 
di leggi scritte; la seconda, invece, risiede nel fatto che quest’opera, secondo le 
numerose testimonianze e ritrovamenti archeologici, aveva carattere pubblico, o 
per meglio dire era pubblicamente consultabile. Viene introdotto così il 
fondamentale concetto della pubblicità della legge, il che comporta la supremazia 
della stessa sul potere costituito. La comminazione delle pene non è più soggetta 
al potere o addirittura al capriccio del potente di turno, ma, essendo pubblica, la 
legge è nota a tutti e pertanto deve essere applicata secondo i principi statuiti 
																																																								
14
 Hammurabi (1810 a.C. circa – 1750 a.C.) è stato un sovrano babilonese, sesto re della I 
dinastia di Babilonia. A tal proposito vedi: Matthiae P., La storia dell'arte dell'Oriente Antico, 
vol. 2, Milano, Electa, 2000. 
15
 Il Codice di Hammurabi, risalente al XVIII secolo a.C., è stato scoperto dall'archeologo 
francese Jacques de Morgan nell'inverno tra il 1901 ed il 1902 fra le rovine della città di Susa. 
Però, quella ritrovata a Susa, non è l’unica testimonianza del Codice a noi pervenuta: infatti, 
altri frammenti, risalenti sia al periodo paleo-babilonese ma anche ad epoche molto successive, 
sono stati ritrovati anche in altri luoghi, a conferma del grande valore giuridico assunto nei 
secoli dal Codice di Hammurabi. Attualmente, la stele su cui è scolpito con caratteri cuneiformi, 
fatta di basalto nero con venature bianche e alta circa 225 centimetri, è conservata a Parigi, nel 
Museo del Louvre.
16	
all’interno del Codice. Si tratta di un enorme passo avanti della civiltà giuridica: 
infatti, il cittadino babilonese aveva la possibilità di verificare da sé se la propria 
condotta fosse conforme oppure no alle leggi, oltre alla possibilità di scegliere se 
adottare determinati comportamenti a proprio rischio e pericolo oppure se 
evitarli.
16
  
Per quanto riguarda il contenuto, dobbiamo dire che il Codice di Hammurabi ha 
la struttura di un’opera letteraria, essendo composto da: 
• Un prologo (nel quale si esalta il potere degli dei che hanno posto sul trono 
Hammurabi, al fine di far trionfare la giustizia divina nella protezione dei 
deboli); 
• Duecentoventotto paragrafi (che costituiscono il vero e proprio corpus 
normativo); 
• Un epilogo (nel quale si parla dell’attività politica del sovrano, delle sue 
conquiste e, in generale, della storia della formazione del regno di 
Babilonia). 
È interessante notare che il prologo e l’epilogo, che vogliono essere più affini ad 
un’opera letteraria, sono scritti in lingua colta, mentre la parte giuridica presenta 
un tipo di scrittura semplificata, più comprensibile al popolo. Ciò conferma 
quanto pocanzi affermato, e cioè che la volontà di Hammurabi fosse quella che le 
leggi fossero comprensibili ad una platea il più vasta possibile, a riprova della 
modernità del testo. 
Venendo ora alla struttura giuridica vera e propria, dobbiamo dire che il Codice è 
composto da dieci sezioni, le quali si riferiscono ognuna ad un argomento 
differente.  Le diverse disposizioni di legge prendono in considerazione tutte le 
sfaccettature della società di quel tempo, quali i rapporti familiari, commerciali 
ed economici, senza dimenticare l’edilizia, l’amministrazione della cosa pubblica 
e della giustizia. 
																																																								
16
 A tal proposito vedi: Caruso E., Hammurabi il primo grande legislatore del pianeta, 2016.
17	
All’interno di ogni sezione viene specificato non soltanto il tipo di reato ma 
anche la pena ad esso associata, la quale poteva essere corporale o pecuniaria. La 
pena era legata allo stato giuridico del colpevole e a quello del danneggiato. A tal 
proposito, dobbiamo ricordare che il Codice di Hammurabi suddivide la 
popolazione in tre classi sociali: 
• Awilum, ossia l’uomo libero, cittadino a pieno titolo; 
• Muškenum, ossia l’uomo semilibero, ma non possidente; 
• Wardum, ossia lo schiavo, che poteva essere acquistato e venduto.
17
  
