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Vincere il lutto. Guarire dal dolore o imparare a conviverci?

Il lutto dopo una malattia

Un caso particolare, che tra l’altro è esaminato da Elizabeth Kubler Ross ne “La morte e il morire”, è quello del lutto che si presenta come conseguenza di una malattia, più o meno lunga.
In questo caso le possibilità sono sostanzialmente due: durante il corso della malattia il lutto è preconfigurato e già quasi accettato oppure viene respinta e rimossa l’ipotesi dell’esito fatale della stessa, per cui al momento della morte la sorpresa e lo shock sono quasi paragonabili a quelli che si vivono in caso di morte improvvisa.
Nel primo caso chi vive la perdita ha avuto modo di prepararsi alla stessa, ha forse anche avuto modo di chiudere con il morente quelli che potevano essere i temi ancora aperti, accompagnandolo serenamente alla fine. Se il percorso sarà stato sufficientemente sereno di fatto la perdita sarà stata accettata prima ancora dell’evento della morte ed il lutto sarà elaborato con tempi e modi tendenzialmente fisiologici e senza traumi. E’ molto interessante, riguardo a quest’ipotesi, notare che la cultura tibetana abbia una modalità esemplare al riguardo: nel Bardo Thodol, il libro tibetano dei morti, sono illustrate le procedure e modalità da seguire per accompagnare verso la morte; uno degli intenti fondamentali è quello di accompagnare l’anima del morente verso il suo nuovo stato ma nel contempo anche coloro che gli sono vicini traggono vantaggio da questo approccio, estremamente spirituale, che permette loro non solo di espletare quei passaggi che secondo la loro cultura sono fondamentali da compiere ma contemporaneamente di accettare l’evento con la massima naturalezza.
Nel secondo caso, invece, la morte si presenterà come qualcosa di assolutamente inaspettato e inaccettabile, dal momento che chi soffre il lutto in realtà si era convinto che la situazione si stesse risolvendo verso una guarigione e non vedeva, invece, la realtà delle cose. Succederà allora che, nell’illusione della guarigione, non ci sarà stato tempo e modo per chiudere discorsi aperti, per definire aspetti e situazioni ed il tutto si presenterà in tutta la sua ineluttabilità e prepotenza insieme alla consapevolezza di non poter più sanare alcune ferite o condividere alcune emozioni o semplicemente sguardi. Nell’illusione della guarigione può essere che si siano trascinati a vicenda il malato ed il congiunto (definisco chi vive il lutto come “congiunto” nel senso più esteso: può essere un parente o un amico ma comunque qualcuno con il quale il rapporto emotivo è sufficientemente stretto da causare il lutto). Forse il malato non ha accettato una diagnosi e in questa illusione ha convinto il suo congiunto che le cose sarebbero andate diversamente da quanto previsto dai medici, forse il congiunto (talmente disperato all’idea della perdita) ha invece convinto il malato che doveva esserci qualche errore e che in realtà la guarigione sarebbe arrivata. In qualunque modo siano andate le cose il fatto è che, proteggendosi a vicenda in modo più o meno cosciente, i due soggetti (che potrebbero anche essere di più) avranno accuratamente evitato di affrontare il discorso della dipartita, finendo per lasciare in sospeso tante cose fondamentali, come potrebbe essere per esempio una madre che dice al marito di non portare i figli in ospedale affinché non la vedano con tubi e flebo, intendendo implicitamente che li avrebbe visti quando fosse stata bene e così facendo non rende possibile un ultimo saluto ai suoi bambini e dai suoi bambini, lasciando quindi aperta una porta che invece avrebbe dovuto essere chiusa (seppur molto dolorosamente). In un caso simile la morte colpirà il congiunto in maniera violenta ed il rischio di situazioni al limite del patologico correlate al lutto sarà molto alto, rappresentandosi a volte come lutto complicato, anche in conseguenza dello sviluppo di sensi di inadeguatezza, colpa e colpevolizzazione.
Nel momento in cui il congiunto realizzerà l’evento, potrà attraversare la fase della disorganizzazione e dell’incredulità come una difesa oppure esserne travolto perdendo comunque la prospettiva sulla mutata situazione della sua vita. Potrà, nel tentativo di non affrontare effettivamente il lutto, tentare di raggiungere una continuità pratica con quella che era la vita prima della perdita, soprattutto se avrà da prendersi cura di altri familiari, concentrandosi e sfruttandosi al massimo nelle attività di ordinaria amministrazione nell’illusione di non far percepire la mancanza del defunto. Potrà immergersi totalmente in attività lavorative, togliendosi la possibilità di ripensare alla perdita. Potrà estrovertersi completamente per non dar peso al suo mondo interiore, finendo magari per allacciare nuovi rapporti e relazioni che lo porteranno in una sorta di sospensione del lutto, salvo poi ritrovarcisi immerso in caso di altri eventi similari o nel momento dell’interruzione di quelle relazioni.
Effettivamente queste modalità possono presentarsi anche in caso di eventi di morte improvvisa ma io sono dell’avviso che l’aver avuto tempo per costruire una realtà fittizia, che non comprendeva l’ipotesi della perdita, costituisca una base importante per l’instaurarsi di complicazioni nell’elaborazione del lutto, anche per via di un giudizio verso sé stessi che viene formulato proprio in relazione alla modalità con la quale non si è affrontata la realtà.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Vincere il lutto. Guarire dal dolore o imparare a conviverci?

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Informazioni tesi

  Autore: Claudio Massimo Torchio
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: UniCusano - Università degli Studi Niccolò Cusano
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Scienze e tecniche psicologiche
  Relatore: Nicoletta Vegni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 71

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