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Il reato di Genocidio nella giurisprudenza della Corte Penale Internazionale

Il genocidio dell’ Unione Sovietica

La rappresentazione dei crimini sovietici è un dramma che raffigura tutti i massacri, le esecuzioni, le deportazioni e la reclusione nei campi di lavoro.
I crimini commessi dall’Unione Sovietica attraversarono il secolo, l’efferata violenza si consumò in ben due continenti. Il numero dei civili, deliberatamente uccisi dallo Stato, si calcola in milioni. Una cifra talmente elevata da non sembrare credibile, si tratterebbe, infatti, di decine di milioni di vittime tra il 1917 e il 1932.

La forma di Stato e di governo all’interno dell’ex Unione sovietica era decisamente ispirata all’ideologia dell’ideologia marxista, in particolare Lenin si lasciò influenzare completamente dalle teorie capitalistiche di Marx e Engels sul socialismo. Dopo la vittoria della rivoluzione bolscevica del 1917, con le famose Tesi di aprile Lenin tentò in quell’anno la conquista del potere. Il partito bolscevico era il più diretto e organizzato rispetto agli altri che procedevano secondo un orientamento nazionale. Il partito di stampo “leninista” avanzava verso il suo grande momento di gloria e riconosceva Lenin il suo dirigente storico”.
Ma solo qualche tempo dopo, Lenin decise di rafforzare la polizia e l’esercito in vista di una guerra civile dove si trovano come protagonisti i comunisti russi, con l’intenzione di opprimere il “nemico di classe”, cioè costui che si contrapponeva alla formazione della nuova società bolscevica. Ogni atteggiamento o comportamento antisovietico giustificava l’eliminazione di ogni soggetto deviante.
Nel luglio del 1918 il nuovo regime aveva creato un nuovo sistema di schiavitù, concentrato in campi di lavoro, i gulag sovietici.
I gulag sovietici, al contrario dei lager tedeschi, non erano stati creati come uno strumento di genocidio, ma solo per reprimere tutti coloro che si opponevano al sistema sovietico.
Difatti i gulag non furono ideati per una determinata categoria di “razza” umana, al loro interno, infatti, si riscontrava una grande percentuale di minoranze etniche, e al loro interno si perseguiva l’eliminazione del nemico del popolo. La vita all’interno dei campi era contrassegnata da continui soprusi, sevizie, violenze e per chi osava ribellarsi la punizione era rappresentata spesso dalla morte.
I lager sovietici erano disseminati nei luoghi più scomodi e desolati dell’URSS, e si estendevano dalle isole Solovki alla Kolyma, zona siberiana. In tutto i gulag erano 384.

La politica all’interno dei campi era fondata interamente sul terrore, e secondo la costituzione sovietica il fulcro dei gulag era concentrato sul lavoro coatto dei detenuti; tuttavia alcuni di questi non avevano soltanto la mansione educativa e punitiva, in quanto creati esclusivamente per lo scopo di sterminare ed eliminare tutti i deportati al suo interno. Le condizioni generali all’interno dei campi, in cui i detenuti erano obbligati ad svolgere le proprie mansioni, erano talmente inumane che la morte per stenti avveniva in modo naturale.
Si può riscontrare che in alcuni campi la mortalità mensile era del 10%; mentre in Kolyma, dove le temperature arrivavano ai 50-60° sotto zero il tasso di mortalità era del 30%.
Ancora oggi sono molto incerte le cifre dei detenuti. Si stimano tra le 15 e i 20 milioni di deportati passati all’interno del sistema Gulag, ma contemporaneamente al loro interno non ne accoglievano più di 3 milioni.
Il caratteristico scenario omicida sovietico appare in svariate forme: si ricordando, tra gli atri, il caso della dekulakizzazione e il caso l’Holodomor, cioè gli atti di genocidio per mano dei sovietici nel territorio ucraino.
Da non dimenticare nel 1918 un’altra forma di genocidio da parte del Partito Comunista cioè la soppressione dei quattro insediamenti cosacchi destinati ad essere eliminati con la forza coatta sotto comando dei soviet dell’oblast di Terskaya.
Il comitato centrale del Partito comunista, nel gennaio del 1919, autorizzò la “decosacchizzazione”, non altro che lo sterminio di massa dei cosacchi del Don e del Kuban, quindi l’annientamento del gruppo sociale presente nel territorio sovietico.
I cosacchi di età compresa tra i 18 e i 55 anni vennero deportati nei campi di concentramento.
Decine di migliaia dei deportati cosacchi nei lager sovietici provenivano dalla zona del Caucaso settentrionale, e questi spostamenti forzati avvennero nel 1920-21.

La guerra civile degli anni del 1918-20 portò al collasso l’economia del Paese, che era in preda al caos, in seguito allo spopolamento delle città e la quasi totale scomparsa della media borghesia.
Nel 1921 Lenin creò la NEP (Nuova Politica Economica) attraverso il quale si cercava di attuare nuove strategie politiche favorevoli per gli obbiettivi del partito, cercando di evitare le insurrezione contadine.
La rivoluzione agraria stava così cambiando la sorte dei “contadini poveri”, Lenin lanciava appelli ai contadini, attraverso i comitati, di intraprendere una lotta contro i kulaki.
Dopo la malattia e la morte di Lenin, Stalin salì al potere assoluto.
Stalin elabora un piano quinquennale, nell’aprile del 1929, in cui prevede l’utilizzo di tutte le risorse per l’industrializzazione del Paese, tale pianificazione si attua con un modello totalitario in cui i mezzi di produzione sono nella mani dello Stato.
Stalin nell’inverno del 1929-1930 riprese la guerra contro i contadini, il suo principale scopo fu quello di semplificare l’estrazione delle risorse agricole.
Il kulak era un ricco contadino sfruttatore di manodopera, l’obiettivo di Stalin era di distruggere questa élite contadina.

