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La digitalizzazione della propaganda di odio razziale. Una prospettiva comparata

Evoluzione della disciplina giuridica sui discorsi d’odio in Italia

In forza del principio per cui «nessun diritto nasce illimitato e […] qualunque diritto costituzionale deve confrontarsi con gli altri e con gli interessi della collettività», l’ordinamento si pone a garanzia della libertà di espressione sino a quando la mera manifestazione di opinioni personali sfocia nell’«incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». Nella macrocategoria delle espressioni offensive, perseguite dall’ordinamento, rientrano i discorsi di odio, ovvero manifestazioni dei conflitti tra gruppi o categorie diverse, all'interno della società e tra popoli diversi. È funzionale alla comprensione del fenomeno dell’hate speech, l’individuazione delle dinamiche psicologiche atte a innescare relazioni di odio tra gruppi o singoli individui. In quest’ottica, l’odio è un sentimento negativo generato da un’alterazione sistematica dei processi cognitivi di categorizzazione che ciascun individuo pone in essere per consolidare la propria identità, distinguendo sé stesso dalla collettività. In altri termini, si genera quando la creazione di un’immagine positiva di sé e del proprio gruppo si traduce nella svalutazione sistematica degli altri gruppi, con conseguente mutazione degli stereotipi in pregiudizi. La razionalizzazione dell’odio porterà l’aggressore a ritenere leciti, o addirittura necessari per difendersi, comportamenti esclusivi e lesivi della dignità altrui. I giudici, nella risoluzione dei casi giurisprudenziali, oltre a dover compiere un’operazione di valutazione, bilanciamento e conciliazione di un ensemble di diritti e libertà intangibili, devono affrontare varie problematiche sorte a causa della mancanza di una chiara linea di demarcazione che distingue i contenuti leciti da quelli offensivi. Tale assenza si ripercuote sull’impianto normativo destinato a contrastare l’hate speech che, in alcuni punti, viene definito scarno o di dubbia interpretazione. L’origine della disciplina giuridica contro gli hate speeches e gli hate crimes coincide con la Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966 e ratificata dall’ordinamento italiano con la L. 654/1975. Mediante l’art. 4, la Convenzione vincola gli Stati contraenti a prevenire e condannare come crimine, «ogni diffusione di idee basate sulla superiorità o sull’odio razziale, ogni incitamento alla discriminazione razziale, nonché ogni atto di violenza, od incitamento a tali atti diretti contro ogni razza o gruppo di individui di colore diverso o di diversa origine etnica». La disposizione include il dovere, in capo agli Stati, di dichiarare illegali le organizzazioni e le attività di propaganda razzista e l’obbligo di punire anche la mera partecipazione o i finanziamenti diretti alle suddette attività. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

La digitalizzazione della propaganda di odio razziale. Una prospettiva comparata

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Informazioni tesi

  Autore: Arianna Tondelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Parma
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Lucia Scaffardi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 98

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Parole chiave

italia
unione europea
libertà di espressione
diritto comparato
usa
new media
discriminazione
odio razziale
hate crimes
hate speech

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