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La Problematica dell’HIV/AIDS in Medio Oriente e in Nord Africa

Alcol, Droga, Guerra e l’HIV/AIDS

Uso di droga iniettiva e alcol
Nel MENA (Middle East and North Africa), si stima che circa lo 0,2% della popolazione faccia uso di droghe iniettive, percentuale simile al resto del mondo, tuttavia nel MENA il consumo di alcol e l’uso di droga sono in aumento. Negli ultimi anni, l’abuso e la dipendenza sono diventati problemi rilevanti, anche a causa del fatto che l’età in cui si inizia a far uso di queste sostanze si sta abbassando e che il consumo di droghe iniettive sta aumentando. Inoltre la stigmatizzazione e la discriminazione associate alla tossicodipendenza impediscono alle persone di cercare aiuto nelle carenti strutture a loro disposizione. Inoltre, c’è anche una scarsa conoscenza di base dei comportamenti a rischio HIV in cui si può incappare quando si fa uso di droghe.

Il rischio HIV può essere diretto, ad esempio, tramite l’utilizzo di aghi infetti e il riutilizzo della stessa siringa da parte di più persone, oppure indiretto, specialmente con droghe non iniettive e con l’alcol, in quanto può comportare comportamenti poco responsabili, come il sesso non protetto, dovuti alla poca lucidità in conseguenza dell’uso di queste sostanze. Oltre all’HIV/AIDS si sono sollevati molti altri problemi collegati all’abuso di droga e alcol, come quello dell’epatite, delle conseguenze di natura legale e criminale, degli incidenti automobilistici, della violenza domestica e della comorbilità di disordini psichiatrici.

Tutti i Paesi del MENA riportano la trasmissione di HIV attraverso la condivisione di aghi contaminati tra tossicodipendenti.
L’uso di droghe iniettive è il principale metodo di trasmissione dell’HIV in Iran e in Libia. In Libia, il 90% delle nuove infezioni, generalmente tra uomini, è attribuito all’uso di droga iniettiva. Al contrario, in Egitto, la percentuale delle trasmissioni da HIV attribuite ai consumatori di droghe iniettive è molto bassa. In Marocco molti bambini che vivono per strada sono consumatori di droghe inalanti e di cannabis; in Libano, è molto alto l’uso di benzodiazepine che sono spesso vendute senza prescrizione medica e per cui si necessita una regolamentazione legislativa. In Iran, quasi quattro milioni di persone fanno uso di oppioidi, di cui l’Afghanistan è tra i principali produttori mondiali; allo stesso modo consumi rilevanti sono riportati in Bahrain e in Oman. Il consumo di qāt è molto diffuso a Djibouti, in Somalia e in Yemen. In Palestina, il problema delle droghe iniettive è inferiore e sono disponibili, ma non gratuiti, aghi sterili.

Una stima della World Bank calcola che meno dell’1% di tutti i tossicodipendenti nel MENA ha accesso a interventi di riduzione del danno che includono il trattamento di sostituzione della droga con il metadone e i programmi di scambio di aghi.
Un problema legato alla droga e all’HIV è sicuramente quello del mondo carcerario, dove l’utilizzo di sostanze stupefacenti dilaga e dove i controlli di HIV, specialmente nei Paesi a reddito medio/basso, sono a livelli infimi. Le prigioni sono spesso sovraffollate e caratterizzate da un’atmosfera di violenza e paura. Quando l’utilizzo di droga avviene per via iniettiva, le siringhe e gli aghi, essendo pochi, illegali e difficili da nascondere, sono quasi sempre condivisi. A volte anche fino a venti persone possono usare lo stesso ago, altre volte l’ago è di proprietà di un detenuto che lo affitta ad altri, altre volte ancora invece è usato esclusivamente da una persona, ma moltissime volte, anche per mesi. A volte, la siringa è fatta in casa e l’ago è sostituito da un pezzo di plastica rigido ricavato da penne a sfera, che spesso causa danni alle vene, cicatrici e ulteriori infezioni. Il rischio dell’HIV in prigione è legato, seppur in misura minore, anche al sesso non protetto e ai tatuaggi, spesso fatti senza materiale sterile. Il discorso dell’HIV in prigione non è un discorso chiuso esclusivamente all’ambiente carcerario, ma va a inficiare la salute e la sanità pubblica. I detenuti sono in continuo contatto con la comunità e spesso, quando sono imputati di reati minori, entrano ed escono di prigione. Questo significa che qualunque cosa venga fatta per promuovere la salute nelle carceri, essa avrà un impatto sulla salute anche delle persone al di fuori di esse.

