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La brevettabilità delle invenzioni aventi ad oggetto cellule staminali

I principi sottesi alla tutela dell’embrione

Le recenti possibilità, aperte dagli sviluppi della medicina e della tecnologia, di intervenire e di manipolare l’essere umano sin dalla fase del concepimento, hanno acceso il dibattito sulla possibilità di riconoscere all’embrione un vero e proprio statuto. Le tecniche di procreazione artificiale hanno, infatti, comportato un’ enorme cambiamento del ciclo biologico di sviluppo dell’ embrione: esso può essere prodotto in vitro, cioè al di fuori dell’ utero materno, trovandosi così nell’ effettiva disponibilità di qualcuno. Fino ad oggi il diritto non ha mai avuto a che fare con i problemi generati dall’ esistenza di embrioni creati al di fuori dell’ utero materno. Nell’ ambito di questo importante dibattito si sono delineate due principali correnti di pensiero, espressione del pluralismo etico e culturale che caratterizza il nostro Paese: una che nega la “dignità dell’ embrione” e l’ altra che la sostiene.
Coloro che non riconoscono la dignità dell’ embrione ritengono che quest’ultimo sia da qualificarsi come “una mera cellula appartenente alla specie umana”, l’embrione viene qualificato in maniera “oggettuale”, senza l’attribuzione né di un’identità, né tanto meno della dignità. Esso sarà destinato a divenire un soggetto solo in un momento successivo del suo sviluppo, che viene individuato, dai vari sostenitori, o nella formazione dello zigote, o nell’ annidamento nell’utero, o nella formazione del sistema nervoso centrale, o nella formazione del cervello, o nell’ esercizio della ragione.

Secondo coloro che sostengono, invece, la dignità intrinseca dell’embrione, la brevettabilità di cellule umane comporta l’ esercizio di un diritto di proprietà sulla vita umana analogo alla schiavitù, che viola la dignità dell’ uomo. Essi sostengono che l’ essere umano è tale fin dal momento in cui viene concepito e il suo sviluppo “continuo e graduale” lo porterà ad una piena realizzazione delle sue proprietà e delle sue capacità, che sono già presenti prima della nascita, ma non si sono ancora manifestate. In quest’ ottica lo sviluppo umano viene guardato in maniera lineare, senza tappe particolarmente significative che possano attribuire qualche diritto o qualità in più all’ embrione durante tale sviluppo. Questa visione ritiene che gli embrioni siano “persone” in virtù della loro natura umana e non perché in grado di esercitare effettivamente certe funzioni o perché dotati di certe proprietà. In tal modo è possibile riconoscere lo status di persona anche all’ essere umano che ancora non abbia completato tutte le fasi del suo sviluppo, cioè che si trovi in una situazione di “potenzialità”, nonché a coloro che si trovino, momentaneamente o permanentemente, in uno stato di “privazione” perché non in grado di svolgere le proprie naturali funzioni di persona in quanto afflitti da impedimenti di natura esterna come malattie. Da questa ricostruzione deriva il necessario riconoscimento di un dovere di rispettare appieno l’ embrione quale “espressione di vita umana”. Tale dovere si articola sia nel senso di impedire interventi distruttivi, equiparati all’ uccisione, sia nell’ obbligo di promuovere trattamenti terapeutici e migliorativi delle sue condizioni di salute.
Negli Stati Uniti è stata autorevolmente sostenuta la tesi contraria all’ esistenza di una persona prima della sua nascita. Essa pone l’accento sul principio che qualifica le “persone” come esseri dotati di “autonomia”, qualità che, evidentemente, non può essere riconosciuta all’embrione. In tal modo certi autori sono arrivati a qualificare l’ embrione come esempio di “non-persona umana”, in quanto non consapevole della propria esistenza e incapace di esternare la propria personalità. Una tale giustificazione, che conduce al non riconoscimento del fondamentale diritto alla vita, rischia, però, di minare tutti gli sforzi di coloro che cercano di proporre soluzioni moderate e conciliatorie che tengano conto dei diversi punti di vista esistenti sull’opportunità di riconoscere uno statuto dell’ embrione che racchiuda diritti finora attribuiti esclusivamente a persone già nate.

