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I colori nella produzione di Nicolas Winding Refn

Il digitale e il color grading

Con l’avvento del digitale il cinema cambiò non poco. Il limite concreto della pellicola lasciò il posto all’archiviazione quasi infinita delle schede di memoria, le macchine da presa diventarono ancora più maneggevoli del passato e il montaggio, attraverso nuovi software, si semplificò ulteriormente. Queste e altre innovazioni portarono il cinema in un'altra zona rispetto al passato e anche tutto quello che riguarda il colore, fino a quel momento molto limitato su pellicola, subì una grossa trasformazione. Le possibilità di riscrittura cromatica del film sono ampliate a dismisura. Il trattamento digitale del colore si è imposto nel corso degli anni ’90, divenendo una prassi all’inizio del decennio successivo. È lungo questo arco cronologico che la color correction e il colorist si sono affermati rispettivamente come pratica e come professione esclusivamente legate al mondo informatico.
Prima degli anni 80’ la colorazione principale della pellicola era la color timing, ossia quella pratica secondo cui i colori venivano corretti in fase di stampa, si poteva correggere l’esposizione. Il limite di questa colorazione è che modificando un aspetto si modifica anche il resto dell’immagine, spostando i valori per correggere la parte di immagine interessata anche il resto dell’immagine subiva dei cambiamenti, qualcosa che ricorda un po’ l’imbizione alla lontana. Con il digitale e il color grading invece è diventato possibile settorializzare nell’immagine il punto di lavorazione così da modificare solo alcuni dettagli, questo permette grandi libertà che fino a prima del digitale non erano possibili. La differenza sostanziale tra color correction e color grading è che la prima corregge gli errori effettuati durante le riprese, mentre la seconda modifica e altera i colori per fini spettacolari, estetici o comunicativi. Prima del digitale molto spesso veniva utilizzate molte luci colorate perché non era possibile modificare di tanto i colori dopo la presa diretta. Un esempio utile, per recuperare anche un film discusso in precedenza, è Deserto Rosso (Michelangelo Antonioni, 1964), in cui il più del lavoro è fatto sul set con luci di toni diversi e la color timing era solo un lavoro di limatura finale. Il lavoro del direttore della fotografia, un tempo legato alla sola parte di produzione di un film, è oggi in stretto rapporto con la post-produzione e tutto ciò che viene fatto solo in seguito con i software di color grading.
Il primo esempio di color correction completamente sviluppata in digitale da una pellicola in negativo è Fratello, dove sei? (O Brother where art thou, Joel e Ethan Coen, 2000). Il direttore della fotografia Roger Deakins, volendo ottenere dei colori molto particolari, che assomigliassero a delle vecchie fotografie rovinate dal tempo, ha dovuto collaborare in stretto contatto con i colorist e impostare un’illuminazione sul set per cui fosse possibile poi in seguito creare i colori che aveva in mente. Un lavoro quindi molto diverso da quello che si faceva solo pochi anni prima. Se un tempo il colore era parte della fetta di realtà inquadrata, qualcosa legata ai soggetti e alle “cose” dentro le inquadrature, oggi non è più così. Il colore è diventato così alterabile che ormai è scollegato del tutto dalle riprese di un qualsiasi film, non è più un “doppione del colore reale” ma diventa un attributo in più, aggiunto a fini emozionali così come può essere una colonna sonora. Si capisce quindi, quanto nella contemporaneità, il colore sia fondamentale nei racconti audiovisivi.

Questo brano è tratto dalla tesi:

I colori nella produzione di Nicolas Winding Refn

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Informazioni tesi

  Autore: Mattia Guzzi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Piero Di domenico
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 50

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colori e cinema

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