Il Codice fa un larghissimo uso della legge del taglione, a noi più popolarmente 
nota con la locuzione “occhio per occhio, dente per dente”, la quale prevede che 
la pena per i vari reati sia assai simile, se non identica, al danno subito dalla 
vittima.
18
 Ad esempio, la pena per l'omicidio era la morte: se la vittima però 
fosse stata figlia di un altro uomo, all'omicida doveva essere ucciso il figlio; se la 
vittima invece fosse stata uno schiavo, l'omicida doveva pagare un'ammenda, 
commisurata al prezzo dello schiavo ucciso. 
Ai nostri occhi di cittadini moderni, la legge del taglione appare rozza ed 
ancestrale; in realtà, anche in ciò possiamo notare la modernità del pensiero di 
Hammurabi, che, con l’introduzione del taglione, volle stabilire delle leggi ben 
precise e non subordinate all’arbitrio dei singoli, superando così la pratica del 
“farsi vendetta da sé”, largamente in uso fra le popolazioni arcaiche. 
Ma quel che a noi più importa in questo contesto è il fatto che il Codice di 
Hammurabi prevedeva non solo la pena di morte per colui che, dopo essersi 
introdotto in una casa ed aver realizzato un furto, era stato catturato, ma 
consentiva anche l’uccisione legittima del ladro durante il tentativo di effrazione. 
In particolare, le leggi 21 e 22 così recitavano: “Qualora qualcuno forzi la porta 
o apra un buco in una casa con lo scopo di rubare, sia messo a morte davanti a 
																																																								
17
 A tal proposito vedi: Caruso E., Hammurabi il primo grande legislatore del pianeta, 2016. 
18
 A tal proposito vedi: Voce “Hammurabi”, in Enciclopedia Treccani: «In uso presso diverse 
popolazioni in età antica, la legge del taglione aveva funzione di porre un limite alle vendette 
private, che spesso degeneravano in faida. Sul piano storico, dobbiamo notare che 
l'introduzione della legge del taglione avviene con il Codice di Hammurabi, in quanto estranea 
alla tradizione sumerica e attribuibile forse al nuovo elemento amorreo.».
18	
quel buco e venga sepolto.” e “Qualora qualcuno sia colto sul fatto di rubare, 
allora sia messo a morte.”. 
Possiamo dunque osservare che, contrariamente a come si svilupperà il codice 
penale più tardi, in particolare in epoca romana, qui non si parla di legittima 
difesa della persona, ma si statuisce che sia passibile di morte colui che attenta 
anche solo ai beni altrui. Se ne deduce che, in quel momento storico, i beni 
materiali erano considerati tanto preziosi quanto la vita umana, forse perché essi 
erano assai limitati. 
 
1.4 L’Antico Testamento 
Anche nell’Antico Testamento è possibile rinvenire numerosi riferimenti al 
principio della legittima difesa, nonostante, ad un primo sguardo, ciò sembri in 
contrasto con l’ideologia biblica di fondo, e cioè quella di preservare la vita al di 
sopra di ogni cosa. 
Più precisamente, la Bibbia insegna chiaramente che la vita deve essere protetta, 
in quanto il nostro corpo appartiene a Dio e non ci è permesso distruggerlo. Sta 
scritto infatti: 
“Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che 
avete ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati 
comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo.”.
19
 
Allo stesso modo, abbiamo anche l’obbligo di preservare il corpo e la vita altrui, 
proteggendo coloro che si trovano in pericolo (“Liberate il misero e il bisognoso, 
salvatelo dalla mano degli empi!”)
20
 o coloro che fanno del male a loro stessi 
(“Libera quelli che sono condotti a morte, e salva quelli che, vacillando, vanno 
al supplizio.”).
21
 
Inoltre, se si è a conoscenza del fatto che qualcuno vada incontro ad un pericolo e 
deliberatamente non lo si avverte, si è corresponsabili di aver fatto del male alla 
																																																								
