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Da Basilea II a Basilea III: misure di rischio e nuove regole

Basilea I e II: prime regolamentazioni per le istituzioni finanziarie

Le crisi che hanno scosso i sistemi bancari internazionali, soprattutto sul finire degli Anni ’70, hanno indotto gli organi di coordinamento delle attività di vigilanza alla ricerca di metodologie idonee ad assicurare un livello di stabilità soddisfacente, tenendo conto delle varie tipologie di rischi in cui una banca può incorrere nell’esercizio della propria attività.

Quando una banca sviluppa un proprio sistema di risk management, deve tenere conto dei vincoli derivanti dalla regolamentazione. Il principale vincolo regolamentare è oggi rappresentato dai requisiti patrimoniali obbligatori originariamente proposti dal Comitato di Basilea nel 1988 e successivamente recepiti dalle autorità di vigilanza di oltre 150 Paesi, tra cui i Paesi dell’Unione Europea.

Come si vedrà nel corso del capitolo, i requisiti patrimoniali del 1988 hanno avuto un ruolo essenziale nel determinare le politiche gestionali delle banche (effetti microeconomici) e nel rafforzare la stabilità del sistema bancario internazionale (effetti macroeconomici).

Sul piano microeconomico i requisiti patrimoniali hanno influenzato le linee di sviluppo e la cultura aziendale delle singole banche, facendo emergere nuovi modelli gestionali e organizzativi. Sul piano macroeconomico va ricordato che l’Accordo del 1988 è risultato efficace nel rendere più omogenei gli standard di patrimonializzazione dei diversi sistemi bancari nazionali, rafforzandone la stabilità.

I requisiti patrimoniali, inizialmente focalizzati sul solo rischio di credito, sono stati successivamente estesi anche ai rischi di mercato (nel 1996) e ai rischi operativi (nel 2004). Nel 2004 il Comitato di Basilea ha completamente riscritto le regole del 1988 sui rischi di credito, articolando meglio i requisiti patrimoniali minimi obbligatori e attribuendo un ruolo più esteso ad altri due strumenti di controllo prudenziale: l’attività di supervisione svolta dalle singole autorità di vigilanza nazionali e la disciplina esercitata dal mercato nei confronti delle banche.

Negli ultimi vent’anni tutte le grandi banche internazionali hanno effettuato ingenti investimenti in risorse umane e tecnologiche per ristrutturare il proprio modo di misurare e gestire il rischio di credito. Non si tratta di una semplice innovazione di carattere tecnico, legata alle modalità di misurazione del rischio, ma di una rivoluzione che ha investito una delle aree più tradizionali e consolidate dell’attività bancaria e che coinvolge aspetti come ad esempio le modalità di selezione delle controparti e di determinazione dei prezzi, le modalità di misurazione dei risultati e quelle di determinazione degli incentivi.

Alla base di questo processo di ristrutturazione vi è lo sviluppo di modelli per la misurazione del rischio di credito che quantificano in modo appropriato il grado di rischio associato alle esposizioni creditizie e consentono alla banca di utilizzare in modo più efficiente la propria capacità complessiva di assumere rischio. Tali modelli seguendo la medesima logica adottata dai modelli VAR relativi ai rischi di mercato, si propongono di stimare il grado di rischio di una certa esposizione creditizia (prestito, titolo obbligazionario, derivato, ecc.) o di un portafoglio di esposizioni e il relativo assorbimento di capitale economico.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Da Basilea II a Basilea III: misure di rischio e nuove regole

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandro Di Gesù
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Parma
  Facoltà: Economia
  Corso: Finanza
  Relatore: Paola Modesti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 142

FAQ

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