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La degenerazione del regime detentivo speciale in vendetta di Stato

I risvolti della riforma del 2002

Nei primi anni successivi alla legge 23 dicembre 2002, n. 279 si mostrarono sin da subito gli effetti delle modifiche apportate all’art. 41-bis, comma 2 e ss., ord. penit. Nel corso del 2003 decaddero 72 decreti attuativi del regime detentivo speciale, dichiarati inefficaci dalla magistratura di sorveglianza, fra i quali alcuni riguardanti dei boss storici verso cui mancavano nuovi elementi che provassero l’attualità della loro pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica. Questo aumento significativo di annullamenti da parte dei giudici portò la Commissione parlamentare antimafia ad aprire un’inchiesta sulle problematiche insorte in sede di applicazione della nuova normativa in tema di regime detentivo speciale ex art. 41-bis, comma 2 e ss., ord. penit.: l’indagine consentì di evidenziare alcune divergenze interpretative della giurisprudenza su certi aspetti della novellata disciplina del regime detentivo speciale, nonché una certa ritrosia delle procure generali presso le corti d’appello a ricorrere in Cassazione contro le ordinanze che non prorogavano i decreti attuativi.

Per risolvere la carenza di impugnazioni delle ordinanze di annullamento, la Procura nazionale antimafia mise in atto un circuito informativo che rendesse pienamente consapevoli le singole procure generali riguardo ai casi di applicazione del regime detentivo speciale di volta in volta portati innanzi al tribunale di sorveglianza, inviando nel periodo precedente a una determinata udienza tutti pareri e i dati sul caso in esame e sul profilo del soggetto investito dal provvedimento. Le divergenze interpretative invece riguardavano il requisito ex art. 41-bis, comma 2-bis, secondo periodo, ord. penit. , ovvero il venir meno della capacità dell’interessato di mantenere i collegamenti con associazioni criminali, terroristiche o eversive: secondo la Procura nazionale antimafia il dettato normativo veniva interpretato in maniera troppo rigida dalla maggior parte delle magistrature di sorveglianza, che al momento di valutare la legittimità di una proroga del regime differenziato richiedevano che anch’essa, come il provvedimento applicativo originario, venisse adeguatamente motivata sulla persistenza dei collegamenti riconducibili al detenuto o internato, ritenendo in particolare necessarie “ulteriori prove attestanti la perdurante attualità” di detti collegamenti. Sulla questione si espresse in più occasioni la Corte di cassazione, propendendo verso la necessità di provare l’attualità della pericolosità del detenuto per l’ordine e la sicurezza pubblica e la persistenza dei collegamenti con l’associazione d’appartenenza, nonché di motivare adeguatamente il provvedimento applicativo del regime differenziato e le sue successive proroghe. Nella sentenza 22 dicembre 2004, n. 3947, in particolare, la Suprema corte, dopo aver ribadito il consenso per l’orientamento secondo cui "anche per i decreti di proroga si richiede un'autonoma e congrua motivazione in ordine all'attuale persistenza del pericolo per l'ordine e per la sicurezza che le misure medesime mirino a prevenire, non potendosi consentire, per una sorta d'inammissibile automatismo, che la novellata norma autorizzi semplici e immotivate proroghe del regime differenziato, ovvero motivazioni apparenti o stereotipe, inidonee a giustificare in termini di concretezza e attualità le misure disposte" si dice contraria all’utilizzo di “scorciatoie probatorie” da parte dei tribunali di sorveglianza che tramite giudizi basati su presunzioni renderebbero la reiterazione delle proroghe automatica. I giudici piuttosto, nel controllo di legittimità delle proroghe, dovrebbero sottoporre ad un autonomo vaglio critico gli elementi indicati nel decreto ministeriale, “accertando se le informazioni delle autorità competenti forniscano dati recenti e realmente significativi sulla persistente capacità di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata”, non potendosi accettare una mera riproduzione della “biografia delinquenziale e giudiziaria del detenuto, senza alcun riferimento ad altre apprezzabili e concrete circostanze idonee a provare l'attuale pericolosità del detenuto e la cessazione dei collegamenti con l'associazione criminale”.