In Iran all’inizio del nuovo millennio, dopo che i talebani in Afghanistan vietarono la coltivazione di oppio, ci fu un notevole aumento dei prezzi, dovuto a una diminuzione di disponibilità della droga. Questo portò molti consumatori di oppio o a iscriversi in centri di trattamento per l’abuso di droghe, che però erano inaccessibili per molti, o a iniziare a utilizzare l’eroina come alternativa. A causa del notevole numero di persone tossicodipendenti in Iran, il governo ha deciso di avviare un approccio più pragmatico per occuparsi dell’abuso di droga, allontanandosi dalle severe politiche punitive dell’era post-rivoluzionaria. Anche a causa dell’alta presenza di tossicodipendenti nelle carceri, l’enfasi fu posta sulla graduale decriminalizzazione della tossicodipendenza. Alcune leggi degli anni Novanta hanno eliminato la pena di morte per i consumatori di droga che vogliono riabilitarsi. Nonostante l’abuso di droga sia ancora considerato un crimine in Iran, viene sempre più accettata la tossicodipendenza come una situazione clinica.

Il numero di detenuti in Iran è comunque ancora alto ed essi presumibilmente presentano alti tassi di infezione da HIV. Questo Paese, la Libia, l’Algeria e il Libano hanno sviluppato programmi per gli interventi per l’HIV/AIDS in ambito carcerario. L’Iran ha adottato delle misure all’avanguardia nelle sue prigioni che sono riconosciute dall’Ufficio delle Nazioni Unite per le Droghe e il Crimine come un modello da estendere agli altri Paesi. Esso è uno degli appena ventidue Paesi al mondo ed è stato il primo Paese del MENA, nel 2003, ad avviare un progetto di terapia di sostituzione degli oppioidi con il metadone in carcere, con risultati sorprendenti: c’è stata una significativa riduzione dell’uso di droga per via iniettiva, fondamentale per arrestare la diffusione dell’HIV e anche una diminuzione del 90% dell’autolesionismo e del comportamento violento.

Questo Paese sta compiendo anche importanti sforzi con la costruzione di centri di disintossicazione e riabilitazione, le cosiddette cliniche triangolari, grazie alle quali si erge a leader regionale nel campo della lotta alla tossicodipendenza. L’Iran, tramite queste cliniche, da quattordici anni offre consulenza e test su base volontaria, distribuisce preservativi e siringhe sterili, offre educazione e consulenza sulla tossicodipendenza e sulle IST. Queste cliniche sono supportate da un’estesa rete di cliniche private, ambulatori e ONG che forniscono servizi di riduzione del danno, incluse siringhe sterili e la terapia di mantenimento col metadone. Dal 2008, l’Iran si è concentrato esplicitamente sui bisogni delle donne maggiormente a rischio, tramite più di venti Centri di Consulenza per le Donne Vulnerabili. Gli staff dei centri sono composti da sole donne (medici, psicologhe, assistenti sociali, ostetriche e altri operatrici sanitarie) e forniscono una vasta gamma di servizi per lavoratrici sessuali, donne tossicodipendenti, per mogli di tossicodipendenti e di detenuti. Questa iniziativa in principio non è stata accolta positivamente da tutte le comunità locali e si è registrata una forte opposizione in alcune regioni. Da altre parti, però, il progetto ha ottenuto un’accoglienza positiva da parte delle persone del luogo, oltre che da coloro che ne hanno beneficiato.

Altro problema da valutare è proprio la relazione donne/droghe/HIV. Con il matrimonio prematuro, talvolta, le donne sono introdotte alla droga da parte del marito, altre volte iniziano a utilizzarla tramite il fidanzato o, se lavoratrici sessuali, con i clienti. Le donne offrono sesso in cambio di droga, o su loro libera iniziativa o sotto pressione dei loro partner. Le donne tossicodipendenti spesso non ricevono alcun aiuto dalle famiglie, diversamente da quanto accade agli uomini e, tanta è la stigmatizzazione associata alle donne che fanno uso di droga, che poche vogliono cercare aiuto o ricevere un trattamento, persino laddove è disponibile e viene fornito senza pregiudizi morali. L’utilizzo del preservativo è difficile da negoziare tanto per le donne tossicodipendenti quanto per qualsiasi donna, e l’accesso a servizi di assistenza sanitaria, specialmente durante la gravidanza, è raro.