Il tema della dignità dell’ embrione e del riconoscimento di un suo status è particolarmente delicato perché ha riflessi anche sulla disciplina dell’interruzione volontaria della gravidanza, inoltre la specificità dell’ argomento e la sua enorme importanza hanno condotto la giurisprudenza europea a non pronunciarsi mai in maniera definitiva sul riconoscimento o meno di un vero e proprio “diritto alla vita” all’embrione, che è invece riconosciuto dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali, all’art. 2, ad “ogni persona”. Tale disposizione statuisce che “il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge”. La Convenzione, però, non chiarisce il significato di persona e se si debba in esso comprendere anche l’ embrione ma, dalla lettura dei successivi articoli, si desume che la persona ivi tutelata è da intendersi come già nata.
Su tale disposizione esistono letture alquanto differenti tra loro: secondo alcuni l’ embrione non rientrerebbe affatto nel concetto di persona di cui all’ art. 2 CEDU, secondo altri l’ embrione potrebbe essere titolare di un diritto alla vita, seppur temperato, mentre altri ancora affermano un pieno ed assoluto diritto alla vita dell’embrione, che dovrebbe essere garantito a tutti i costi e che finirebbe per scontrarsi col diritto alla vita della madre, sicuramente garantito dall’ art. 2 della CEDU. Inoltre quest’ ultima visione si scontra col diritto all’ aborto terapeutico, ormai riconosciuto nella maggior parte degli stati firmatari della CEDU. La Corte Europea per i diritti dell’ uomo ha ritenuto che l’ embrione appartiene alla “specie umana” in quanto “potenziale persona” e quindi la sua dignità dovrà essere tutelata, senza che ciò comporti necessariamente la sua considerazione anche come “persona” titolare del diritto alla vita ex art. 2.
Nel 1992, la Commissione ha riconosciuto agli Stati membri la facoltà di determinare lo spazio di protezione riservato all’ embrione, evitando di pronunciarsi essa stessa su una questione tanto delicata come quella di stabilire chi possa
effettivamente rientrare nella qualità di “persona”, limitandosi ad affermare che l’ art. 2 della Convenzione potrebbe riconoscere una certa tutela anche all’ embrione. La Convenzione non impone che l’ art. 2 si riferisca anche all’embrione, ma consente che un’ ordinamento nazionale preveda questa estensione di tutela. In mancanza di un’ unanime consenso a livello comunitario circa la questione dell’ inizio della vita, gli Stati membri, godranno, quindi, di un’ ampio margine di discrezionalità. La risposta definitiva al dubbio sull’ inizio della vita umana dovrebbe, in ogni caso, esser demandata alla scienza e non al diritto.

Le regole sancite dalla Convenzione hanno finito per essere interpretate, anche in questo contesto, in maniera differente dai diversi Stati che ad essa aderiscono, i quali restano liberi di adottare al loro interno la disciplina che meglio risponde ai loro valori nazionali. In questo modo diventa, però, inevitabile la nascita di veri e propri “paradisi bioetici” che ammettono ricerche e sperimentazioni, terapie e procedure vietate in altri paesi e che finiranno per divenire polo d’ attrazione per coloro che sono alla ricerca di ciò che nel loro paese non è ammesso, col rischio che si crei, così, una sorta di “turismo bioetico”.
L’ embrione assume una grande importanza in campo scientifico e giuridico, in quanto costituisce una delle principali fonti dalle quali potrebbero essere estratte cellule staminali. Tali fonti sono fondamentalmente quattro. Le prime due sono costituite da feti abortiti, spontaneamente o deliberatamente in conformità alle leggi sull’ interruzione volontaria della gravidanza, i quali non pongono particolari problemi etici. Le cellule staminali prelevate da tali fonti, però, presentano proprietà molto diverse dalle staminali estratte direttamente dall’ embrione. Le altre due fonti riguardano proprio l’ embrione: l’ apposita creazione di embrioni umani a fini sperimentali da cui trarre cellule staminali, terza possibile fonte, non è assolutamente ammessa perché è stata equiparata al “prelievo di organi dai condannati alla pena capitale” senza peraltro un loro libero ed esplicito consenso. Questa pratica viene aborrita non solo nel nostro paese, ma nella maggior parte degli Stati del mondo. In ultimo luogo si può considerare l’ impiego di “embrioni crioconservati” che non siano stati utilizzati nelle procedure di procreazione medicalmente assistita e che sono destinati a non essere più utilizzati dalla coppia. Grazie allo sviluppo di queste tecniche, infatti, ormai ovunque nel mondo si rendono disponibili alle indagini scientifiche ovuli umani fecondati definiti “preembrioni” o “embrioni soprannumerari” che finiranno per non essere utilizzati in tali tecniche, in quanto vengono congelati e tenuti come riserve nel caso la prima fecondazione non dia i risultati sperati. Poiché essi saranno irreversibilmente condannati alla morte, il loro eventuale impiego per scopi sperimentali e curativi sembra ammissibile, sia perché ciò costituisce il “male minore”, sia perché in questo modo si soddisfano gli interessi e il bene di tutta la comunità, in una logica che potrebbe essere definita “utilitaristica”, ma che guarda effettivamente a quelle che sono le reali alternative possibili. Qualcuno, al contrario, afferma che quando si ha a che fare con la vita e l’ integrità degli esseri umani, non si può pensare di guardare a questi valori in modo utilitaristico, perché essi non sono un “bene calcolabile” e la loro “preziosità non può essere deprezzata”. Secondo altri, invece, piuttosto che lasciar morire queste possibili fonti di cellule staminali, sarebbe più ragionevole utilizzare le loro potenzialità per curare malattie che affliggono l’ umanità.