19
 A tal proposito vedi: 1 Corinzi 6:19-20. 
20
 A tal proposito vedi: Salmo 82:4. 
21
 A tal proposito vedi: Proverbi 24:11.
19	
persona vittima della violenza, mentre non lo si è quando quella persona non 
presta ascolto all’avvertimento ricevuto. Sta scritto infatti: 
“Ma se la sentinella vede venir la spada e non suona il corno, e il popolo non è 
stato avvertito, e la spada viene e porta via qualcuno di loro, questo sarà portato 
via per la propria iniquità, ma io domanderò conto del suo sangue alla 
sentinella.”.
22
  
Tuttavia, anche se l’ideologia biblica di fondo è quella di preservare la vita al di 
sopra di ogni cosa, nelle Sacre Scritture emerge che uccidere o spargere il sangue 
non fosse sempre sbagliato, ma quando era sbagliato doveva essere pagato con la 
morte dell’omicida. A tal proposito si legge infatti: 
“Certo, io chiederò conto del vostro sangue, del sangue delle vostre vite; ne 
chiederò conto a ogni animale; chiederò conto della vita dell'uomo alla mano 
dell'uomo, alla mano di ogni suo fratello. Il sangue di chiunque spargerà il 
sangue dell'uomo sarà sparso dall'uomo, perché Dio ha fatto l'uomo a sua 
immagine.”.
23
 
In generale, possiamo quindi dire che vi è un’idea di santità del sangue versato, 
fondamentalmente per due ragioni: la prima risiede nel fatto che il sangue 
rappresenta la vita ed essendo la vita un bene prezioso, quando il sangue viene 
versato, si va perdendo un qualcosa di altrettanto prezioso; la seconda, invece, sta 
nel fatto che, attaccando una creatura umana, si attacca indirettamente anche Dio, 
in quanto Costui ha fatto l’uomo a Sua immagine e somiglianza e, compiendo 
uno spargimento di sangue, si realizza anche un assalto all’immagine di Dio. 
Però, l’idea di santità del sangue versato viene meno di fronte al compimento di 
alcuni crimini, considerati particolarmente disdicevoli. Infatti, l’Antico 
Testamento ammette la pena di morte per molti delitti, alcuni dei quali non più 
percepiti come tali nelle civiltà occidentali del XXI secolo. Ne citiamo solo 
alcuni: 
																																																								
22
 A tal proposito vedi: Ezechiele 33:6. 
23
 A tal proposito vedi: Genesi 9:5-6.
20	
• Omicidio
24
  
• Rapimento
25
  
• Omosessualità
26
  
• Stupro.
27
 
Contemporaneamente, però, è possibile ritrovare nel suddetto testo dei passi che, 
in contrasto con quanto appena esposto, condannano fermamente la soppressione 
della vita altrui.  
Interessante a questo proposito è quanto riportato nel libro dei Proverbi,
28
 dove 
con l’espressione “Libera quelli che son condotti a morte, e salva quei che, 
vacillando, vanno al supplizio.” sembra essere negata la pena di morte per i 
condannati. 
Non solo: in alcuni versetti sembra essere persino condannata l’uccisione in 
guerra, come infatti accade nel primo libro delle Cronache, dove si dice: “Ma mi 
fu rivolta questa parola del Signore: Tu hai versato troppo sangue e hai fatto 
grandi guerre; per questo non costruirai il tempio al mio nome, perché hai 
versato troppo sangue sulla terra davanti a me.”
29
 e: “Ma Dio mi disse: «Tu non 
costruirai una casa al mio nome, perché sei stato uomo di guerra e hai sparso 
sangue.»".
30
  
In questi due passi appena citati, possiamo vedere come Davide,
31
 uomo che 
amava e che era amato da Dio, tanto da affidargli Israele e la sua difesa, non 
fosse ritenuto qualificato da Dio stesso per edificare in Suo nome una casa, per 
																																																								