Dal dettato dell’art. 41-bis, comma 2-bis, secondo periodo, ord. penit. sorse anche una ulteriore questione, su cui ebbero modo di pronunciarsi sia la Cassazione che la Corte Costituzionale: la presunzione di persistenza della capacità del soggetto a mantenere collegamenti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sembrava aver invertito l’onere della prova a carico del detenuto, che quindi avrebbe dovuto dimostrare la cessazione di tale capacità. Dunque una probatio diabolica, estremamente difficile da raggiungere per l’interessato, soprattutto se recluso da diverso tempo, dovendo egli dimostrare ciò che non esiste più. La Cassazione ha però escluso la correttezza di una tale interpretazione della disciplina, ritenendola “palesemente distorta e, in un certo senso, manipolatoria, in quanto va al di là di quelle che erano le reali intenzioni del legislatore e del senso vero che va attribuito alla legge”, ovvero il permanere sul Ministro dell’onere di provare il non essere venuta meno della capacità del detenuto di mantenere contatti con le associazioni criminali, terroristiche o eversive, nonchè l’obbligo da parte del giudice di dare congrua motivazione sul proprio convincimento a proposito del non essere venuta meno di tale capacità, non rilevandosi dunque alcuna inversione dell’onere della prova. Tutt’al più, sempre secondo la Suprema corte, a carico dell’interessato potrebbe sussistere “un onere di allegazione degli elementi di fatto da cui sia possibile dedurre che la capacità di mantenere i collegamenti con l’esterno sia venuta meno”, sui quali resterà in ogni caso l’obbligo del giudice di dare un’adeguata motivazione sul proprio giudizio.
Nello stesso senso della Cassazione sembra andare la Corte Costituzionale: nell’ordinanza 23 dicembre 2004, n. 417, dopo aver ribadito la necessità di “un'autonoma e congrua motivazione in ordine alla attuale esistenza del pericolo per l'ordine e la sicurezza derivante dalla persistenza dei vincoli con la criminalità organizzata e della capacità del detenuto di mantenere contatti con essa” si allinea con l’orientamento della giurisprudenza di merito, secondo il quale l’inciso “purché non risulti che la capacità del detenuto o dell'internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno”, presente all’art. 41-bis, comma 2-bis, secondo periodo, ord. penit., non comporta alcuna inversione dell’onere della prova “in quanto rimane intatto l'obbligo di dare congrua motivazione in ordine agli elementi da cui 'risulti' che il pericolo che il condannato abbia contatti con associazioni criminali o eversive non è venuto meno”. Inoltre, nella stessa ordinanza, viene anche specificata l’adeguatezza della motivazione sul permanere dei presupposti per l’applicazione del regime differenziato, nella quale si dovrà dar conto degli “specifici ed autonomi elementi da cui risulti la persistente capacità del condannato di tenere contatti con le organizzazioni criminali”.

Altri importanti argomenti oggetto di scontro interpretativo fra tribunali di sorveglianza e Amministrazione penitenziaria furono: l’attuabilità o meno dello scioglimento del cumulo, ovvero la possibilità di espiare i reati non ostativi al di fuori del regime detentivo speciale in caso di coesistenza di una pluralità di titoli detentivi in capo ad uno stesso individuo, non tutti riferibili a reati ex art. 4-bis, comma 1, ord. penit.; l’applicabilità dell’art. 41-bis, comma 2 e ss., ord. penit. a delitti verso cui sia stata o meno contestata espressamente l’aggravante ex art. 7 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152 conv. con l. 12 luglio 1991, n. 203. Entrambe le questioni, anch’esse alla base di molte delle pronunce di annullamento dei decreti applicativi o di proroga del regime detentivo speciale da parte della magistratura di sorveglianza nel corso del 2003, verranno affrontate nel paragrafo successivo, alla luce delle modifiche apportate al regime differenziato dal “pacchetto sicurezza” del 2009.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La degenerazione del regime detentivo speciale in vendetta di Stato

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Informazioni tesi

  Autore: Giulio Elia
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Davide Bertaccini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 230

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