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La politica estera dell'ENI di Mattei

Enrico Mattei e l'Eni

Dow Votaw nel suo Il cane a sei zampe analizza in questo modo la situazione energetica italiana e le problematiche del suo sviluppo: “Uno tra i fattori che impedirono all’Italia di entrare a far parte, insieme con altre nazioni europee, della moderna società industriale fu la mancanza di fonti d’energia abbondante e a buon mercato. (…)

L’Italia importava quasi tutto il suo fabbisogno di petrolio, il che contribuiva ulteriormente a ridurre la bilancia valutaria e a limitare l’espansione”. La storia dell’ENI nasce attraverso l’AGIP (Agenzia generale italiana petroli), ente statale per la produzione (estrazione), lavorazione e distribuzione petrolifera.

Costituitasi nel 1926 per volere del regime fascista, l’AGIP aveva origine da “una sorta di compromesso tra lo Stato, che ne aveva apportato interamente il capitale, e i gruppi direzionali che ne dovevano gestire gli esordi per la ricerca petrolifera e il commercio dei carburanti, che appartenevano invece in gran parte ad alcune delle principali famiglie della finanza e dell’industria privata”.

L’attività dell’AGIP all’estero non si spinse oltre la regione balcanico-danubiana (in particolare in Romania e Albania). Vi furono, in realtà, delle possibilità per un approdo della compagnia italiana in Iraq, nel 1928. In quell’anno gli eredi dell’ex sultano Abdul Hamid si dichiararono disposti a offrire ad acquirenti italiani i diritti di proprietà vantati su vaste aree della zona di Mossul. L’AGIP nel 1932 acquistò una partecipazione minoritaria in una società, la BOD (British Oil Developments), che aveva ottenuto un’importante concessione sempre nella zona di Mossul.

Con la partecipazione della compagnia italiana e di altre straniere, la società prese il nome di Mossul Oilfields. In vista della fine del mandato inglese, il governo italiano prestò particolare attenzione alle vicende dell’Iraq. Si parlò anche dell’eventualità di un appoggio italiano chiesto da re Feisal per un ritorno dell’ex re Alì nella regione dell’Hegiaz in Arabia Saudita. Questo avrebbe portato considerevoli vantaggi per le concessioni petrolifere in Iraq per l’AGIP. Ma l’occasione fallì ben presto.

Infatti, nonostante l’AGIP fosse riuscita ad ottenere il 52% della Mossul dopo la rinuncia degli investitori inglesi ad un nuovo aumento di capitale, sopraggiunse la campagna d’Etiopia e non fu più possibile proseguire nell’impresa . Le sanzioni e gli sforzi finanziari si sommarono alla proibizione di prestiti e crediti nonché alle pressioni britanniche nei confronti degli italiani affinché lasciassero l’Iraq.

Così, nel 1936, proprio quando cominciava ad affiorare l’enorme ricchezza di quei pozzi petroliferi, l’AGIP decise di cedere la propria quota di capitale alle compagnie anglofranco- americane che facevano parte dell’Iraq Petroleum Company (IPC). Il regime fascista aveva deciso di sacrificare i reali interessi del paese “a una politica estera di prestigio e di facciata” proprio nel momento in cui l’Italia stava raggiungendo l’emancipazione dall’estero per il petrolio che avrebbe potuto farne una potenza esportatrice di greggio. Da quel momento, come ha scritto Paul H. Frankel, “il campo era aperto solo a professionisti” e “i dilettanti che volessero avventurarvisi lo avrebbero fatto a loro rischio e pericolo” .

Questo brano è tratto dalla tesi:

La politica estera dell'ENI di Mattei

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Informazioni tesi

  Autore: Luca Paccusse
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Fortunato Minniti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 59

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