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Stepchild adoption: lacune normative e ruolo dell'interprete

Il principio del “best interest of the child” di matrice sovranazionale

Il principio del “superiore interesse del minore”, più volte richiamato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito a sostegno delle decisioni adottate, è ad oggi pacificamente riconosciuto a livello internazionale, poiché figura, più o meno esplicitamente, in svariate fonti di diritto sovranazionale.

Tale principio, affermatosi già nel corso del XIX secolo in alcuni Stati nazionali come criterio a cui fare riferimento nelle decisioni giudiziali relative a minori, è giunto a consolidarsi, sul finire del ‘900, anche a livello sovranazionale, come un principio fondamentale per lo più unanimemente riconosciuto.

Si è assistito, in tale periodo storico, ad una sostanziale evoluzione della concezione del minore, il quale, da soggetto “passivo” che, per così dire, “subiva” il diritto, è assurto per la prima volta al ruolo di “soggetto attivo”, titolare di diritti propri.

Tale processo avrebbe trovato poi il suo culmine nella convenzione di New York del 1989. Si tratta della Convenzione ONU sui Diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite), che sancisce gli obblighi cui gli Stati aderenti devono attenersi nei confronti dei minori ed istituisce, a garanzia di un'efficacia effettiva, anche un apposito organo di controllo: il “comitato dei diritti del fanciullo”.

Alla Convenzione di New York dell'‘89 hanno aderito tutti gli Stati membri dell'Onu (ad oggi ben 194 Paesi), ad eccezione degli Stati Uniti e il 27 maggio 1991 essa è stata ratificata anche dall'Italia con la legge n°176.

Il testo della “Convention on the Rigths of the Child” (CRC) si compone di un preambolo e di 54 articoli, suddivisi in tre parti.

Nella prima sezione si enunciano i diritti dei minori, che i Paesi contraenti debbono tutelare e garantire; nella seconda parte, si istituisce il sopracitato comitato dei diritti del fanciullo (preposto al monitoraggio dell'effettivo rispetto della convenzione da parte dei singoli stati nazionali) e se ne stabiliscono le competenze, tra cui quella di contribuire a chiarificare, sempre in un'ottica evolutiva, l'interpretabilità delle disposizioni ivi contenute, attraverso lo strumento dei “General Comments”.

Tali commenti generali non hanno una funzione coercitiva, ma fungono piuttosto da guida ed orientamento per i giudici, chiamati ad esaminare i casi concreti.

Nella parte conclusiva della convenzione sono contenute, da ultimo, le clausole finali relative all'adesione ed all'entrata in vigore della stessa.

Il principio dell'“interesse superiore del minore” è reso esplicito, in particolar modo, all'art.3, par.1 della convenzione, ove viene precisato come i “best interests of the child” debbano costituire “a primary consideration” in tutte le decisioni adottate dal giudice, che abbiano ad oggetto dei minori.

Più precisamente, si stabilisce che: «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente».

Il riferimento al superiore interesse del minore ricorre, inoltre, in molti altri articoli della convenzione, seppur in modo meno diretto.

Dal piano internazionale, tale criterio si è spostato poi, inevitabilmente, su un piano nazionale, con un diverso grado di applicazione all'interno dei singoli Stati membri, in conformità alle rispettive leggi vigenti ed alla prassi giurisprudenziale.

A livello europeo, inoltre, un ulteriore sostegno all'applicazione del principio è fornito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), poiché, sebbene essa non preveda un riferimento espresso ai “best interests of the child”, tale criterio è comunque sotteso all'intero Trattato e si è affermato con forza nella prassi giurisprudenziale della Corte di Strasburgo, la quale alla Convenzione di New York si appella, al fine di adottare soluzioni interpretative che tutelino i diritti dei minori.

Di notevole importanza risulta l'orientamento interpretativo adottato dalla Corte EDU, dal momento che, come noto, essa ha il potere di condannare gli Stati aderenti alla CEDU, in seguito ad eventuale violazione degli obblighi imposti dalla stessa.

Lo stesso principio è, invece, esplicitato all'art.24, par.2 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, ove si prevede che: «in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente».

Diversi dubbi interpretativi si sollevano, dunque, per i nostri giudici, i quali si trovano dinnanzi ad un principio poliedrico, la cui vasta portata resta per certi aspetti “indefinita”, a causa delle diverse fonti sovranazionali (che lo prevedono e ne tentano una definizione) a cui occorre fare riferimento.

In primo luogo, ci si interroga sugli eventuali rischi prodotti da una nozione, la cui indeterminatezza possa facilmente prestarsi al sostegno di una od altra ideologia preesistente, dal momento che l'astratto “interesse del minore” è comunque soggetto alla contingente valutazione del giudice nei singoli casi concreti.

In secondo luogo, si potrebbe contestare la scarsa utilità di un generico principio, posto a garanzia del superiore interesse dei minori, dal momento che essi sono ormai ritenuti titolari di diritti specifici, già sottoposti ad opportuna tutela. [...]

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Stepchild adoption: lacune normative e ruolo dell'interprete

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Informazioni tesi

  Autore: Serena Maria Maione
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Catanzaro Magna Grecia
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Sociologia
  Relatore: Aquila Villella
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 106

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