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La rivincita dello Stato nella lotta alle Brigate Rosse: il ruolo del NOCS e il caso Dozier (1978-1982)

I successi delle forze dell'ordine: l'importanza del Nucleo Antiterrorismo e pentitismo

Le divisioni e le contraddizioni furono i fattori prettamente interni che accelerarono la definitiva sconfitta delle BR. Tuttavia, un protagonista almeno altrettante importante fu l'apparato delle forze di prevenzione e di polizia e, in generale, lo Stato.

Inizialmente lo Stato italiano sembrò non comprendere la vera natura delle BR: l'organizzazione veniva paragonata alla creatura mitologica dell'Idra poiché, nonostante i numerosi arresti continuava a mantenersi in vita e riusciva a riorganizzarsi. Il risultato era un gruppo sempre più pericoloso e radicato capillarmente nel territorio; capace di azioni progressivamente aggressive e audaci.

Solo in seguito alla vicenda Moro lo Stato fu in grado di organizzarsi efficacemente e di reagire alla baraonda brigatista, riuscendo nell'impresa di mantenere salde le proprie strutture e istituzioni democratiche di fronte al nemico eversivo che ne voleva l'annientamento, grazie ad un efficiente sistema di controterrorismo che, a più riprese, inflisse sconfitte alle BR.

Ricordare l'apporto delle forze dell'ordine nella lotta, non solo alle BR, ma a tutto il movimento eversivo sia rosso che nero degli anni '70 e'80 è fondamentale per una completa comprensione del fenomeno terroristico. Tale successo delle forze di repressione e prevenzione dello Stato non fu soltanto fine a sé stesso ma permise il consolidamento di un sistema investigativo e propriamente operativo unico nel suo genere; un sistema tutt'ora alla base delle procedure e strategie delle varie sezioni delle forze dell'ordine nell'affrontare i moderni problemi di terrorismo e criminalità organizzata.

Il Nucleo Antiterrorismo del Generale Dalla Chiesa, di cui si tratterà in questo paragrafo, e il NOCS della Polizia di Stato, che sarà affrontato nel prossimo capitolo, furono i reali attori che, attraverso centinaia di arresti, numerosi blitz e un livello di professionalità notevole, a fronte degli scarsi mezzi concessi dallo Stato, riuscirono a piegare il terrorismo degli "anni di piombo". Per quanto i due nuclei fossero diversi per funzioni, metodologie investigative, operative e per origini, rappresentarono la punta di diamante dell'apparato statale nella lotta alle BR: il lascito dei successi di questi apparati si riflette non solo nella fama e nel riconoscimento che guadagnarono a livello nazionale ed internazionale ma anche nel contributo apportato all'odierna formazione e istruzione del personale delle forze armate e di polizia.

Dopo che si era consumata la tragedia Moro, le BR investirono il paese con una vera e propria raffica di azioni. I colpi del terrorismo non risparmiavano nessuno fra magistrati, agenti di polizia, giornalisti, docenti universitari e sindacalisti.
Il sequestro e l'uccisione di Aldo Moro avevano portato, inoltre, conseguenze disastrose per l'immagine delle istituzioni. Lo Stato dovette muoversi verso una riorganizzazione e concretizzazione della propria azione di risposta: era necessaria una vittoria che intaccasse le colonne brigatiste e ridesse credibilità allo Stato agli occhi dell'opinione pubblica. L'esecutivo decise quindi di ricorrere al Nucleo Speciale Antiterrorismo dell'Arma dei Carabinieri, conosciuto anche come Nucleo speciale di polizia giudiziaria, ovvero un peculiare gruppo composto da personale delle forze armate di cui lo Stato si era già precedentemente servito nella lotta alle Brigate Rosse nel biennio 1974-1975.

Il Nucleo era coordinato del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, un militare di professione, a cui certo non mancava esperienza: fin da giovanissimo aveva indossato la divisa da carabiniere con la quale aveva partecipato alla Resistenza, dopo la Liberazione era stato dislocato in Campania e Sicilia per contrastare il fenomeno dilagante del banditismo e successivamente quello delle mafie, infine nel 1973 era stato promosso al grado di generale di brigata e Comandante della Regione Militare di Nord Ovest. Il Generale, secondo l'esecutivo, era a quel punto la persona più indicata a svolgere il ruolo di guida del neonato gruppo dei Carabinieri per via del forte senso dello Stato e della conoscenza capillare del territorio che lo contraddistingueva; inoltre era proverbiale il suo carisma e la sua capacità nel motivare i suoi sottoposti.

Il primo Nucleo attivato dallo Stato prese vita successivamente al sequestro Sossi dell' aprile 1974: l'allora Ministro dell'Interno Paolo Emilio Taviani decise di affidare al Generale Dalla Chiesa il compito di indagare a meglio il fenomeno delle Brigate Rosse e di porre termine ad esso. Il 22 maggio 1974 nacque ufficialmente il Nucleo Speciale Antiterrorismo, una squadra particolare composta da militari di esperienza provata che doveva agire in un momento delicato della storia italiana.