Il caso libico: I medici sostengono che in Libia si sta registrando un crescente numero di pazienti con problemi di droga e a relativo rischio di HIV, nel periodo post-Gheddafi, caratterizzato da un’applicazione limitata della legge e da scarsa efficacia degli apparati governativi. Sempre più persone si recano in ospedale per richiedere aiuto. E questo è un effetto collaterale della rivoluzione, con un controllo debole delle frontiere e una maggiore richiesta di cure, in certi casi dovuta al fatto che molti individui sono diventati profughi, sono rimasti feriti o hanno perso i propri cari durante l’insurrezione. L’unica clinica specializzata in tossicodipendenza in Libia, al-Irada, si trova a Benghazi e la maggioranza dei casi da essa trattata riguarda l’eroina. Uno studio condotto dalla Liverpool School of Tropical Medicine, pubblicato nell’aprile 2013 e basato su dati raccolti a Tripoli prima della rivoluzione, ha concluso che l’87% dei consumatori di droghe iniettive aveva contratto l’HIV. Questo dato rappresenta il tasso più alto al mondo (per fare un paragone, a Tunisi questa percentuale è del 2,6% e al Cairo del 7,7%). Inoltre il 94% risultavano positivi all’epatite C e l’83% presentava entrambe le infezioni.

Quest’epidemia di HIV circoscritta principalmente nella comunità di tossicodipendenti e in misura minore degli MSM, deve essere fermata per evitare una crisi di proporzioni ancora maggiori. Purtroppo però i servizi sanitari sono limitati e la clinica al-Irada dispone solo di quaranta posti e non può in alcun modo fornire un trattamento a tutti quelli che lo richiedono. Il problema che impedisce di arginare quest’epidemia è quello di non conoscere i numeri reali dei consumatori di droghe iniettive e dei tossicodipendenti e del resto già sotto il regime di Gheddafi la questione droga era ampiamente ignorata. I dati parlano di 12.000 persone sieropositive, ma è una cifra ampiamente sottostimata, in quanto molte persone sieropositive non sono entrate in contatto con medici o altre istituzioni che ne hanno potuto certificare lo stato sierologico (ad es. nelle carceri). Per avere un quadro più preciso, ci sarebbe bisogno di finanziamenti maggiori da parte del governo libico o di donatori internazionali, e soprattutto si dovrebbe tenere conto dell’impatto che la guerra ha avuto sulla prevalenza dell’HIV: le persone si sono sparpagliate, è aumentata la prostituzione e la violenza e l’eroina può essere reperita con maggiore facilità. Le IST sono facilmente trasmissibili in questo tipo di situazioni.

Nonostante a seguito dello studio della Liverpool School il governo abbia deciso di trattare il rapporto HIV/droghe come una priorità nazionale, non si è fatto ancora niente finora. Infatti, non si registra ancora una distribuzione di aghi sterili e non si sono svolti corsi di formazione per i medici, che non sanno come affrontare il problema. L’epidemia di HIV e l’aumento di persone tossicodipendenti rischia anche di minacciare la stabilità nazionale, con lo spaccio di droga che alimenta la violenza e la morte di persone nella loro età maggiormente produttiva.
Altri due fattori di cui tenere conto sono la stigmatizzazione a cui è associata la malattia, ma anche e, forse, soprattutto, una deficitaria educazione di base sulle droghe e sull’HIV, la cui carenza è aggravata dal fatto che molti bambini entrano in contatto con sostanze stupefacenti sin dalla scuola primaria. Come detto, nell’era Gheddafi non veniva dato molto peso a questo problema, ma dopo la rivoluzione, molti dei programmi educativi, che pure erano stati approntati, sono andati persi a causa del caos che si è venuto a creare.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La Problematica dell’HIV/AIDS in Medio Oriente e in Nord Africa

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Informazioni tesi

  Autore: Carlo Boccaccino
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"
  Facoltà: Linguistica e Traduzione Specialistica
  Corso: Lingue e Letterature Straniere
  Relatore: Maria Avino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 335

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