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Insediamenti eremitici e monastici della costa ligure tra V e XI secolo

I benedettini in Liguria (dalle origini alla metà del xi secolo)

Nel 1956 Gregorio Penco faceva notare come il monachesimo fosse, per la regione ligure, allo stesso tempo “fattore nuovo”, ultima forma organizzativa e sociale del mondo antico, apportatore di movimenti etnici extra-italici (oltre che continuatore di correnti migratorie antichissime, come quella della penisola iberica, legata, per esempio, all’insediamento di San Fruttuoso di Capodimonte), ma anche “un addentellato con le vetuste forme degli ordinamenti anteriori, sia precristiani che paleocristiani, elemento conservatore e coordinatore delle istituzioni della romanità e del Cristianesimo”.

Tuttavia, risulta estremamente difficile, oggi, per chi si occupa di monachesimo benedettino ligure, comprendere l’importanza che esso svolse in passato: di “codesta meravigliosa attività” rimangono, infatti, solamente ruderi, qualche tradizione e ricordi toponomastici. Ancora il Penco evidenziò come “l’oscurità che avvolge le origini della vita ecclesiastica ligure si [infittisca] quando si esaminano, in particolare, i primordi del monachesimo benedettino” ligure: d’altronde, risulta facile comprenderne le ragioni, se si pensa che la prima diffusione della Regola avvenne in un’epoca interessata dalle invasioni longobarde.

Ciononostante, se in un primo momento potevano sembrare davvero irrisorie le tracce rimaste (in particolar modo, per quel che concerne le isole liguri) gli scavi, condotti nel corso degli anni, hanno permesso di disporre di maggiori informazioni a riguardo. È, comunque, altresì doveroso constatare come il confronto con la magniloquenza delle leggende giunte fino a noi finisca col rendere assai più modeste ed incerte le origini di questo fenomeno.

Si deve, inoltre, sottolineare come il monachesimo “per la nostra regione fu per la massima parte, se non per la totalità, un fenomeno allogeno e certo non benedettino”: esso risentì, infatti, di diverse influenze tra le quali, come già accennato, quella orientale, quella gallo-romana, dell’area provenzale, e, probabilmente, seppur in minima parte, di quella padana (in relazione all’arrivo dei vescovi ambrosiani in città). In passato, si sostenne, curiosamente, che il monachesimo benedettino si fosse propagato già durante la vita del Fondatore, San Benedetto, anche se, secondo il Giordano, fu solo con la fine del VI secolo che questa diffusione si fece chiaramente riscontrabile, probabilmente a partire dal 581, anno in cui i Longobardi, attaccando il monastero di Montecassino, costrinsero i monaci a cercare altri luoghi dove far prosperare il loro stile di vita.

Il Penco ritenne, invece, che la regola benedettina fosse stata pienamente accolta in Liguria soltanto durante l’VIII secolo ed individuò nei monasteri dell’albenganese i primi suoi seguaci: il monastero di San Calocero fuori le mura, il monastero di San Pietro in Varatella sopra Toirano e il monastero di Santa Maria del Canneto a Taggia.

A Genova, il primo insediamento benedettino si sarebbe collocato presso l’abbazia di Santo Stefano, ceduta all’ordine dal vescovo Teodolfo dopo il 960: a questo insediamento avrebbero fatto seguito quelli di San Siro, prima sede della cattedrale cittadina, come si avrà modo di vedere in seguito, San Tommaso e Santa Sabina. Tuttavia, è il fenomeno nel suo insieme a risultare di difficile inquadramento per l’intera città, così “poco consona al monachesimo del tempo”, che si reggeva, soprattutto, su un’economia agricola (come dimostrano le due fondazioni lontane dai centri abitati di Brugnato e di San Pietro di Varatella). Due dati sono comunque certi: gli insediamenti che si vanno creando nel genovesato non sono “ricostruzion[i] di antichi cenobi, andati distrutti per mano degli infedeli […]: si tratta, invece, della fondazione di organismi nuovi, anche se costruiti, almeno alcuni, su chiese antichissime, i quali esprimono esigenze peculiari del luogo” e, in secondo luogo, è tra la fine del X e i primi dell’XI secolo che si attestano le principali “tracce di vita monastica, strettamente connessa alla diffusione della Regola di San Benedetto”, in connessione all’opera dei vescovi, come spiegato precedentemente in nota.

