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La figura del docente-counsellor nel gruppo classe

I segnali di stress che provocano il disagio scolastico

Quali sono i campanelli d’allarme di un possibile disagio scolastico?
Il primo tra questi è: Aggressività.

Quando un bambino aggressivo è inserito in una classe della scuola primaria, il suo comportamento emerge con evidenza all’interno del gruppo a causa del disturbo che provoca, poiché egli spesso crea scompiglio, quasi senza accorgersene. E’ impulsivo, continuamente in azione, incline molto più di altri bambini agli scoppi di collera e a comportamenti violenti. Secondo Marcelli (1999) le condotte aggressive nell’età evolutiva sono caratterizzate da atteggiamenti impulsivi e violenti di bambini che picchiano i loro compagni o gli adulti, rompono gli oggetti altrui o i propri, reagiscono in modo rabbioso alle contrarietà, non tollerano nessun ritardo nella soddisfazione della loro richiesta.
Secondo Vegetti Finzi e Battistin (1996), il bambino oppositivo si comporta come se non potesse fare a meno di rifiutare le proposte altrui, anche quando queste potrebbero procurargli piacere. Egli usa il “no” per erigere una barriera tra sé e gli altri e per proteggere il suo mondo interiore dalle incursioni altrui, da lui avvertite come un pericolo anche quando coincidono con il suo modo di sentire e di pensare.
Nel caso dell’aggressività è evidente l’influenza dell’ambiente di origine: i bambini che reagiscono con scoppi d’ira e violenza nei confronti dei coetanei o degli adulti spesso sono cresciuti in famiglie in cui regna un clima di conflitto ed ostilità. A volte essi hanno dovuto assistere a litigi violenti tra genitori, ed hanno imparato a comportarsi secondo modalità di tipo aggressivo; altre volte, invece, si sono sentiti ignorati, dimenticati e non hanno mai avuto modo di sentirsi veramente importanti per qualcuno. Si tratta di bambini ai quali magari è stato dato tutto, tranne la certezza di poter essere amati e di potere a loro volta amare.
Secondo Bonino e Salvini (1991) la famiglia riveste un ruolo determinante nella storia individuale di ogni individuo poiché è nel quotidiano rapporto con gli adulti e i fratelli nella famiglia che il bambino viene in contatto con i modelli di comportamento accettati, i quali diventano il prototipo dei comportamenti futuri.
In una ricerca condotta dai due studiosi tra le famiglie italiane si sono potuti individuare quattro stili educativi:
1. uno stile autoritario, con regole rigide stabilite a priori dai genitori a cui il bambino deve sottostare;
2. uno stile permissivo, senza regole, in cui viene evitata al bambino ogni occasione di frustrazione e tutte le sue richieste sono soddisfatte;
3. uno stile autorevole, con poche regole fondate su valori stabili, che tendono soprattutto a dare sicurezza;
4. uno stile incoerente, nel quale si oscilla, a seconda dell’umore, tra autoritarismo e permissività.

Dalla suddetta ricerca Bonino e Salvini (1991) hanno inoltre rilevato i dati seguenti:
1. dalle famiglie in cui si praticava un’educazione di tipo autorevole provenivano bambini con comportamenti equilibrati (70%) e scarsamente aggressivi (30%);
2. dalle famiglie con stile educativo autoritario provenivano bambini con condotte molto aggressive (67%) e, in misura minore, soggetti poco aggressivi (33%);
3. dalle famiglie il cui contesto educativo era di tipo permissivo provenivano bambini che presentavano quasi tutti rilevanti condotte aggressive (95%);
4. dalle famiglie con stile educativo incoerente provenivano, per il 100%, bambini con comportamenti aggressivi.

