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Gli iporchemi di Pindaro, commento linguistico e metrico dei frr. 105-117 Sn.-M.

Fortuna dell’iporchema: i cosiddetti canti iporchematici di Sofocle

Il fatto che il cordace sia comune sia a iporchema che a pantomimo, legati entrambi al baccano comico, ci può dare un’idea, sia pure vaga e incerta a proposito della direzione da seguire per poter classificare l’iporchema e della percezione differente rispetto all’emmeleia. Affascinante è il caso dei canti iporchematici, sezioni liriche della drammaturgia sofoclea che avrebbero utilizzato il cordace al posto dell’emmeleia; questo espediente poetico, volto a potenziare l’aspetto drammatico, esprime un momento di gioia e di esaltazione per un pericolo che sembra evitato in prima analisi, ma che poi si ripresenta, determinando una reazione ancor più disperata. A livello uditivo doveva dunque presentarsi come un momento di grande gioia e vivacità immediatamente precedente ad un ritmo decisamente più solenne e sommesso. È chiaramente una tecnica espressiva per potenziare e mettere in risalto il nodo centrale della tragedia. I canti, solitamente affidati al coro, vengono definiti iporchematici, non perché venga inscenato un iporchema al centro di una tragedia, bensì perché l’aggettivo ὑπόρχηματικόν in epoca alessandrina deve essere stato svuotato del suo significato più specifico per includere semplicemente la concezione di un coro che balla, forse vivacemente, mentre canta.
Gli stasimi in questione presentano una struttura similare tra loro che si potrebbe definire tripartita.
In tutti i casi infatti lo schema è:
1) primo annuncio di una notizia positiva o inaspettata dato il corso degli eventi;
2) il coro reagisce con danze e canti di gioia;
3) un secondo annuncio ristabilisce la situazione e la sintonizza con il carattere tragico dell’opera

[...]
Si nota in tutti i casi che la lunghezza approssimativa della sezione lirica iporchematica è di circa 50 versi. In tutte le tragedie a reagire positivamente è il coro, che appunto può ballare alla maniera iporchematica. Questa struttura ben definita manca completamente negli iporchemi propriamente detti: non sembrano esserci poemi caratterizzati né da una gran gioia, né al contrario da una gran tragicità. L’arbitrarietà dell’etichetta di “canti iporchematici” probabilmente deriva da Tzetzes, nel suo elenco delle varie parti della tragedia:

πρόλογος, ὁ ἄγγελός τε καὶ ἐξάγγελος πάροδος, ἐπιπάροδος, μεθ’ ὧν καὶ τὸ στάσιμον, ἕβδομον ὑπορχήματικόν ἀμοιβαῖον.
Il prologo, il messaggero e colui che riporta i messaggi dell’esterno, la parodo e l’epiparodo, dopo questi anche lo stasimo, il settimo è l’amebeo iporchematico.


Secondo Tzetzes si dovrebbe parlare di amebeo iporchematico: un canto in responsione accompagnato da danze. Le possibilità interpretative che si prospettano sono due: la caratteristica responsoriale era già tipica dell’iporchema in tempi remoti ma nessuna fonte lo tramanda; oppure molto più semplicemente si tende ad usare impropriamente l’aggettivo iporchematico per indicare una danza movimentata ed allegra, senza però alcun legame con il dialogo. Nonostante ciò, i canti iporchematici rappresentano un utile esempio di come l’aggettivo abbia subito una progressiva banalizzazione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Gli iporchemi di Pindaro, commento linguistico e metrico dei frr. 105-117 Sn.-M.

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Informazioni tesi

  Autore: Anastasia Di Giuseppe
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Roma Tor Vergata
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Archeologia, Filologia, Letterature e Storie dell'Antichità
  Relatore: Emanuele Dettori
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 202

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Parole chiave

pindaro
frammenti
iporchemi
metrica pindarica
danza nella grecia antica
lirica corale
linguistica greca

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