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“Un poeta pittor di grottesche”. Il ‘paragone’ fra arti e letteratura negli scritti di Anton Francesco Doni

Gli scritti d'arte, i testi satirici, l'epistolario: citazioni, metafore, incontri

Prima che sulle opere di finzione è bene concentrarsi sull'epistolario del Doni, che consente di definire e chiarire il tessuto di relazioni sociali dell'autore. La gamma dei numerosi destinatari delle lettere da me affrontate, tutte collocabili nel quinto decennio del XVI secolo, si compone sia di personaggi eminenti, come il divino Michelangelo, Montorsoli, Giorgio Vasari, Francesco Salviati, Jacopo Tintoretto, Monsignor Giovio o il Conte Agostino Landi, sia di figure mai identificate, ad esempio Simon Carnesecchi. Già questo scarno elenco dimostra, però, il coinvolgimento del Doni in un circuito culturale eccellente, all'interno del quale egli ci appare intento nello sforzo di costruire rapporti solidi e fruttuosi attraverso il continuo elogio e l'offerta dei propri scritti in cambio di favori ricevuti. Esemplare a questo proposito è una lettera al Buonarroti, scritta da Piacenza il 12 gennaio 1543, in cui Doni incensa con tono entusiastico la sagrestia di San Lorenzo, una Madonna col Bambino, la Biblioteca Laurenziana e la volta della Sistina e conclude con un sonetto innalzato all'“immortal Michelagnolo e divino”. Sorge, quindi, l'opportunità di chiedersi quale risonanza avessero gli interventi del Doni e se l'avessero. In questo caso, come nota il Clements, un passaggio dell'epistola viene tradotto da Francesco Curradi in un ritratto conservato in casa del Buonarroti raffigurante Michelangelo mentre viene condotto su una scala dalla Fama munita di ali e tromba.

Il 3 giugno dello stesso anno, ancora da Piacenza, Doni scrive al Montorsoli, stavolta preoccupato solo di mantenere viva un'amicizia nata in giovinezza, per ragguagliarlo sulle più recenti vicissitudini della propria vita. La stima fraterna induce l'autore ad aprire l'epistola con una lode ai contributi scultorei del Montorsoli nella sepoltura di Jacopo Sannazaro in Santa Maria del Parto a Napoli, descritta non sulla base della visione diretta, ma di quanto detto dallo stesso Montorsoli nella propria lettera. Il medesimo testo è utile anche a ricomporre la circolazione dei lavori del Montorsoli, poiché Anton Francesco ricorda di aver donato, giunto ad Alessandria, al signor Antonio Trotti e alla moglie Isabella Guasca due “modelli vostri”, probabilmente due disegni e, una volta a Milano, a Pietro Ghiglino, Canonico della Scala, “il quadro delle Muse”, alla signora Giulia Guasca, sorella di Isabella, “quell'altro dov'era il Cristo morto di basso rilievo”, forse anch'essi disegni.

Benché sparse in un'esistenza girovaga, come quella di molti suoi contemporanei, le esperienze artistiche fondamentali tra le quali Anton Francesco si muove appartengono alla tradizione fiorentina e a quella veneziana e lo si nota già solo osservando la rosa dei nomi dei suoi interlocutori.

Fra i tributi elargiti alla città natia vi è una lettera al protettore dell'Accademia Pellegrina, il nobile Cipriano Morosini, datata Venezia, 16 agosto 1549, in cui viene presentata un'opera in sei libri interamente dedicata alla civiltà fiorentina “per dare in luce perché la miseria de tempi spegne ogni cosa, et anchora che la città, o i templi, (come fa il tempo) o le case, si rovinassino; resterà pur la memoria et il disegno, di tanta et si bella città; luoghi, et paesi”. Il manoscritto, inviato al Morosini assieme al Disegno affinché lo revisionasse, non è mai stato dato alle stampe, forse, secondo quanto ipotizza Mario Pepe, perché il Doni non riuscì a recuperarlo dopo la morte, avvenuta di lì a breve, di Morosini o perché fu trafugato o distrutto da qualche letterato rivale. Grazie alla missiva, tuttavia, possiamo sapere che il primo libro avrebbe dovuto trattare degli “edifitij honorati” con “tutte le facciate le prospettive, et le piazze in più pezzi et ogni cosa diligentissimamente ritratte”, a conferma della supposta confidenza del Doni con la pratica del disegno; nel secondo sarebbero stati ritratti i dintorni della città, mentre il quarto avrebbe avuto per argomento le medaglie. Un ruolo da vessillifero e divulgatore, dunque, che non si smentisce neppure nei consigli epistolari all'amico letterato Alberto Lollio, in occasione di un suo viaggio a Firenze, sui luoghi e le opere d'arte più degni di una visita.

I frequenti spostamenti consentono comunque al Doni di contemplare dal vivo molti dei capolavori sparpagliati per la penisola, dei quali una lettera non datata a Simon Carnesecchi, offre un cospicuo compendio; vi si accumulano i riferimenti alle città in cui Doni si trova nella prima metà del quinto decennio: Genova, dove vive fra il 1540 e il 1541 insieme al Montorsoli, Pavia, nella quale trascorre il carnevale del 1542 ospitato da Maria e Giovan Stefano da Crema, Padova, in cui è di passaggio nel febbraio 1543, Roma, dove soggiorna nel 1545 probabilmente presso il Giovio e infine Venezia, a più riprese raggiunta, nel 1544, sporadicamente a partire dal 1559 e residenza fra il 1547 e il 1555. [...]

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“Un poeta pittor di grottesche”. Il ‘paragone’ fra arti e letteratura negli scritti di Anton Francesco Doni

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Informazioni tesi

  Autore: Azzurra Frattegiani
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi di Perugia
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Giancarlo Gentilini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 76

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