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Formazione e Progetto di vita. Alcuni studi e riflessioni collegati al territorio cesenate

Formazione e disabilità

A partire dagli anni Novanta del XX secolo, la formazione, quale processo finalizzato all'acquisizione, alla promozione, alla diffusione ed all'aggiornamento del sapere e delle competenze, è riconosciuta dalla Comunità Europea come lo strumento che favorisce la crescita e l'affermazione di ogni singolo cittadino, disabile incluso.
Il compito dei sistemi di istruzione e di formazione diviene, così, quello di garantire l'accesso all'apprendimento a tutti i cittadini, mediante strutture didattiche flessibili, per promuovere l'inserimento e la partecipazione in tutti i settori educativi. L'istruzione e la formazione delle persone con bisogni speciali divengono strategie di integrazione, capaci di contenere il rischio sempre latente dell'esclusione dalla vita sociale e produttiva, e di affermare il diritto all'esercizio di cittadinanza attiva nella società.
Nella coscienza personale e in quella istituzionale è andata, nel tempo, radicandosi l'idea che l'integrazione scolastica, lavorativa e sociale sia un diritto inalienabile per i disabili, e un compito ineludibile che investe e responsabilizza la società; la quale è chiamata a fornire un particolare sostegno per la realizzazione dell'uguaglianza delle opportunità, in ogni arco e contesto dell'esistenza. Certo, l'iter attraverso cui tale consapevolezza è stata raggiunta non è stato indolore e molti anni sono dovuti trascorrere, prima che fossero riconosciuti i diritti sanciti dalla Costituzione, che, all'art. 3, afferma: Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge (..) senza distinzione di condizione personale e sociale; ed ancora all'art. 38: Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Oggi, si ritiene che il processo di integrazione debba costituire una condizione, che permanentemente e naturalmente accompagna la vita di coloro che vivono la limitatezza di un deficit e, dunque, non debba essere un fatto temporalmente collocato, ad esempio, al solo periodo scolastico. Come per ogni uomo, anche per la persona disabile, il percorso di vita è fondamentalmente un processo di apprendimento, che comincia all'alba dell'esistenza ed è prodotto dall'interazione tra l'individuo, nella sua totalità, e l'ambiente fisico, relazionale e sociale nel quale vive. La concezione comune, però, ritiene che il disabile sia solo un agente passivo, trasformato dagli stimoli esterni ed ambientali; in realtà, come ci ricorda Alain Goussot, egli è un soggetto attivo che elabora input a partire dalla sua cognizione mentale e dai suoi vissuti.
Il sistema di istruzione e quello di formazione devono accompagnare, orientare e proiettare il soggetto verso il futuro personale, sociale e lavorativo, affinché egli possa trovare una via personale, nella prospettiva della costruzione di un progetto di vita. Quest'ultimo deve essere attuabile fin dall'infanzia, per mettere ogni individuo nelle condizioni di conoscere se stesso, di valorizzare le proprie potenzialità, abilità e competenze, di definire le proprie aspirazioni e di partecipare attivamente per raggiungerle. La formazione deve puntare allo sviluppo globale della persona, per aiutarla a conseguire il più alto grado di autonomia per lei realizzabile, al fine di affrontare positivamente la mutevolezza della società attuale e, nel contempo, evitare apprendimenti stereotipati e/o eventuali regressioni rispetto alle autonomie quotidiane, dovute alle trasformazioni biologiche e sociali, provocate dal tempo.
Colui che progetta proposte formative deve prestare particolare attenzione ai termini, perché questi potrebbero dar luogo ad ambiguità ed approssimazioni: l'attenzione alle parole, ammonisce Andrea Canevaro, è importante, non tanto per un fatto estetico o formale, ma perché nelle parole è contenuto il modello operativo a cui si fa riferimento (…) utilizzare termini impropri può essere un modo per aumentare l'handicap, anziché ridurlo. Così, credo sia necessaria una parentesi relativa al significato di alcuni concetti, per evitare confusioni linguistiche future. La prima distinzione importante da effettuare è quella che concerne la differenza tra il “deficit” e l' “handicap”.
Con il primo termine si fa riferimento ad un'anomalia della struttura anatomica, o della funzione mentale, o di quella psicologica. Il deficit non deve essere confuso con la “malattia”, poiché quest'ultima ha un inizio, una evoluzione ed una conclusione; mentre il deficit è un dato irreversibile, congenito od acquisito nel corso della vita. La parola “handicap”, invece, indica un fatto relativo, derivato dall'incontro tra individuo e situazione. Si tratta di una condizione di svantaggio, riducibile o, purtroppo, aumentabile. Non esistono categorie di handicap, perché ogni individuo ha una biografia propria, che lo rende unico e diverso dall'altro, anche all'interno della stessa tipologia di deficit.
Quindi, se è vero che i deficit non possono essere eliminati, è altrettanto vero che si possono accettare; e l'azione professionale deve consistere nell'aiutare i soggetti, che ne sono portatori, a convivere con i loro deficit pur lottando per diminuire l'handicap, poiché su di esso si può intervenire. [...]

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Formazione e Progetto di vita. Alcuni studi e riflessioni collegati al territorio cesenate

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Cola
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze dell'educazione e della formazione
  Relatore: Angelo Errani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 169

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Parole chiave

disabilità
formazione
interviste
integrazione sociale
progetto di vita
lavoro-disabilità
tempo libero-disabilità
affettività-sessualità-disabilità
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