Tale ricerca concorda con altre analoghe svolte in paesi occidentali, le quali stanno tutte a dimostrare come l’atteggiamento permissivo o incoerente privi il bambino di sostanziali punti di riferimento, incoraggiando in lui un’instabilità di condotta dovuta ad una grande insicurezza emotiva. Questa insicurezza è aggravata dal fatto che, venendo a mancare l’aiuto esterno dell’adulto volto a contenere le eccessive richieste infantili, si stabilisce per il soggetto in età evolutiva l’impossibilità di elaborare adeguate regole di relazione sociale. L’educazione autoritaria, invece, plasma una personalità caratterizzata da conformismo e da sottomissione acritica, la quale non solo è incapace di provare sensi di colpa nei confronti degli atti aggressivi, ma trova nelle persone più deboli il capro espiatorio di un’aggressività che non può esprimersi contro l’autorità. Tra i quattro stili educativi evidenziati dai due ricercatori, soltanto il modello autorevole permetterebbe al bambino di affermare se stesso in un clima di sicurezza, che faciliti l’attuazione di comportamenti più evoluti, la soluzione pacifica dei conflitti, il superamento delle frustrazioni senza ricorrere a modalità di tipo aggressivo.
L’importanza della famiglia, dunque, è innegabile; oggi, tuttavia, accanto alla famiglia vi sono molteplici fonti educative, tra cui la scuola ed i mezzi di comunicazione di massa (Bonino e Salvini, 1991).
Secondo gli autori, “non si può considerare in modo meccanicistico il messaggio televisivo come uno stimolo che genera necessariamente una risposta prefissata; ciò che è determinante, infatti, è l’elaborazione cognitiva che il bambino fa del messaggio, cioè la sua interpretazione, sulla base dei propri bisogni emotivi, delle identificazioni che ha sviluppato e dei valori a cui è stato abituato”.
Di fronte ai messaggi che provengono dai mass-media e che potrebbero stimolare la messa in atto di comportamenti aggressivi, è necessario che i genitori e gli educatori forniscano ai bambini modelli di comportamento che inibiscano il ricorso alla violenza. Tuttavia, capita che l’adulto ritiene di inibire l’aggressività del bambino bloccandone l’espressione con la minaccia di punizioni, ma il risultato di ciò è di breve durata ed ha effetti controproducenti. Infatti, l’ansia derivante dalla punizione viene superata dal bambino che interiorizzerà l’autorità punitiva ed aggressiva, imitando un modello aggressivo di condotta.
Secondo Bonino e Salvini l’insegnante può educare i ragazzi a riconoscere l’altro come uguale a sé, utilizzando il processo di identificazione, riconosciuto come uno dei principali inibitori dell’aggressività e stimolando il più possibile il comportamento empatico ed il superamento dei pregiudizi. L’esperienza scolastica, allora, potrebbe diventare “una ricca esperienza sociale di condivisione, che rende possibile l’immedesimazione, ossia il calarsi nei panni degli altri, per riconoscere la comune umanità. Anche gli interventi punitivi dell’adulto dovrebbero essere volti a rendere il bambino consapevole delle conseguenze che i propri atti aggressivi determinano negli altri” (Bonino e Salvini, 1991).
Educare alla non-aggressività è possibile anche per Vegetti Finzi e Battistin (1996): l’educatore, infatti, può e deve fungere da modello per il bambino dimostrando di essere in grado lui stesso di fronteggiare le situazioni più complicate, senza ricorrere a reazioni impulsive come grida, insulti, atteggiamenti vendicativi e/o ricattatori. Il bambino può in tal modo constatare, osservando l’adulto, che provare rabbia e frustrazione di fronte agli ostacoli della vita è un’esperienza normale e frequente e che esistono modi differenti per esprimere il proprio disappunto, arrivando a discriminare tra le condotte (aggressive e non aggressive) e le loro possibili conseguenze su di sé, sugli altri e sull’ambiente.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La figura del docente-counsellor nel gruppo classe

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Informazioni tesi

  Autore: Elvira Guadagno
  Tipo: Tesi di Master
Master in Counsellor di base sistemico-relazionale
Anno: 2018
Docente/Relatore: Katia Ferrara
Istituito da: ISPPREF - Salerno
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 47

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Parole chiave

docente- counsellor
counsellor scolastico
clima positivo in classe

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