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Consumi e televisione nella seconda metà degli anni '70

La pubblicità commerciale Neotelevisiva

Con l'avvento di nuove e concorrenti televisioni private, si diede il via ad un processo di trasformazione strutturale che si manifestò nella nascita della nuova tv commerciale. Cambiò drasticamente oltre al modo di fare televisione anche quello di fare pubblicità. L'amatissimo Carosello non era più congeniale e non rispondeva più alle esigenze delle aziende private che da questo momento in poi cominciarono ad autofinanziarsi attraverso gli introiti derivanti dagli spot televisivi sparsi su tutta la giornata, venne quindi abbandonato. Questi nuovi spot per essere efficaci dovevano raggiungere il pubblico generico e specifico dei potenziali acquirenti del prodotto reclamizzato e dovevano quindi essere inseriti in programmi creati per catturare l'attenzione di quella specifica nicchia di spettatori e consumatori.
Il pubblico e la programmazione si frammentarono secondo diversi target; obbiettivi precisi da colpire nella massa altrimenti indistinta degli spettatori. Il tempo di Carosello, quando l'economia imponeva condizioni di qualità alla televisione, terminò. Fu la stessa economia da allora in poi a dettare e ad imporre le sue leggi non solo alla tv privata ma anche a quella pubblica. La Neotelevisione della libera concorrenza rispondeva quindi per lo più ad un criterio commerciale; procurare spettatori agli inserzionisti pubblicitari. Si determinò così la frammentazione del pubblico (bambini, teenager, adulti maschi, adulti femmine) secondo generi di programmi e di prodotti reclamizzati seguendo la logica scientifica del marketing. Teoria questa che non si limitava soltanto alla pubblicità ma anche all'insieme delle politiche commerciali relative all'azienda comprendenti prezzi, modalità di vendita, diffusione del "Brand", studi sui consumatori che dall'America si diffusero in tutta Europa. Con l'aumento della domanda, dovuta alla moltiplicazione dell'offerta televisiva, il consumo medio del televisore aumentò: tra 1977 e 1983 il tempo medio di accensione del televisore passò da tre ore e mezza a cinque mentre il consumo individuale da due e mezza a tre. Importante era la fascia oraria che andava da mezzogiorno alle sette di sera, fascia occupata dalla Tv dei ragazzi considerati i principali e più condizionabili fruitori degli spot pubblicitari. Tutto questo consumo di televisione contribuì a creare una filosofia aggressiva protesa alla conquista di quote sempre maggiori di pubblico spingendo anche l'inerme Rai ad accrescere la propria presenza sul mercato pubblicitario, in modo da restringere gli spazi della concorrenza. Tuttavia questa manovra era destinata a rivelarsi di assai corte vedute, perché in pratica accadde l'opposto. Si diede il via ad una liberalizzazione, senza freni ne vincoli, degli spot pubblicitari che moltiplicarono negli anni a venire il tempo di trasmissione. Aldo grasso affermò che: "E' stato calcolato che se si sommassero tutti gli spot trasmessi in Italia in un anno si potrebbe costruire un network di sola pubblicità con un'autonomia di ben 8 mesi". D'altro canto la televisione commerciale diede un serio impulso alle piccole e medie imprese che prima non potevano accedere al canale televisivo per propagandare i loro prodotti, per via dei costi decisamente fuori portata, mentre adesso con l'aumento dell'offerta e del tempo televisivo dedicato alla pubblicità gli stessi costi si ridussero drasticamente. Inoltre nel 1979 Silvio Berlusconi creò un'agenzia chiamata Publitalia, che non si limitò a vendere spazi temporali della programmazione televisiva, (fino a quel momento ad esempio la Rai e le televisioni private ed estere si affidavano a concessionarie esterne) ma si propose come partner degli inserzionisti, personalizzando le forme di comunicazione e sponsorizzazione: in Superflash (1982) era Mike Bongiorno stesso a reclamizzare il prodotto.

Nel 1984 la Rai, le aziende che investono in pubblicità raccolte nell'UPA (Utenti pubblicità associati) e le emittenti private locali e nazionali diedero vita all'Auditel, che raccoglieva i dati sulle abitudini di consumo televisivo di un campione di famiglie italiane ( dalle 600 iniziali alle 5 mila attuali) . La contemporanea moltiplicazione dei media contribuì a dare alla pubblicità una visibilità sociale che prima non aveva, nella seconda metà degli anni settanta gli investimenti pubblicitari passarono dallo 0,3 del Pil allo 0,5 di metà anni ottanta contro lo 0,6 degli anni novanta.
Tutto ciò contribuì a far crescere repentinamente i consumi anche tra i ceti popolari; in questi anni l'Italia compì finalmente, a tutti gli effetti, la sua rivoluzione consumistica tanto che diversi storici affermano che questo periodo si può definire con il termine di "secondo miracolo economico" capace di restringere il disavanzo rispetto agli altri paesi. E' il momento del look, della moda, delle televisioni private e quindi di una seconda ondata di consumi: non più quelli di sussistenza legati alla triade cibo-casa-vestiti, ma vacanze, viaggi, cosmetici, seconde case, seconde auto, beni voluttuari. I dati che compaiono riguardo al periodo a cavallo tra anni settanta-ottanta sembrano confermare questa tesi: i consumi privati crescono per tutto il decennio, sia pure irregolarmente; l'unica vera diminuzione si registra intorno al '75 (probabilmente questo calo era dovuto alle conseguenze provocate dalla crisi petrolifera del '73 e anche dall'immobilismo della politica italiana). Nel decennio '75-'85 l'aumento medio è del 3 % l'anno.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Consumi e televisione nella seconda metà degli anni '70

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Informazioni tesi

  Autore: Fabrizio Calcagno
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze storiche
  Relatore: Ferdinando Fasce
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 72

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