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Tell a story: nascita ed evoluzione del giornalismo d'inchiesta e di mafia

Come si racconta oggi la mafia: servizi televisivi, film e fiction

Un ruolo chiave nel parlare di mafia ai telespettatori va senz’altro conferito ai notiziari. I telegiornali, ai giorni d’oggi, sono una lente d’ingrandimento sul mondo, un’estensione, un prolungamento dei nostri sensi, in questo caso della vista.
Immagini come quelle trasmesse in occasione delle stragi di Capaci e Via d’Amelio sono da considerarsi come gli antenati del mediashock e dell’ipermediazione: le stragi sconvolgono perché inaspettate, i servizi televisivi non sono preparati perciò sono percepiti come se non fossero mediati, ma al contempo i servizi silenziosamente preparano il terreno per il “potrebbe succedere ancora”, avvertono lo spettatore sulla possibilità che l’evento possa ripetersi.
La notizia al telegiornale deve suscitare qualcosa oltre allo svolgere il compito primario di informare su un evento significativo. E di sicuro un tema particolarmente sentito in Italia, come la mafia, si presta a questa funzione; basti pensare alla sensazione di sollievo che l’arresto
del super latitante Totò Riina ha suscitato non solo in Italia, ma all’estero dove le immagini della sua cattura si sono diffuse a macchia d’olio. Allora si pensava che con l’arresto del “capo dei capi” la mafia avrebbe cessato di esistere.
Gli occhi puntati sugli sviluppi del caso: Riina non si pente, il fratello ha preso il suo posto, il boss chiede l’esenzione dal 41 bis: sta male, l’avvocato di Totò chiede cure al di fuori del carcere e uno sconto della pena.
L’attenzione viene poi spostata sulla famiglia del boss e sulle famiglie delle vittime che egli stesso ha mietuto: la famiglia Riina chiede rispetto, sua figlia inoltra domanda per il bonus bebè, il figlio viene arrestato e in seguito rilasciato, si professa fiero del cognome che porta.
La figlia del giudice Borsellino, Lucia, si apre ai microfoni del Tg2 chiedendo giustizia e verità per suo padre. Rita Dalla Chiesa lancia un duro attacco alla giustizia: “se Riina verrà rilasciato non crederò più nella giustizia”. Servizi che sono entrati nelle case degli italiani come un boomerang fino al giorno della sua morte che segna la fine di un’epoca del terrore.
È il 17 luglio del 2017, il Tg3 dà la notizia della richiesta di autopsia sul corpo di Riina, i funerali in forma strettamente privata, i familiari hanno ottenuto il permesso di vederlo e chiesto riservatezza e rispetto. Il servizio si chiude così, con le parole del Ministro Orlando: “Questo marca la differenza tra lo Stato e chi per le sue vittime non ha mai avuto pietà”. Mediaset ripercorre le tappe della vita del boss che non ha mai dato segni di cedimento e si vantava di aver fregato lo Stato che non lo cercava tra i turisti mentre lui era tra di loro, Sky tg24 manda in onda uno speciale sulle vittime di Riina, le Iene si chiedono chi sarà il suo successore e incontrano i possibili candidati al Governo di Cosa Nostra.

Rabbia, sollievo, indignazione. Queste le emozioni suscitate dai servizi televisivi sul caso Riina, ma non solo, basti pensare alla rabbia di Roma quando, il 20 agosto del 2015, le immagini del funerale in pompa magna di Vittorio Casamonica fanno il giro del web e dei notiziari: una carrozza trainata da cavalli neri, un elicottero che lancia sulla capitale petali di rosa, la colonna sonora del Padrino. Tutto alla luce del sole, ma nessuno sa niente di quello che Quinta Colonna ha definito il “Funerale dello Scandalo”. La mafia si è fatta gioco dello Stato e ha reso Roma un teatro a cielo aperto inerme davanti all’ennesimo scempio subito.
Immediate dopo la diffusione delle immagini le reazioni dei romani che accolgono l’allora sindaco Marino, che nonostante la gravità del fatto non tornò prima dalle sue vacanze estive, con insulti e rancore.
Immagini di arresti, ville, rivalità fra clan invadono lo schermo televisivo, come nella lunga inchiesta su Mafia Capitale e sul Clan Spada ad Ostia.
I notiziari non lasciano spazio ad alcun dubbio: la mafia esiste ancora e combatterla è un’impresa, ma denunciarla, informare i cittadini è un passo in più verso la libertà.
A dare man forte ai notiziari intervengono il cinema, ma ancor di più le serie tv su piccolo schermo. È il segno che più la mafia colpisce più si avverte il bisogno di raccontarla.

