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Dentro la massoneria. Una ricerca sull'Obbedienza del Grande Oriente d'Italia

Il segreto e la ritualità come costruttori di confini

Tipi di segreto e funzioni
Il concetto di segretezza, va subito detto, può essere riferito a vari aspetti dell’ambito massonico, il primo dei quali è sicuramente la presenza di un segreto in termini iniziatici: «La questione del segreto può essere vista da due angolazioni. Quella iniziatica; il Massone partecipa ad una ritualità carica di senso del mistero cosmico, che ama e tiene dentro di sé come un deposito sacro» (Moramarco 1981, 41). Se il segreto, nella massoneria operativa, si riferiva per lo più ad aspetti pratici come le regole per la costruzione degli edifici e la scelta della loro architettura, nella massoneria speculativa il significato diventa simbolico ed afferisce, per traslazione, alla “regole” per l’edificazione di un tempio interiore (Bonvecchio 2007, 182). In questo unico senso i fratelli intervistati continuano ad usare questa parola senza trasformarla in una sua versione, per così dire, più “aperta”. Per definire il segreto iniziatico la maggioranza dei fratelli utilizza il termine «incomunicabile», sostenendo come questo sia un qualcosa che afferisce alla sfera delle emozioni ed intuizioni del singolo che, ad un certo punto del percorso iniziatico – ma può anche non avvenire mai – intuisce un qualche tipo di verità che si presenta alla stregua di una rivelazione. Il segreto, in sostanza, non può essere comunicato di bocca in bocca perché il processo del suo disvelamento avviene all’interno dell’individuo stesso e lo si può conoscere solo per esperienza diretta: «Il segreto iniziatico è tale perché non può non esserlo, consistendo essenzialmente nell’“inesprimibile”, che per conseguenza è necessariamente l’“incomunicabile”» (Guénon 2010, 124). Se i valori massonici possono essere suddivisi in iniziatici e profani (Di Bernardo 1987, 11) il segreto è il concetto iniziatico per eccellenza, mentre concetti quali libertà, fratellanza, tolleranza, trascendenza possono essere definiti come profani, poiché il loro significato è comprensibile anche ai non massoni. Un segreto, quindi, che costituisce un collante tra chi questo segreto lo detiene e sancisce una separazione tra costoro e coloro i quali non ne sono a conoscenza. L’elemento della segretezza, in questo senso, rimanda alla fisionomia del gruppo ristretto che ha accesso a determinate informazioni da cui altri sono esclusi: «non è qualcosa che vale per tutti: di cui tutti possono partecipare. Non è, insomma, qualcosa né di scontato né di “democratico”, dove per democratico s’intende qualcosa che deve appartenere, senza riserva alcuna, a tutti. È, piuttosto, qualcosa di aristocratico» (Bonvecchio 2007, 169-177).

L’autore prosegue dicendo come il segreto «si connota – per coloro che ne sono al corrente – come un carattere di saldissima unione e di partecipazione a qualcosa di profondamente condiviso e strutturante» e come, di conseguenza, questo sia «datore di una salda identità [ribadendo] la particolare condizione di chi ne è al corrente rispetto a chi non lo è» e divenendo, infine «la condizione stessa dell’esistenza del gruppo». Il segreto, come ha scritto Simmel (1908, 48), offre «l’opportunità di un secondo mondo accanto a quello rivelato» e, a sancire una separazione tra chi detiene il segreto e chi no, Simmel ricorda come per molte persone il segreto posseduto non ha solo valore di per sé, come fonte conoscitiva di qualcosa, ma ha valore anche nella misura in cui altri vi devono rinunciare: «dato che l’esclusione degli altri da un possesso subentra soprattutto in caso di suo grande valore, è psicologicamente ovvio il contrario e cioè che ciò che è negato a molti deve essere qualcosa di particolare valore» (Simmel 1908, 50-51). Questo è il segreto in termini iniziatici, però il termine viene utilizzato generalmente anche per significare qualcosa d’altro. Prima di entrare nel merito, occorre riprendere una calzante definizione di Giarrizzo (1994) secondo cui la massoneria non è una società segreta, bensì una società di segreti. E infatti, a seconda dell'estensione del segreto, un'organizzazione può assumere due forme principali: una in cui il segreto incorpora informazioni riguardo tutti gli aspetti del gruppo, inclusa la sua stessa esistenza; l'altra in cui solo alcuni aspetti come la membership, le regole, gli obiettivi, rimangono segreti (Hazelrigg 1969, 324). Mentre il segreto iniziatico – nelle parole di Guénon (2010, 124-129) – è inafferrabile e inaccessibile ai profani e quindi non può essere in alcun modo tradito, esistono altri segreti di altra fattura: «Oltre a tale segreto, che soltanto le è essenziale, un’organizzazione iniziatica può possedere secondariamente anche altri segreti non dello stesso ordine, ma di un ordine più o meno esteriore e contingente… Naturalmente, ogni segreto di questa natura non ha che un valore convenzionale e molto relativo e può essere sempre scoperto e tradito». Nelle parole degli intervistati, in questo senso, è più corretto definire il segreto nei termini di «riservatezza/riserbo» o «discrezione»:

Il termine segreto non esiste più… ai tempi miei si giurava segreto sui lavori compiuti a fine tornata, si giurava segreto… poi c’erano i famosi giuramenti. Oggi invece si parla di promesse, sia pure solenni […] si parla di mantenere la riservatezza [Interv. 26, 70, Calabria].