Il più grande ed insormontabile problema etico all’ utilizzo di cellule staminali provenienti dall’ embrione si riferisce alle modalità con cui esse vengono prelevate. Infatti, l’asportazione della massa cellulare interna dell’ embrione allo stadio di blastocisti, che serve appunto per ricavare le staminali embrionali, comporta la morte dell’ embrione, il quale, secondo una parte considerevole di filosofi, religiosi ed anche scienziati, sarebbe da qualificarsi come un “soggetto umano” avente una propria “identità” e, come tale, avrebbe diritto alla sua vita. Tale concezione estende il concetto cattolico di “sacralità della vita umana” anche all’ embrione crioconservato e a quello creato in vitro, i quali però, se non impiantati in un’ utero non potranno mai svilupparsi in persona umana, quindi sarebbe forse più corretto riconoscere all’ embrione un diritto alla vita, semmai, nel caso in cui esso sia stato impiantato nell’ utero della donna a seguito del procedimento di procreazione medicalmente assistita.
La politica in tema di staminali di Bush, oggi smentita da Obama, equiparava un embrione di pochi giorni ad una persona, sulla base del fatto che potenzialmente l’ embrione può divenire persona, quindi deve godere degli stessi diritti riconosciuti a queste ultime. Ma anche coloro che affermano i diritti dell’ embrione non parlano mai di una “persona reale ed esistente”, ma raccomandano di trattare la blastocisti o l’ embrione “come una persona”, si tratta di avvicinare questi concetti, ma mai di eguagliarli sotto il profilo dei diritti. Nessuna norma di diritto internazionale e nemmeno di diritto comunitario attribuisce all’ embrione una situazione giuridica analoga a quella di un’ individuo adulto. Nel gennaio 2011 in America, nell’ambito di un procedimento diretto a bloccare i finanziamenti federali alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, è stato affermato che un’ embrione non può essere legittimato a far valere diritti costituzionali. In Francia, i tribunali ritengono che l’embrione in vitro sia da considerarsi come una “creatura vivente”, ma non certo una persona. Alla stessa conclusione è arrivata la Corte Suprema del Tennessee, la quale ha riconosciuto che gli embrioni non sono né oggetto di proprietà, né persone, ma godono di uno status che comporta l’ obbligo per lo Stato di rispettare la loro “potenzialità” a divenire persone. Solamente lo Stato della Louisiana, in America, riconosce personalità giuridica vera e propria all’ embrione in vitro. In definitiva, anche se manca unanimità sul concetto di embrione e sul riconoscimento di un suo status, sembra comunque esservi un consenso generalizzato circa l’ esigenza di tutelare in qualche modo l’ embrione extracorporeo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La brevettabilità delle invenzioni aventi ad oggetto cellule staminali

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Foschi
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Alberto Musso
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 160

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Parole chiave

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salute
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embrioni
proprietà industriale
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