Le docufiction e i film: una memoria collettiva contro la mafia
È il 1972 quando nelle sale cinematografiche americane si trova il film “Il Padrino”, tratto dall’ omonimo romanzo di Mario Puzo e con la regia di Francis Ford Coppola, destinato a diventare unico nel suo genere per l’attenzione e la minuzia con la quale riesce a descrivere l’organizzazione mafiosa: il funzionamento della “famiglia”, gli ideali che muovono i mafiosi.
Il film narra delle imprese della famiglia dei Corleone e all’epoca divenne il film con maggiori incassi al box office nazionale (superato solo dallo Squalo di Spielberg qualche anno dopo), vinse cinque Golden globe e tre premi oscar: miglior attore, miglior film e miglior sceneggiatura. Il successo fu tale da portare alla realizzazione di altri due film (1974 e 1990).
L’ascesa del tema mafia su grandi e piccoli schermi ha inizio senz’altro da qui, da un film americano che descrive il male che affligge l’Italia, e arriva fino agli anni 2000 senza perdere colpi arricchendosi di scenari che vanno oltre il realismo, come nel caso del film The Departed (2006) che parla di un poliziotto infiltrato negli ambienti della malavita, opera puramente di fantasia, o che narrano della vita delle vittime mietute dalla mafia come il film “I cento passi” (2000) sulla storia di Peppino Impastato.
Non manca il racconto ironico sulla mafia, quello che fa ridere e la ridicolizza pur lasciando allo spettatore un retroscena amaro: “La mafia uccide solo d’estate” dal quale è stata tratta anche una serie tv.
Dato il successo cinematografico ottenuto, a parlare di mafia ci prova anche la tv attraverso le fiction che in questo caso hanno una sottocategoria: le docufiction.
Il termine docufiction viene dall’inglese, precisamente dall’unione di due parole “documentary” e “fiction”, non sono altro che fiction che trattano fatti reali prevalentemente sociali o di carattere storico. Le più celebri in questo campo sono “Ultimo” che narra la storia del capitano Di Stefano, colui che effettuò con la sua squadra l’arresto di
Riina, “Il Capo dei Capi” seguito in carcere dallo stesso Riina, “57 giorni” sulla vita di Borsellino dopo Capaci, “Paolo Borsellino” commovente racconto nel quale sono state inserite anche le vere immagini della strage e dei funerali dei giudici.

Sempre in questo campo il ciclo “Liberi Sognatori” costituito da quattro film, andati in onda nel 2018 su Mediaset, sulla storia di uomini e donne che hanno sacrificato la loro vita mettendosi contro la mafia, a difesa del bene comune e dello Stato: l’imprenditore tessile Libero Grassi che si rifiutò di pagare il pizzo, il giornalista Mario Francese ucciso per le sue indagini su una ditta appartenente, grazie ad un prestanome, a Riina, Emanuela Loi unica donna della scorta del giudice Borsellino, morta nella strage di Via D’Amelio e il sindaco Renata Fonte che ostacolò la costruzione di un villaggio turistico nell’aria protetta di Porto Selvaggio, bloccando le concessioni edilizie.
Storie vere raccontate affinché di coloro che hanno combattuto la mafia non resti soltanto un vago ricordo.
[…]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Tell a story: nascita ed evoluzione del giornalismo d'inchiesta e di mafia

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Informazioni tesi

  Autore: Erika Chilelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi della Tuscia
  Facoltà: Scienze umanistiche, della comunicazione e del turismo
  Corso: Comunicazione, tecnologie e culture digitali
  Relatore: Giovanna Tosatti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 86

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