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L’economia della felicità: analisi del rapporto tra benessere economico e individuale

Felicità, inflazione e disoccupazione

Molti individui considerano la felicità un fattore esclusivamente personale dipendente ad esempio dall’eredità genetica, dalle scelte private e dal carattere personale. Sappiamo però da quanto esposto in precedenza che le determinanti della felicità sono anche di natura economica quali il reddito, l’occupazione e l’inflazione. Tralasciando l’analisi della componente reddituale già osservata in precedenza vediamo quali sono gli effetti che occupazione e inflazione hanno sulla misurazione della felicità. È compito fondamentale delle istituzioni politiche assicurare il benessere dei cittadini e rimuovere gli ostacoli che impediscono il raggiungimento di tale benessere. Senza alcun dubbio il fenomeno della disoccupazione generalizzata intacca la dignità dell’individuo indebolendone l’autostima. È il lavoro infatti che conferisce dignità all’uomo, non il denaro o il potere o la cultura. Quando fenomeni quali inflazione e disoccupazione raggiungono livelli elevati il crollo della felicità collettiva è inevitabile e da ciò ne deriva una forte instabilità sociale. Occorre però soffermarsi ed analizzare le caratteristiche delle due variabili oggetto del nostro studio: l’inflazione è una riduzione del potere di acquisto dei cittadini che colpisce indistintamente tutta la popolazione anche se in misura diversa a seconda della situazione reddituale e patrimoniale; la disoccupazione colpisce invece solo una parte della popolazione ma crea allerta nella restante parte della popolazione, spesso chiamata a contribuire alle spese per il sostegno e il ricollocamento dei disoccupati.
Un indice per misurare l’incidenza della disoccupazione e dell’inflazione sulla felicità è il Misery Index, un indicatore creato dall’economista Arthur Okun, che misura il grado di miseria relativa di un Paese, ovvero la distanza da una condizione di massimo benessere. L'indice consente di determinare la condizione economica del cittadino medio ed è calcolato sommando il tasso di disoccupazione destagionalizzato per il tasso di inflazione annuale. Si presume infatti che sia un più alto tasso di disoccupazione che un peggioramento dell'inflazione creino costi economici e sociali elevati per un Paese. Proprio per tale motivo esso è anche chiamato indice di sofferenza o di infelicità. La formulazione dell'indice, come semplice somma non pesata di due parametri disomogenei, ha ricevuto delle critiche negative. Uno studio del 2001, condotto da Rafael Di Tella, Robert J. MacCulloch, and Andrew Oswald, basato su ricerche condotte su larga scala in Europa e Stati Uniti, evidenzia come la disoccupazione influenza in maniera maggiore la percezione dell'infelicità rispetto all'inflazione: gli individui scambierebbero una riduzione di un punto percentuale di disoccupazione per un aumento di 1,6 punti percentuali di inflazione. Ne consegue che il Misery Index sottovaluta l'infelicità attribuibile al tasso di disoccupazione, rispetto a quella attribuita all'inflazione. Lo studio in esame ha però il limite di trattare gli individui allo stesso modo trascurando importanti variabili quali l’età anagrafica, le istituzioni del mercato del lavoro e il grado di protezione dello stesso. È evidente infatti che l’effetto negativo sulla felicità individuale causato dalla perdita del posto di lavoro o dall’aumento della disoccupazione in generale non è lo stesso se consideriamo i giovani, i quali si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro, i lavoratori nel pieno della loro vita professionale o gli anziani in età pensionabile. Infatti il costo economico della perdita di lavoro per chi è prossimo alla pensione è minore rispetto al costo economico di un giovane che si trova all’inizio della propria carriera lavorativa. Inoltre il costo della disoccupazione è maggiore per i Paesi che presentano una notevole flessibilità del mercato del lavoro rispetto ai Paesi in cui tale mercato è altamente protetto e chi ha già un’occupazione detiene un forte potere sindacale riducendo così il rischio della perdita del posto di lavoro.
Un modo alternativo per misurare l’infelicità generata dall’aumento dell’inflazione e della disoccupazione è quello di misurare la quantità di denaro necessaria per compensare questi due fenomeni negativi e innalzare il livello di felicità. Dagli studi emerge che la somma di denaro necessaria per compensare l’aumento di un punto percentuale della disoccupazione è maggiore rispetto alla somma necessaria per compensare un aumento dell’inflazione della stessa entità. Ancora una volta notiamo che la disoccupazione viene percepita come un pericolo maggiore rispetto all’inflazione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L’economia della felicità: analisi del rapporto tra benessere economico e individuale

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Informazioni tesi

  Autore: Annamaria Fascetta
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi di Catania
  Facoltà: Economia
  Corso: L-33
  Relatore: Benedetto Torrisi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 105

FAQ

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Parole chiave

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diritto alla felicità
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20 marzo: giornata internazionale delle felicita'
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il denaro da la felicita'?
benessere individuale ed economico a confronto
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