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Passaggio in India: miti e forme dell'Orientalismo in epoca coloniale

Dispotismo orientale come legittimazione della conquista coloniale

Come si evince da quanto esposto fin qui, uno dei cardini del discorso orientalista è l’analisi della peculiarità politico-sociale delle varie forme di governo indiane. Partendo dal presupposto di un’inconfutabile differenza ontologica tra Occidente e Oriente, la ricerca indologica si rivolse all’analisi dei sistemi politici tradizionali indiani, concludendo che la tipicità dei regni indiani fosse il dispotismo orientale. Il carattere dispotico della politica indiana fu tra le più potenti legittimazioni del dominio imperialista, in quanto, attribuendo un’inferiorità intrinseca alla visione politica dei sudditi indiani, giustifica la presa di potere del Raj, l’unico governo capace di far progredire la società indiana.
L’origine di tale concetto si può far risalire alle parole di Aristotele, che nel suo trattato di politica affermò che “gli asiatici sono per natura più servili [...] quindi sopportano senza protestare un governo dispotico”.
In epoca moderna, l’emblema del dispotismo orientale divenne l’Impero Mughal, perché considerato come uno stato fortemente illiberale e gerarchico, dove l’autoritarismo della classe dirigente impediva lo sviluppo di elementi democratici e di giustizia sociale. Secondo i giudizi di filosofi e pensatori liberali, in India erano mancati eventi assimilabili alla Rivoluzione francese o movimenti culturali quali l’Illuminismo perché l’essenza stessa degli indiani impediva loro di poter anche solo concepire l’importanza di concetti quali libertà e democrazia, che, al contrario, sono essenziali per la cultura politica occidentale.
Tale ideologia venne ampiamente sviluppata nella già citata History of British India di J. Mill, nella quale lo studioso afferma chiaramente che “lo stato dispotico appariva come la sola forma di governo nota alla società indiana e il suo assetto cristallizzato doveva essere infranto dalla trasformazione legislativa dell’amministrazione britannica”. In questa considerazione, Mill rivela l’atteggiamento paternalistico del Raj britannico, unica istituzione in grado di ‘salvare’ l’India dall’arretratezza congenita alla propria cultura, grazie alla superiorità della politica occidentale.
Da tale affermazione, si può anche sostenere, però, che la definizione orientalista di dispotismo orientale giustifichi implicitamente l’autoritarismo del Raj, in quanto il dispotismo era l’unica forma di governo accettata dagli indiani. Ciò mostra la contraddizione interna al dominio coloniale, il quale da una parte si fa carico della missione civilizzatrice, attuando un’evoluzione politica che prenda le distanze dal dispotismo, ma che allo stesso tempo, considerandosi come erede naturale dei domini autoctoni indiani, si inserisce nella sua tradizione politica e quindi mantiene il carattere dispotico del governo. In altre parole, “the British were [...] at once agents of ‘progress’, charged with setting India on the road to modernity, and at the same time custodians of an enduring India formed forever in antiquity”.
Al riguardo, si consideri il ragionamento dello storico inglese A. Dow, che nella sua History of Hindustan (1770) scrisse: “When a people have long been subjected to arbitrary power, their return to liberty is ardous and almost impossible. Slavery, by the strenght of custom, is blended with human nature; and that undefined something, called Public Virtue, exists no more”.
La propensione indiana per il dispotismo venne anche ricondotta al clima tropicale del subcontinente. L’essenza mansueta e remissiva dell’uomo indiano venne spiegata dagli indologi come derivante dall’afa e dall’umidità del clima indiano. Inoltre, queste caratteristiche presuntamente insite nell’indole indiana erano identificate anche con il carattere femmineo della razza indiana. A questo proposito si osservino le considerazioni xenofobe di Lord Macaulay, nonostante si riferiscano specificatamente ai bengalesi:
La struttura fisica del bengalese è debole fino all’effeminatezza. Vive in un costante bagno di vapore. Le sue occupazioni sono sedentarie, le sue membra delicate, i suoi movimenti languidi. Per molti secoli è stato calpestato da uomini di tempra più audace e più robusta. Il coraggio, l’indipendenza, la sincerità sono qualità alle quali la sua costituzione e la sua situazione sono ugualmente sfavorevoli.
Con l’emergere delle scienze razziali, il discorso coloniale si appropriò di definizioni discriminatorie derivanti dalla distinzione dei popoli del mondo in razze diverse. In questo contesto si inserirono anche le dinamiche di genere, perché si costruì una dicotomia tra l’essenza ‘maschile’ dell’occidentale razionale e liberale contrapposta a quella ‘femminile’ dell’orientale irrazionale e incline al dispotismo. Infatti “l’imperialismo non può essere compreso senza una teoria del potere di genere [...] Fin dall’inizio, le dinamiche di genere sono state fondamentali per il successo e il mantenimento dell’impresa imperiale. Insomma, l’imperialismo ha bisogno di femminilizzare i popoli sottomessi, la colonizzazione rende effeminati coloro che la subiscono”.
Tornando alle definizioni di dispotismo orientale, come abbiamo visto, un altro studioso che ereditò tale ideologia fu Marx, che ampliò il concetto politico di dispotismo legandolo a quello economico di ‘modo di produzione asiatico’, reiterando le dicotomie eurocentriche che intendevano porre in risalto le differenze con ‘l’altro’ orientale, evidenziandone le presunte peculiarità culturali e sociali.
Anche Hegel si riallacciò a queste concezioni eurocentriche nella sua analisi storicista delle società umane. Definì la cultura indiana come incline al dispotismo, solo che, invece di usare la definizione di dispotismo orientale, coniò il termine ‘aristocrazia teocratica’ per descrivere un sistema politico basato su divisioni gerarchiche fondate sulla preminenza della religione. Infatti, anch’egli considerava la mancata suddivisione tra sacro e profano nella società indiana come indice di arretratezza culturale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Passaggio in India: miti e forme dell'Orientalismo in epoca coloniale

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Informazioni tesi

  Autore: Cristina Lo Giudice
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Studi Orientali
  Corso: Lingue culture orientali
  Relatore: Mario Prayer
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 60

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