24
 A tal proposito vedi: Esodo 21:12 “Colui che colpisce un uomo causandone la morte, sarà 
messo a morte.”. 
25
 A tal proposito vedi: Esodo 21:16 “Colui che rapisce un uomo e lo vende, se lo si trova 
ancora in mano a lui, sarà messo a morte.”. 
26
 A tal proposito vedi: Levitico 20:13 “Se uno ha con un uomo relazioni carnali come si hanno 
con una donna, ambedue hanno commesso cosa abominevole; dovranno esser messi a morte; il 
loro sangue ricadrà su loro.”. 
27
 A tal proposito vedi: Deuteronomio 22:25 “Ma se l'uomo trova per i campi la fanciulla 
fidanzata e facendole violenza pecca con lei, allora dovrà morire soltanto l'uomo che ha 
peccato con lei.”. 
28
 A tal proposito vedi: Proverbi 24:11. 
29
 A tal proposito vedi: 1 Cronache 22:8. 
30
 A tal proposito vedi: 1 Cronache 28:3.	
31
 Davide, figlio di Iesse, è stato il secondo re d'Israele durante la prima metà del X secolo a.C.
21	
via del fatto che avesse sparso molto sangue sulla terra. Davide aveva ucciso 
degli uomini e questo lo rendeva “inadatto” per compiere quel particolare 
compito. 
Detto ciò, possiamo quindi vedere come nei testi antichi che stanno a 
fondamento delle grandi religioni monoteiste sia possibile ritrovare dei passi in 
apparente contrasto tra di loro. 
Ma allora, in questo contesto, che abbiamo detto essere in parte contraddittorio, 
come si colloca e come viene considerata la legittima difesa? 
La legittima difesa non costituisce un’eccezione al generale divieto di uccidere 
un innocente e per questo motivo deve essere tenuta distinta dall’omicidio 
volontario, dove intenzionalmente si uccide un’altra persona. Nella legittima 
difesa, infatti, lo scopo intenzionale è quello di conservare la vita propria o altrui, 
messa in pericolo da un attentatore, e, solo in via preterintenzionale, si verifica 
l’uccisione di quel soggetto. 
Dunque, l’amore verso se stessi rimane un principio fondamentale della moralità, 
tanto da giustificare qualunque azione volta a far rispettare il proprio diritto alla 
vita. Chi, difendendo la propria vita, provoca la morte dell’aggressore, non si 
rende colpevole di omicidio, anche se è stato costretto ad infliggere 
all’avversario un colpo mortale.
32
 Così scrive San Tommaso d’Aquino:
33
 
«Se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del necessario, il suo 
atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita [...]. 
E non è necessario per la salvezza dell'anima che uno rinunzi alla legittima 
difesa per evitare l'uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a 
provvedere alla propria vita che alla vita altrui.».
34
  
																																																								
32
 A tal proposito vedi: Catechismo della Chiesa Cattolica, 2263 – 2265. 
33
 San Tommaso d'Aquino (1225 - 1274) è stato un frate domenicano, teologo, filosofo e 
accademico italiano, esponente della Scolastica. Egli rappresenta uno dei principali pilastri 
teologici e filosofici della Chiesa cattolica. A tal proposito vedi: Biffi I., La teologia e un 
teologo. San Tommaso d'Aquino, Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 1984; Chesterton G. K., 
Tommaso d'Aquino, Napoli, Guida Editori, 1992; Ghisalberti A., Voce “Tommaso d'Aquino”, in 
Enciclopedia Filosofica, vol. XII, Milano, Bompiani, 2006. 
34
 A tal proposito vedi: San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae. La Summa Theologiae è la 
più famosa delle opere di San Tommaso d'Aquino, scritta negli ultimi anni di vita dell'autore
22	
La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere considerata anche come un 
dovere, quando riguarda il caso in cui si è responsabili della vita altrui. La 
necessità di difendere il bene comune concede di porre l'ingiusto aggressore in 
stato di non nuocere; a questo proposito, è doveroso ricordare il caso particolare 
dei rappresentanti dell’autorità costituita, che hanno non solo il diritto, ma anche 
il dovere di intervenire, anche con violenza estrema, legata all’uso delle armi, per 
difendere i cittadini sottoposti alla loro protezione contro eventuali aggressori 
che vogliono violare l’incolumità loro e dei loro beni.  
L'insegnamento tradizionale della Chiesa, quindi, non condanna l’uccisione 
dell’aggressore quando questa risulta essere l'unica via praticabile per difendere 
efficacemente la vita degli esseri umani da attacchi ingiusti; se, invece, i mezzi 
incruenti sono sufficienti per difendersi dall'aggressore e per proteggere la 
sicurezza delle persone, il soggetto che agisce in difesa deve limitarsi a questi 
mezzi, poiché essi sono in grado di soddisfare al meglio le condizioni concrete 
del bene comune e la tutela della dignità della persona umana.
35
  