Ufficiali, sottoufficiali e agenti appartenenti alla Polizia di Stato, ai Carabinieri e addirittura ai servizi segreti militari componevano questo speciale gruppo; l'organico contava circa una trentina di persone accuratamente selezionate da Dalla Chiesa. Ulteriore particolarità del gruppo era la libertà da cui era caratterizzato: la raccolta di informazioni e le investigazioni nei riguardi di un gruppo eversivo fortemente radicato in più regioni come le BR richiedeva una elevata mobilità e flessibilità, quindi il nucleo era virtualmente fuori da qualsiasi giurisdizione da parte dei comandi dei Carabinieri. Il gruppo rispondeva solo al Generale, il quale rispondeva a propria volta direttamente al Ministero dell'Interno.

Tale gruppo raggiunse numerosi risultati arrivando a mettere in crisi la struttura delle Brigate Rosse: in poco più di un anno i Carabinieri si distinsero per capacità investigativa e operativa in blitz che portarono all'arresto di buona parte del gruppo nevralgico delle BR. Il Nucleo venne a conoscenza, grazie ad una intervista pubblicata sul giornale "Candido", della persona di Silvano Girotto, individuo noto anche con il soprannome di "Frate Mitra", un sacerdote missionario che si convertì alla vita da guerrigliero in America Latina. Era un uomo spesso accostato ai terroristi ma non nel vero senso della parola essendosi battuto per ragioni sociali e storiche: aveva preso parte alla guerriglia dei contadini, operai e studenti che tentavano di reagire all'oppressivo regime dittatoriale boliviano.

Girotto, profondamente devoto alla corrente della "Teologia della liberazione" aveva una chiara idea del terrorismo in Italia: per quanto concettualmente favorevole alla lotta armata, "Frate Mitra" considerava la violenza politica dei gruppi eversivi non giustificabile nel contesto della penisola. I brigatisti venivano da lui definiti come "criminali che non servono nessuna causa rivoluzionaria" e per queste ragioni fu reclutato dal Nucleo al fine di infiltrarlo nelle BR. "Frate Mitra" fu in poco tempo integrato nella struttura brigatista grazie all'azione di mediatori, al sangue freddo che lo contraddistingueva e all'addestramento ricevuto dalle forze dell'ordine. Gli fu così possibile fornire al reparto delle forze di polizia dettagli sull'intera formazione delle BR. Le informazioni carpite dall'infiltrato permisero al Nucleo di infliggere al gruppo eversivo un durissimo colpo: l'8 settembre 1974, presso la località di Pinerolo in Piemonte, i Carabinieri inscenarono un finto incidente che consentì loro di catturare i due pilastri dell'organizzazione Alberto Franceschini e Renato Curcio.

Ulteriore operazione che è bene ricordare fu, nell'ambito del sequestro dell'imprenditore Vittorio Vallarino Gancia, l'assalto e lo scontro a fuoco presso la cascina Spiotta D'Arzello vicino ad Acqui Terme. Il duro conflitto a fuoco che si produsse il 5 settembre 1975 presso la cascina procurò la morte dell'appuntato Giovanni D'Alfonso e della leader brigatista Margherita Cagol, compagna di Renato Curcio e conosciuta con il nome di battaglia di "Mara".

I risultati del gruppo coordinato dal Generale Dalla Chiesa erano sotto gli occhi di tutti: nonostante le dolorose perdite subite il Nucleo riusciva a combattere alla pari le BR e lo Stato ebbe la sua prima vittoria. Nonostante i successi fossero dimostrabili dalla mole di arresti e di blitz portati a termine, si decise però di far cessare al gruppo le sue attività. Pochi sposarono pienamente le metodologie impiegate o colsero la straordinaria riservatezza dei reparti necessaria per giungere quei risultati, difatti numerose furono le critiche sterili mosse al Generale e alle strategie operative del Nucleo.

Le principali critiche provenivano dai vertici dell'Arma, i quali si opponevano ad una struttura virtualmente fuori da qualsiasi giurisdizione e controllo, che si sommavano al dissenso dell'opinione pubblica riguardo l'infiltrazione di agenti nelle cellule eversive, metodologia considerata un atto "scorretto", nonostante questa pratica fosse parte della prassi poliziesca di tutte le forze dell'ordine dei paesi democratici.

A nulla valsero le parole di magistrati, come Gian Carlo Caselli e Bruno Caccia, pienamente consci delle potenzialità del reparto messo in piedi dal Generale: il Ministero dell'Interno si convinse che il terrorismo rosso era un fenomeno ormai marginale e in decrescita; per questa ragione il Nucleo Speciale Antiterrorismo fu sciolto l'11 luglio 1975 con un provvedimento diretto del Comandante Generale dell'Arma Enrico Mino. Le BR, che attraversavano un periodo di declino momentaneo, ebbero così la possibilità di rigenerarsi, moltiplicarsi e radicarsi nell'Italia centrale e nella capitale, dove presto avrebbero colpito. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

La rivincita dello Stato nella lotta alle Brigate Rosse: il ruolo del NOCS e il caso Dozier (1978-1982)

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandro Pellegrini
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Paolo  Colombo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 66

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