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MEMEVERTISING - Il linguaggio dei meme nella comunicazione pubblicitaria online

Dal visual al meme

Lo sfruttamento dei canali digitali per una comunicazione al passo con gli elementi distintivi dei nuovi media porta con sé un necessario aggiornamento e adeguamento dei contenuti pubblicitari ai linguaggi del web.
Non ci dovrebbe stupire, quindi, se oltre a un processo di innovazione volto a ricalcare i modelli di partecipazione, istantaneità, multimedialità di internet, le agenzie di marketing si siano interessate alle produzioni spontanee e ai fenomeni virali della rete.
In quest’ottica, il meme rispetta pienamente le caratteristiche utili allo sviluppo di una strategia di comunicazione digitale. E, come vedremo negli esempi del prossimo capitolo, l’utilizzo dei meme come advertising non è più prerogativa dei social network, ma può valicare le mura informatiche per riadattarsi a forme di pubblicità più tradizionale, generando un interessante contrasto tra l’immaginario del web e i modelli più statici delle inserzioni analogiche.
Questo dimostra poi, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che non è più possibile (lo è mai stato?) pensare a internet come a un universo rinchiuso nei nostri dispositivi elettronici, perché genera una cultura pervasiva e suggerisce un nuovo modo di guardare la realtà e l’irrealtà a cui non si può rimanere indifferenti.
I meme, dicevamo. Ancora loro. Verrebbe quasi da chiedersi perché non siano presenti all’interno di ogni campagna pubblicitaria online. La struttura base di questo linguaggio, la più diffusa, si compone infatti di un visual e di un copy, di un’immagine accompagnata da un testo. E questo è, senza bisogno di rifletterci troppo, la forma di quasi tutte le pubblicità.
Nell’esempio (2), Solvi Stubing regge una pinta di birra Peroni. In alto, capeggia l’headline “chiamami PERONI sarò la tua birra”. Immagine più testo. Ma è evidente che non si tratti di un meme. Che cosa manca? Basandoci su una frettolosa definizione di questo linguaggio, il meme deve essere divertente. Non è sempre vero, ma sicuramente l’umorismo, a tratti black e dissacrante, è una caratteristica piuttosto rilevante.
Nella seconda immagine (3) invece, le cose si complicano. Il noto marchio Ferrarelle si posiziona sul mercato delle acque in bottiglia come via di mezzo alternativa tra liscia e gassata. Il concept è abbastanza chiaro: la Monnalisa, simbolo per eccellenza dell’opera d’arte e del fascino inimitabile, della perfezione, non hai capelli né lisci né gassati (mossi), ma Ferrarelle.
Ora, ricollegandoci ai tentativi di descrizione del fenomeno meme dei capitoli precedenti, apparirà evidente come alcune caratteristiche di questa pubblicità siano simili. Innanzitutto, la réclame di Ferrarelle impiega, al contrario di Peroni, un linguaggio scanzonato e ironico. Non si ride a crepapelle, ma si apprezza un divertito tono di voce che non si allontana neanche troppo dal tipo di umorismo memetico. Inoltre, il riutilizzo di un’icona come la Gioconda, già sfregiata da una cultura
beffarda come quella dadaista, rientra in pieno nella strategia di appropriazione pop tipica dei meme. Così come la suddivisione dell’immagine in quattro vignette, cara ai fumetti, e la preparazione di una battuta che si risolve e si comprende solo nel finale.
Pare pertanto che questo tipo di comunicazione abbia, se non tutte le carte in regola, abbastanza da trasformarsi in un meme simpatico. Anche in questo caso, tuttavia, difficilmente verrà considerata come tale. E non solo per l’evidente natura analogica della pagina su cui è stampata. Ma piuttosto per l’essenza statica di questo tipo di comunicazione, offerta dall’alto verso il basso attraverso un broadcasting a senso unico. La risata che può scatenare non è poi frutto di un meccanismo di rielaborazione e partecipazione, ma è propria del significante stesso.
Se questa pubblicità fosse però apparsa oggi, magari come post su un social network, le cose sarebbero diverse. Lo spazio digitale non la trasformerebbe automaticamente in meme, ma permetterebbe al pubblico di consumatori e utenti della rete di impossessarsene per ricalcare nuove forme visive e soluzioni comiche.
Questo significa che potrebbe diventare un meme. L’immagine di partenza rimarrebbe tuttavia una semplice pubblicità composta da visual più testo, assumendo però adesso la funzione di cornice memetica.
Diverso è invece il caso di un’agenzia che decida di sfruttare il linguaggio dei trend memetici, entrando così a far parte del processo di reinvenzione di contenuti.

Questo brano è tratto dalla tesi:

MEMEVERTISING - Il linguaggio dei meme nella comunicazione pubblicitaria online

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Informazioni tesi

  Autore: Niccolò Cazzola
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2020-21
  Università: Civica Scuola di Cinema "Luchino Visconti"
  Facoltà: Arte e Tecnologia del Cinema e dell’Audiovisivo
  Corso: Sceneggiatura
  Relatore: Ira Rubini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 64

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