Analizziamo, dunque, i brani che trattano di autodifesa e di uso della forza letale 
con lo scopo di difendere. 
In primo luogo, è possibile rinvenire il principio della legittima difesa nei versetti 
2 e 3 del capitolo 22 dell’Esodo, i quali così recitano: “Se il ladro, colto nell'atto 
di fare uno scasso, viene percosso e muore, non vi è delitto di omicidio.” e: “Se 
il sole è già sorto quando avviene il fatto, vi sarà delitto di omicidio. Il ladro 
dovrà risarcire il furto. Se non può farlo, sarà venduto per pagare ciò che ha 
rubato.”. 
																																																																																																																																																																		
(1265 – 1274). È il trattato più famoso della teologia medioevale e influenzò la filosofia e la 
teologia posteriore. Concepita come un manuale per lo studio della teologia, nella struttura dei 
suoi articoli è un'esemplificazione tipica dello stile intellettuale della Scolastica. San Tommaso 
d’Aquino la scrisse tenendo presenti le fonti propriamente religiose, cioè la Bibbia e i dogmi 
della Chiesa cattolica, ma anche le opere di alcuni autori dell'antichità, quali Aristotele (autorità 
massima in campo filosofico) e Sant'Agostino d'Ippona (autorità massima in campo teologico). 
A tal proposito vedi: Voce “Somma teologica”, in Enciclopedia Treccani; Barzaghi G., La 
Somma Teologica di San Tommaso d'Aquino, in Compendio, Bologna, Edizioni Studio 
Domenicano, 2009; Weisheipl J., Tommaso d'Aquino. Vita, pensiero, opere, Milano, Jaca Book, 
2003. 
35
 A tal proposito vedi: Catechismo della Chiesa Cattolica, 2267.
23	
Ciò significa che, in generale, la Bibbia proibisce l’uccisione di un ladro, tranne 
nel caso in cui l’irruzione avvenga di notte ed il proprietario della casa 
scassinata agisca per legittima difesa, proteggendo la propria vita con una 
reazione violenta. Analizzando ancora di più nello specifico i versetti dell’Esodo 
appena citati, vediamo che viene fatta un’importante distinzione tra il caso in cui 
l’irruzione avvenga di notte ed il caso in cui l’irruzione avvenga, invece, di 
giorno. La ratio espressa in questi versetti è identica a quella delle XII Tavole, 
che analizzeremo più avanti, e divide il giudizio sulla reazione del derubato in 
due casi. In particolare, se un malvivente irrompe nella casa della vittima di notte 
e viene ucciso, il fatto non deve esser giudicato come delitto e quest’ultima non 
sarà nemmeno punita. 
Fondamentale, perciò, è il fatto che l’irruzione avvenga di notte, in quanto nel 
buio l’aggredito non ha modo di vedere con precisione se il ladro sia armato o 
meno, se abbia atteggiamenti minacciosi o meno e pertanto non può sapere se 
qualcuno viene semplicemente per rubare o più gravemente per rapire, per 
violentare o per uccidere. Di conseguenza, l’aggredito è ritenuto senza colpa 
quando l’uccisione del criminale avviene nelle suddette circostanze, perché, per 
difendersi, egli potrà fare legittimamente ricorso ad una forza letale che eviti che 
il crimine venga commesso.  
Invece, se il sole è già sorto, la vittima è in grado di poter valutare con sufficiente 
precisione le intenzioni del criminale. Non sarà quindi lecito uccidere l’individuo 
le cui intenzioni sono chiaramente volte al mero furto delle proprietà 
dell’aggredito, ma sarà invece lecito reagire con la violenza, fino a commettere 
un omicidio, se risulta che l’aggressore abbia in animo un delitto più grave, come 
per esempio l’omicidio, la violenza carnale o il rapimento. 
A tal proposito Matthew Henry
36
 scrive: «Se un ladro irrompe in una casa di 
notte e rimane ucciso nel farlo, il suo sangue ricadrà sopra la sua testa e non 
																																																								