Così, nel gennaio del 1930 partì la “dekulakizzazione” e furono deportati milioni di veri o presunti kulaki, entro la fine dell’anno la polizia politica ne giustiziò oltre 20.000 e altri 114.000 furono trasferiti all’interno dei gulag. Le famiglie dei kulaki furono trasferiti nelle zone più remote del paese, - in Siberia, Kazakistan, Urali - se ne contarono 150.000, la loro sorte fu angosciante, molti morirono di freddo o di malattie, alcuni durante il trasferimento in treno, mentre altri morirono arrivati a destinazione.
Erano già state deportate 550.000 persone entro la fine del 1930, da aggiungere ad altri 250.000 deportarti che furono trasferiti nelle regioni più remote del paese.
Nell’anno a venire ci furono altre deportazioni che colpirono altri territori riguardanti l’Asia centrale. Secondo una statistica, in totale, tra il 1930 e il 1931 furono deportate più di 380.000 famiglie contando così 1,8 milioni di persone.
Nel caso specifico della “dekulakizzazione” lo Stato costituisce un’ideologia che si basa sul principio di classe. È stata attuata una politica genocidaria diretta a un gruppo di individui allo scopo di annientare ogni suo membro considerato ribelle e ostile alla politica socialista della Nazione.
La grande carestia che colpì l’Unione Sovietica tra il 1931 e 1933 assunse connotati genocidi soprattutto in Ucraina. Il regime sovietico riuscì ad affamare la regione solo per il semplice motivo che l’Ucraina non voleva cedere al bolscevismo; sotto comando delle autorità sovietiche chi viveva sui terreni in cui si allevava bestiame, veniva trasferito forzatamente, con l’intendo di trasformare i pascoli in terreni agricoli.
L’unico risultato che venne raggiunto fu quello di far morire di fame il bestiame, causando la disgregazione del settore dell’allevamento.

Già nell’autunno del 1931 la carestia cresceva sempre di più, costringendo le famiglie a migrare in altre regioni dell’URSS e verso l’estero. La situazione andava degenerando sempre di più, i contadini uccisero il bestiame anziché cederlo alle fattorie collettive, causando così danni anche al patrimonio zootecnico del paese.
Fu così che Stalin nell’autunno del 1932 decise di “sfruttare” questa carestia “pan-sovietica” come mezzo punitivo, lasciando morire di fame tutti i contadini che si erano astenuti alla collettivizzazione. La punizione fu estrema in Ucraina dove oltre alla carestia “punitiva” si attuò una repressione dell’élite politica segnando la fine del comunismo nazionale anticipando la grande Purga del 1937-38.
Ma questa carestia “pan-sovietica” tramutò i una vera “fame sterminatrice”, Holodomor, sfociando in un vero e proprio genocidio di massa, che in soli pochi mesi provocò milioni di morti.

In Ucraina si contarono 3,5-3,8 milioni di decessi, altri centinaia di milioni nelle zona del Volga e del Caucaso settentrionale, e in Kazakistan 1,3-1,5 milioni.
L’Ucraina, nel maggio del 1933 smise di essere un’entità nazionale.
Tra il 1932 e il 1933 i cittadini ucraini sono stati vittime innocenti del genocidio portato avanti dalla questione nazionale ucraina ideata da Stalin.
Nel 1933 si innesca un nuovo sistema eliminazionista creata da Stalin, il sistema della grande purga, un potere che non ha limiti capace di provocare milioni di vittime.
Dopo l’assassinio di Kirov, il 1° dicembre del 1934, Stalin trovò il pretesto per portare avanti al sua campagna repressiva sovietica. Nel 1935 in terrore si diffonde sempre di più, nell’agosto del 1936, l’evoluzione delle purghe subisce un’accelerazione. Stalin non ha più avversari e trionfa, nel marzo del 1939. Sono state arrestate 8 milioni di persone, tra il gennaio del 1937 e il dicembre del 1938, di cui 1 milione fucilate e 2 milioni morti all’interno delle prigioni.
La grande purga, innescata da Stalin, così violenta e dura, con il desiderio di riportare la società sovietica nella sua “purezza”, comporto centinai di esecuzioni, prendendo di mira chiunque venisse etichettato come un eventuale minaccia al sistema sovietico.
Tutte le vittime della grande purga erano persone totalmente innocenti accusati da crimini ingiusti, non avevano alcuna colpa, non appartenevano a nessun gruppo politico, nazionale o religioso. Tale Stato criminale perseguitò, uccise e massacrò centinaia di migliaia di vittime in modo premeditato, per un ordine dello stesso stato che aveva stabilito in anticipo le quote delle purghe.
Ciò che collega tutti i genocidi trattati all’interno di questo capitolo è proprio il pensiero che uno Stato è in grado di legittimare, grazie al suo potere politico, qualsiasi atto, anche quello più spietato, solo perché fa parte di quell’utopia innescata nelle menti di cui le attua, da oscurare quella linea sottile che separa il bene dal male.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il reato di Genocidio nella giurisprudenza della Corte Penale Internazionale

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Informazioni tesi

  Autore: Alice Strada
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: UKE - Università Kore di Enna
  Facoltà: Scienze della difesa e della sicurezza
  Corso: Scienze giuridiche
  Relatore: Alessandro Tommaselli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 70

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