La propagazione dei Benedettini in Liguria, però, non è da ascriversi soltanto al filone localizzato lungo la via costiera, ma, anche, a quello inerente le zone più interne della regione, soprattutto per il versante di Ponente, dove, oltre ai già ricordati eremi insulari, troviamo Santa Maria del Canneto a Taggia, filiazione dipendente dall’importante cenobio appenninico di San Dalmazzo di Pedona: qui i monaci, non solo sarebbero riusciti ad entrare in possesso di un’estesa quantità di terreno, presso le località limitrofe, distinguendosi, tra le altre cose, per la diffusione dell’olivo tipicamente taggiasco, ma avrebbero anche dato vita a due fondazioni: la prima presso la località chiamata “Costa Balenae” e la seconda nella zona di San Maurizio.

L’arrivo dei benedettini a Ventimiglia, sarebbe invece, da far risalire, secondo la tradizione, al IX secolo, quando i religiosi vennero chiamati dai Conti di Albintimilium, che dovettero trovare un già esistente monastero in stato di totale abbandono, a seguito delle già ricordate scorrerie saracene: per riqualificare l’insediamento essi pensarono, perciò, di affidarne la cura ai monaci delle vicine isole lerinesi.

Spartiacque essenziale per la storia del monachesimo benedettino ligure fu, comunque, senza alcun dubbio, “la forzata annessione della Provincia Maritima Italorum al regno longobardo”. Gli insediamenti religiosi bizantini furono distrutti o lasciati alla lenta e inesorabile rovina naturale: uniche eccezioni furono Lérins e Bobbio, anche se la Polonio ha fatto recentemente notare come le distruzioni attribuite all’attacco di Rotari ebbero, in realtà, un impatto di gran lunga meno violento di quanto da sempre ritenuto.Il periodo carolingio fu, invece, meno favorevole allo sviluppo del monachesimo in Liguria: quest’età, infatti, si distinse per le incursioni saracene, e la principale preoccupazione si rivelò quella di portare al sicuro le reliquie dei santi, come si è già potuto constatare in altre parti della trattazione.

Parafrasando le parole del Pistarino, si può dunque essere concordi sul fatto che il monachesimo in Liguria si sia diffuso grazie a una serie di condizioni ambientali caratteristiche propizie: benché, infatti, come già visto, la regione risultasse apparentemente inadatta a recepire pienamente questo fenomeno (soprattutto per chiostri di grande importanza), la storia del monachesimo benedettino ligure, tuttavia non si risolve in una serie di situazioni isolate, ma dimostra, seppur diversamente da altre zone italiane, “una linea organica di continuità storica”, da rintracciarsi nella “funzione costante” che il monachesimo benedettino ligure ha svolto come “elemento equilibratore della dialettica fra terra e mare”. Non ci si deve, inoltre, mai dimenticare dell’importanza delle donazioni che questi complessi monastici erano in grado di stimolare, come avremo modo di constatare più volte nel corso della nostra trattazione.

Tuttavia, a questa fase di rapida ascesa seguì, inevitabilmente, un primo periodo di decadenza: “il colpo fatale venne […] dalle invasioni saracene”. La nascita di nuove fondazioni cluniacensi in Francia, tuttavia, si rivelò un vero amuleto, per il rifiorire del monachesimo ligure, soprattutto grazie all’opera che qui svolse Maiolo, abate di Cluny, che considerò la Liguria quasi come una provincia francese.

Altrettanto importanti furono “la costruzione delle tre famose marche del 950-951, l’Obertenga, l’Aleramica e l’Arduinica” e quella che potrebbe considerarsi una crociata ante litteram contro i saraceni di Frassineto, in conseguenza alla cattura proprio dell’abate Maiolo: si apriva, così, un nuovo periodo di forte espansione per il monachesimo benedettino, che avrebbe conosciuto, invece, la grande crisi nel XII secolo, a causa, sia di una certa “rilassatezza della disciplina […]”, sia della comparsa degli ordini mendicanti, facenti capo a due personaggi destinati a rivestire un ruolo fondamentale nella storia del monachesimo, quali San Francesco e San Domenico: anche se la diffusione dei loro insediamenti in Liguria non fu rapidissima, si venne comunque a creare una “specie di contrasto con l’ordinamento dei monasteri benedettini”.

È doveroso infine segnalare, come d’altronde ha già fatto notare Colette Dufour Bozzo, l’importanza che quest’ordine ha rappresentato per il “decollo dell’architettura religiosa fra città, suburbio e contado” grazie alle loro committenze e alla loro manovalanza, come si avrà modo di osservare soprattutto durante la trattazione degli insediamenti di San Fruttuoso di Capodimonte, San Siro e San Tommaso.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Insediamenti eremitici e monastici della costa ligure tra V e XI secolo

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Informazioni tesi

  Autore: Valeria Fusco
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Consevazione dei Beni Culturali
  Relatore: Alessandra Frondoni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 149

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