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I disturbi del comportamento alimentare in adolescenza: il ruolo dei legami di attaccamento

Alimentazione e attaccamento

L’importanza delle relazioni familiari nell’eziogenesi delle patologie alimentari, e il diffondersi della teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969, 1973, 1980) quale modello esplicativo dei disturbi mentali e della condotta, ha fatto sì che, negli ultimi anni, l’indagine scientifica si avvalesse dei costrutti di Bowlby e degli strumenti di misura utilizzati all’interno di questo paradigma.
Come è noto, secondo Bowlby (1969), cure adeguate, nelle prime fasi dello sviluppo, in termini di sensibilità ai segnali di aiuto e responsività ad essi, da parte della figura di attaccamento principale, portano al configurarsi di una relazione affettiva che viene detta sicura (un attaccamento che è etichettato come B in età infantile e come F in età adulta) e pongono il piccolo, e poi l’adulto, nelle condizioni di esplorare in maniera autonoma l’ambiente fisico e sociale e di esprimere in maniera chiara le emozioni che corrispondono ai suoi stati affettivi. Cure carenti o distorte portano invece a legami affettivi che vengono detti ansiosi-insicuri, i quali inducono strategie fortemente lesive della capacità di esplorare e di divenire autonomi: l’imprevedibilità nella risposta conduce ad una relazione marcata da ipervigilanza circa la disponibilità della figura di attaccamento a rispondere alle esigenze di essere protetto e da una distorsione nell’utilizzo dei segnali che dovrebbero indurre l’offerta di conforto, così che ad essere espressi sono essenzialmente i sentimenti di rabbia e di ostilità (è il caso dell’attaccamento ansioso ambivalente/resistente, o C, corrispondente in età adulta all’attaccamento preoccupato/invischiato o E). Il rifiuto costante di aiuto e di conforto porta, invece, ad un legame ansioso-evitante (attaccamento A, corrispondente in età adulta all’attaccamento distanziante o Ds), caratterizzato da un costante tentativo di minimizzare l’importanza della figura di attaccamento ai fini della propria sicurezza e quindi da un’assenza dei segnali di ansia e tristezza; emozioni e comportamenti che possono perfino essere sostituiti dall’esibizione di segnali positivi e dal mostrare che si può contare su se stessi (Ainsworth, Blehar, Waters e Wall, 1978; Hesse, 1999).
Il maltrattamento e l’abuso da parte del genitore inducono nel piccolo forme di disorganizzazione/disorientamento (l’attaccamento disorganizzato, D, che può portare, ove il trauma non sia stato superato, ad un’organizzazione mentale, in età adulta, che viene detta «U, non risolto rispetto al trauma») (Main e Solomon, 1986). La disorganizzazione si manifesta in comportamenti ed emozioni contraddittori, simili, contemporaneamente, sia a quelli che caratterizzano l’attaccamento evitante, sia a quelli propri del legame ambivalente, e in comportamenti insoliti e bizzarri, che sembrerebbero segnalare la presenza di una paura catastrofica e irrisolvibile; la figura che dovrebbe offrire cure e protezione è infatti quella stessa che si pone come fonte di pericolo (Attili, 2000, 2001b).
I diversi aspetti della relazione madre-bambino diventano parte di rappresentazioni mentali (gli Internal Working Models, IWM), in larga parte formate da aspettative che riguardano le reazioni degli altri ai propri bisogni affettivi, e da credenze relative al sé, al proprio comportamento e alle proprie emozioni in relazione a tali figure. Sembrerebbe che siano questi schemi cognitivi del sè e degli altri, a dar conto, in età più tarda (nei bambini più grandi, negli adolescenti, negli adulti) delle strategie che vengono utilizzate dagli individui per regolare emozioni e comportamenti nei vari aspetti della vita sociale, dei disturbi della condotta e dell’apparire di sintomi psicopatologici. Non a caso, negli adulti e negli adolescenti di campioni clinici i modelli mentali «sicuri» appaiono solo nell’8% dei casi, a fronte di una presenza di 55% di IWM sicuri nei campioni non clinici (Van Ijzendoorn e Bakermans-Kranenburg, 1996).
Dagli studi condotti più di recente, all’interno della teoria di Bowlby, risulta un’alta incidenza di attaccamenti insicuri (si veda la rassegna di O’Kearny, 1996, e quella esaustiva di Ward, Ramsay e Treasure, 2000), con una preponderanza di attaccamenti evitanti nei pazienti con AN e una più alta percentuale di stati mentali basati sulla rabbia e sul caos (e quindi, presumibilmente, di attaccamenti di tipo ambivalente o disorganizzato) nei pazienti bulimici.
Da uno studio condotto da Armstrong e Roth (1989) su pazienti con AN, BN e DA atipici emerge che le risposte di questi soggetti al Separation Anxiety Test sono riconducibili per il 95% a stati ansiosi, e che per l’85% si tratta di attaccamenti particolarmente gravi (l’85% i queste pazienti, peraltro, mostra sintomi estremi di depressione da separazione); appare, inoltre, nel confronto con il gruppo di controllo, una incapacità, da parte dei pazienti, di distinguere tra separazioni brevi e separazioni di più lunga durata, e una tendenza, per ciò che concerne le anoressiche restrittive, a prendere le distanze dalla figura di attaccamento (rivelandosi, in altre parole, evitanti/distaccate).

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I disturbi del comportamento alimentare in adolescenza: il ruolo dei legami di attaccamento

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Informazioni tesi

  Autore: Barbara Limuti
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Scienze psicologiche
  Relatore: Diego Sarracino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 42

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