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La vita on-line. Identità, socializzazione e psicopatologia di Internet

Hacker: criminali moderni o geni incompresi?

Il termine hacker deriva dal verbo inglese ‘to hack’ e significa scomporre ciò che è unito, tagliare, recidere, fare a pezzi, intaccare, incidere. Di conseguenza un hacker è colui che rompe, frantuma, spezza l’integrità di un ambiente informatico.

Generalmente è considerato una persona tecnicamente molto abile in alcuni aspetti della tecnologia del computer. La sua figura viene spesso accostata a quella dei più abili criminali informatici, dediti alla violazione di terminali privati e al furto di informazioni sensibili. In realtà è tutto il contrario, infatti con hacker si identifica la parte “buona” dell’attivismo informatico, mentre la controparte criminale degli hacker sono i cosiddetti ‘cracker’, questi utilizzano le proprie conoscenze informatiche in modo fraudolento.

A differenza dei cracker, gli hacker, si sentono parte di un gruppo, guidati da un obiettivo, quello della liberalizzazione delle informazioni, di cui ne fanno la propria battaglia etica. Il processo di criminalizzazione dell’hacking nasce quando il fenomeno minaccia di voler interferire nella sfera sociale dei Paesi informatizzati.

Il crimine telematico, così come lo conosciamo oggi, non nacque in seguito alle prime intrusioni ma in risposta alle dichiarazioni di libertà di informazione proclamate dagli hacker. Coloro invece che agiscono in modo solitario, amatoriale, sono spinti all’hackeraggio da velleità dimostrative, di riconoscimento e autoriconoscimento, nella ricerca delle conferme della propria competenza, a causa della presenza di alcuni tratti narcisistici.

L’hacker è colui che forza le serrature, che oltrepassa certe restrizioni, ma che possiede anche quella curiosità infantile, quella naturale vocazione alla scoperta, all’esplorazione, alla conoscenza creativa. Da un punto di vista comportamentale l’hacker è un soggetto molto adattativo, che si adegua alle condizioni che trova negli ambienti informatici; riesce a partecipare completamente a quello che è il ‘medium freddo’ per eccellenza, come affermava McLuhan.

Gli hacker hanno questa forte percezione di gruppo che li ha spinti ad adottare una specie di codice di condotta, una regolamentazione etica. Gli hacker autentici sono convinti che la condivisione dell’informazione sia una cosa buona e positiva, che è loro dovere etico scambiare conoscenze scrivendo software gratuito e facilitare alle informazioni e alle risorse informatiche per tutti. Inoltre sostengono che penetrare nei sistemi per puro divertimento e curiosità è eticamente accettabile, sempre se non si cade in atti come il furto, il vandalismo o la diffusione di informazioni confidenziali.

In quel caso un hacker esce dalla logica del suo ruolo e viene etichettato come un cracker. La violazione dei computer che possono fornire informazioni utili per la propria crescita personale o per la collettività è un atto giusto, e dovrebbe essere illimitato. Gli hacker tendono a non fidarsi delle autorità, ree di non divulgare dati di importanza collettiva; promuovono la decentralizzazione. Infine sostengono che un buon hacker si riconosce dai lavori che svolge non dai titoli, dall’età, dalla razza o dalla posizione sociale; credono fermamente che si possa creare arte e bellezza attraverso il computer e che questi ultimi possono cambiare la vita di ognuno in meglio.

Da questa ideologia è facile intravedere i motivi dell’istituzione dei vari reati informatici, che tendono a reprimere l’hacking, oltre al cracking. L’etica hacker è sovrapponibile a quella di qualsiasi altro movimento rivoluzionario della storia, che faceva di un ideale collettivo il suo obiettivo.

Questi rappresentano un pericolo per le società informatizzate in quanto non sono una subcultura oppositiva da combattere e reprimere, con il favore dell’opinione pubblica, ma sono una comunità propositiva, attiva, fiduciosa e diretta che intende agire per modificare qualcosa, per raggiungere uno scopo, attirando verso di sé molte simpatie. Gli hacker rappresentano, quindi, dei nuovi rivoluzionari, dei tecno-rivoluzionari, lontani dalla figura criminale che gli si addossa.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La vita on-line. Identità, socializzazione e psicopatologia di Internet

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Informazioni tesi

  Autore: Matteo Malfatto
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Padova
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia Clinico-Dinamica
  Relatore: Ivano Spano
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 108

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