36
 Matthew Henry, nato a Broad Oak il 18 ottobre 1662, fu un ministro presbiteriano inglese e 
un riconosciuto studioso e commentatore della Bibbia. Fu figlio del reverendo Philip Henry, 
ministro della Chiesa Anglicana, e di sua moglie Katharine. Ben presto mostrò di avere una 
forte passione per i libri, tanto che a 3 anni si dice che fosse già in grado di leggere la Bibbia.
24	
sulla mano di colui che l’ha ucciso. Così, come colui che compie un atto illecito 
porta la colpa del danno che ne consegue, così deve sopportare ciò che capita 
alla sua persona. La casa di un uomo è il suo castello e la legge di Dio, così 
come quella dell’uomo, la salvaguardano: colui che la assale lo fa a suo rischio 
e pericolo. Tuttavia, se il ladro viene ucciso di giorno, colui che lo ha 
assassinato ne è responsabile, a meno che non sia stato necessario per legittima 
difesa. Si noti che dobbiamo avere cura persino della vita degli empi; è il 
magistrato che deve disporre la riparazione del torto: non dobbiamo vendicarci 
da soli.».
37
  
Un concetto molto moderno, simile a quello posto a fondamento del disegno di 
legge n. 3785, intitolato “Modifiche agli articoli 52 e 59 del codice penale in 
materia di legittima difesa” e approvato dalla Camera dei Deputati il 4 maggio 
2017, ma mai approvato dal Senato della Repubblica.
38
  
Per quanto riguarda l’uso legittimo della forza letale, ne troviamo un chiaro 
esempio nel Libro di Neemia e nel Libro di Ester.  
																																																																																																																																																																		
Ebbe un’importante ed articolata istruzione secolare e religiosa, seguita costantemente dalla 
supervisione dello stesso padre Philip. La sua formazione incluse, infatti, lo studio del greco, del 
latino e dell'ebraico. All’età di 18 anni frequentò a Londra  l'accademia di Islington, presieduta 
da Thomas Doolittle, ritenuta all'epoca più importante e proficua dell'Università di Oxford e 
dell'Università di Cambridge. Il 9 maggio 1687 fu consacrato, a Londra, in forma privata, come 
pastore presbiteriano, anche se solo nel 1702 ottenne una certificazione scritta del suo operato 
come pastore presbiteriano. La sua vita religiosa fu imperniata sullo studio delle Sacre Scritture 
e sulla esposizione di queste. Infatti, nel 1704, dopo essere guarito da una malattia, comincia la 
sua opera “Note al Nuovo Testamento”, che di fatto sarà l'opera base per la sua più importante 
ed imponente opera, “Commentario biblico”. L’opera, nonostante fu completata circa trecento 
anni fa, continua ad essere un punto di riferimento e ad essere tradotta in più lingue. In 
particolare, in lingua italiana risulta essere un’opera di 12 volumi con 10.000 pagine di 
commenti. Il 22 giugno 1714 Henry morì improvvisamente di apoplessia durante un viaggio da 
Chester a Londra e fu sepolto nella Chiesa della Trinità a Chester. 
37
 A tal proposito vedi: Henry M., Commentario biblico, vol. 1, pp. 472 – 473, Cento (FE), 
Hilkia inc., 2001. 
38
 Tale testo di legge avrebbe voluto introdurre un comma 2 all’art. 52 c.p., il quale avrebbe 
previsto che: “Fermo quanto previsto al primo comma, si considera legittima difesa, nei casi di 
cui all’art. 614 comma 1 e 2 c.p. la reazione a un’aggressione commessa in tempo di notte 
ovvero la reazione a seguito dell’introduzione nei luoghi ivi indicati con violenza alle persone o 
sulle cose ovvero con minaccia o con inganno.”.