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La Bellezza tra metafisica ed antropologia in Schiller

Il problema del predominio di una concezione relativa della bellezza

Sono svariate le ragioni che spingeranno Schiller a cercare a tutti i costi un fondamento oggettivo della bellezza: la sua coscienza d'artista, che non gli faceva accettare il fatto che il giudizio estetico riguardo il mondo fenomenico e le opere umane fosse in balìa della percezione personale, svalutando e mettendo sullo stesso piano quelle opere d'arte, che travalicano e trascendono lo spazio e il tempo in quanto a magnificenza, con quelle opere, che, invece, non possiedono quell'essenza sottile e delicata che solo i veri capolavori sanno avere; il suo imperante desiderio di risanare quel dualismo insito nell'uomo, che egli pensava di poter superare in una dimensione estetica dai connotati oggettivi ben saldi, in cui l'uomo si ritrovava integro anche al livello morale; la sua voglia di rendere giustizia all'essenza della cosalità, indicando nella cosa stessa il motivo fondante del nostro giudizio verso essa, in particolare del giudizio estetico. Era reduce di un'esasperata concezione relativistica della realtà, che prendeva le mosse dalla corrente manieristica rinascimentale, originatasi dalla manifestazione di diverse forze centrifughe che misero in crisi le fondamenta di ogni forma di sapere cristallizzato, crisi avvenuta in seguito ad un'irreparabile ferita narcisistica inferta alla dimensione egoica dell'uomo, il quale, in seguito alle scoperte e agli sviluppi derivanti dalla rivoluzione copernicana, ha perso quel ruolo di centralità nell'universo, che lo aveva contraddistinto durante l'Umanesimo.
Manierismo che si declina, durante il secondo Settecento, in una ancora più dirompente voglia di infrangere i canoni del classicismo, alla ricerca di una maggiore libertà espressiva, sia in senso strettamente artistico che al livello concettuale, che sfocerà con Hume in un soggettivismo estetico, sulla soglia dello scetticismo, e che farà della bellezza non più una qualità inerente alle cose stesse, ma una questione interna alla mente del critico, vale a dire dello spettatore libero da tutte quelle sovrastrutture esterne, come consuetudini o pregiudizi, che deviano il giudizio di gusto, che deve basarsi esclusivamente su disposizioni interiori, quali il buon senso, il metodo, la squisitezza e la pratica. In quest'ottica si colloca Kant, il quale, con la sua estetica, si pone all'apice di quella tendenza settecentesca, che mira a dare ampio margine agli aspetti soggettivi e indeterminabili del gusto, verso cui Schiller guardava, nonostante la dimensione relativistica dell'esteticità, poiché, per lo meno, teorizza un'universalità che affonda le sue radici negli schemi trascendentali della ragione, accomunando ogni individuo, e ha «il gran merito di distinguere il logico dall'estetico».
Tutti questi motivi confluiranno nel progetto di un dialogo mai scritto, di cui ci rimangono soltanto sei lettere, che dovevano essere propedeutiche all'ipotetico dialogo, indirizzate all'amico Körner, scritte tra gennaio e febbraio del 1793. Questo dialogo progettato doveva essere il risultato del suo primo confronto con Kant e doveva intitolarsi Kallias (della bellezza), ragion per cui, proprio perché ricostruito a posteriori da questo scambio epistolare, adesso viene indicato col nome di Kallias Briefe.
In queste lettere, Schiller non si confronta esclusivamente con Kant, ma vaglia tutte le teorie della bellezza dell'epoca, analizzandone i punti di forza e le criticità, con l'intento di formularne una nuova, che riuscisse a rendere giustizia al concetto di bellezza. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

La Bellezza tra metafisica ed antropologia in Schiller

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Informazioni tesi

  Autore: Giulia Vassallo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Palermo
  Facoltà: Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Salvatore Tedesco
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 37

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Parole chiave

estetica
libertà
kant
filosofia
sensibilità
bellezza
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categoria
educazione estetica
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