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L'intelligenza artificiale nella pubblicità: impatto, applicazioni e aspetti etici

Diritto d’autore sulle opere generate autonomamente

Le opere generate da AI si possono suddividere in due categorie principali: quelle generate da programmi AI con l’assistenza o l’input fornito da esseri umani (ciò che abbiamo visto nei paragrafi precedenti), e quelle generate autonomamente da programmi informatici. Queste ultime non sono soggette a copyright se non condizionate da attori umani (come richiesto dal Copyright Office), e di conseguenza ricadono direttamente nel pubblico dominio a seguito della loro creazione. Si tratta di un problema che sarà sempre più frequente vista il rapido sviluppo ed espansione dei sistemi di AI. La pubblicazione nel pubblico dominio delle opere creative presenta un significativo svantaggio: senza un periodo di protezione definito, gli sviluppatori non avranno incentivi tangibili per continuare a creare, utilizzare e migliorare le loro capacità. In breve, nonostante gli investimenti significativi di tempo e risorse da parte dei programmatori e delle aziende, la mancanza di protezione del diritto d'autore impedisce loro di godere dei benefici finanziari ad essi associati. Questa situazione potrebbe scoraggiare gli investimenti nella ricerca sull'AI, favorendo non solo il possibile declino di questa tecnologia, ma anche dell'innovazione in vari settori correlati. Dunque, le opere protette da copyright non solo incentivano la creatività, ma contribuiscono anche all'arricchimento del pubblico dominio dopo la scadenza del copyright. Sebbene la soluzione più semplice potrebbe apparire quella di ridefinire la paternità del diritto d’autore per includere anche gli autori non umani, tale prospettiva minerebbe l’attuale sistema legale statunitense alimentando ulteriore incertezza. Appare ora evidente che i possibili soggetti abili a rivendicare il diritto d’autore delle opere generate AI sono sostanzialmente tre: i programmatori di AI, i proprietari (grandi aziende e investitori finanziari del settore) e gli utenti finali.

Per determinare il miglior detentore possibile del copyright, è cruciale valutare il beneficio sociale complessivo. Dato che gli utenti finali hanno contribuito in maniera ridotta allo sviluppo iniziale dell'AI, le loro rivendicazioni di paternità assumono un'importanza minore, oltre ad essere svantaggioso per l’intera crescita del settore. Per Hristov (2016), una soluzione efficace è fornita dalla dottrina del made for hire19 (2012), secondo cui se un'opera viene creata per conto di terzi, il datore di lavoro (un’azienda, un’organizzazione o un individuo) è riconosciuto come l'autore, anche se l'effettiva creazione è stata realizzata da un dipendente. Nell'ottica di un'interpretazione relativa al nostro contesto, è possibile considerare un sistema di AI come un dipendente, in quanto i suoi servizi generativi sono utilizzati dal programmatore o proprietario. D'altra parte, il datore di lavoro può essere identificato come colui che impiega i servizi di un'altra entità per raggiungere un obiettivo o completare un compito, dunque persone fisiche e giuridiche capaci di rispondere. Riassumendo, la paternità non verrebbe assegnata al creatore non umano dell’opera, ma piuttosto al suo datore di lavoro umano, soddisfacendo di fatto il requisito dell’U.S Copyright Office. Questa reinterpretazione dei termini "datore di lavoro" e "dipendente" nella dottrina del made for hire potrebbe rivelarsi cruciale per il futuro dello sviluppo dell'AI.



19 U.S Copyright Office, Circular 9: Works Made For Hire

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'intelligenza artificiale nella pubblicità: impatto, applicazioni e aspetti etici

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandro Tamanti
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2022-23
  Università: Università degli Studi di Urbino
  Facoltà: Informazione, Media, Pubblicità
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Fabio Giglietto
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 52

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