Mahmud enfatizza molto il termine discrezione nella sua ricerca (Mahmud 2012, 426), sostenendo sia il termine preferito dai suoi intervistati perché riesce a spiegare bene le varie forme di occultamento e rivelazione (concealment and revelation) che fanno da sfondo alle pratiche massoniche e perché, d’altra parte, il termine segreto viene usato con estrema cautela in seguito alle disavventure giudiziarie degli ultimi decenni. Un secondo tipo di segreto, che non ha caratteri iniziatici in senso stretto, attiene a ciò che viene svolto durante le tornate rituali e ad altre norme di comportamento sancite dai regolamenti. In questo senso le interviste rimandano l'immagine di alcuni fratelli (soprattutto Maestri) che hanno coscienza di cosa si possa dire ad un profano e cosa sia meglio tacere. Spesso viene utilizzata la formula «Del resto questo non è un segreto», «Questo non è un mistero, possiamo rivelarlo», mentre altri (soprattutto Apprendisti) ogni tanto interrompono la conversazione con «Ma questo... no, non te lo posso dire». Interessante notare come molte delle cose che questi fratelli “non mi possono dire” in realtà mi vengano esposte da altri:

[Nella tua loggia la parte centrale è dedicata alla discussione di temi particolari?] Non si può dire [Interv. 10, 32, Piemonte].

La parte centrale non è un mistero, come non è un mistero nulla secondo me [Interv. 14, 50, Piemonte].

[Quante persone ci sono all'interno della sua loggia? L’intervistato fa una faccia strana. Questo me l'hanno detto tutti, c'è il segreto anche su questo?] Quaranta [Interv. 16, 55, Piemonte].

Per quanto attiene ad alcune norme del regolamento massonico, in due casi mi è stato riferito qualcosa che effettivamente non mi doveva essere riferito, ossia l’appartenenza di una certa persona all’Obbedienza, dando per scontato che io fossi a conoscenza della questione. Come scrive Panaino (2006, 765), «nessuna loggia e nessun massone affiliato a una obbedienza massonica ufficiale può infatti essere “coperto” e pretendere la segretezza rispetto agli altri, mentre vige il principio della riservatezza, ovvero il criterio secondo il quale […] ciascuna [persona] parla di sé e se lo vuole, può manifestare la sua identità massonica, ma non è autorizzato a parlare per o di altri». Ne emerge, quindi, un quadro in cui occorre ridefinire i termini di discrezione, a sottolineare come vi sia scarsa consapevolezza interna riguardo ciò che può essere condiviso con i profani e ciò che invece deve rimanere all'interno delle logge. Dalle mie interviste, inoltre, si evince come i fratelli preferiscano non parlarmi del modo in cui vengono svolti i lavori rituali, dicendomi comunque che oggi si può trovare tutto su Internet. Dalla ricerca di Kenney, invece, emerge come gli intervistati non abbiano nessun problema a descrivere i rituali nei minimi dettagli. La maggiore apertura è in parte motivata dall’avere di fronte un intervistatore che fa parte anch’egli della massoneria. Né io né Kenney, infatti, abbiamo posto domande esplicite sulle particolarità dei rituali, piuttosto domande generiche riguardanti le sensazioni degli intervistati in relazione ai momenti di ritualità, a come questi vengano vissuti. Ma mentre nelle interviste svolte da Kenney per alcuni fratelli è risultato naturale parlare anche dei “tecnicismi” rituali, nel mio caso ciò non è avvenuto per chiara volontà dei fratelli che avevano la tendenza a bloccare i loro racconti. Qui emerge in modo chiaro come il segreto abbia una funzione essenziale, quella di creare un vincolo e rinsaldare un legame tra coloro che lo detengono separandoli da coloro che non appartengono al gruppo: «Ciò che si vuole sottolineare qui non è tanto la possibile natura eversiva del segreto […] ma la natura costituente del segreto come cemento spirituale della comunità separata» (Cazzaniga 2006, XIX; 23). L’autore prosegue dicendo come l’obbligazione indotta dal giuramento a mantenere i segreti trasmessi con l’iniziazione, costituisca il riconoscimento e l’accettazione di una nuova identità «che si presenta al recipiendario come frutto di un ciclo di morte rituale e rinascita spirituale». Ritornando al termine discrezione, Mahmud sottolinea come questo abbia a che fare sia con pratiche di occultamento che di rivelazione, a differenza del segreto che ha a che fare per lo più con pratiche di occultamento: «secrecy seems to put the emphasis on concealment, whereas discretion calls attention to a contextualized set of revealing and concealing practices, of knowing how much to say, to whom, and when» (Mahmud 2012, 429). In particolare, sostiene Mahmud, essendo i massoni anche membri del mondo profano – avendo tutti un lavoro, parenti, amici appartenenti al mondo profano – hanno bisogno di mettere in pratica forme di occultamento e rivelazione continui: «Freemasons, thought of themselves as Freemasons alla the time, in any context, and it was their dicretion that allowed them to remain Freemasons even in a profane world» (Mahmud 2012, 429). Quindi la discrezione diviene un modo per dire alcune cose a qualcuno, nasconderle a qualcun altro, parlare di un argomento trattandone solo alcuni aspetti e tralasciandone altri, parlare chiaro solo a chi può comprendere il nostro stesso linguaggio. La libera muratoria, quindi, non è – e per legge non può essere – una società segreta, ma ha i caratteri della segretezza – riserbo, discrezione – e rientra in quel tipo di associazioni la cui formazione, per Simmel (1908, 73), «è nota senza riserve, ma restano segreti i membri o lo scopo o particolari disposizioni o legami, com’è il caso delle molte sette segrete dei popoli che vivono allo stato naturale o dei massoni». Queste società solo relativamente segrete, prosegue Simmel (1908, 74), vengono organizzate sulla base di una certa pubblicità e possono tollerare di venir ulteriormente scoperte, a differenza delle società veramente segrete che vengono distrutte non appena sono scoperte. La debolezza delle società segrete, inoltre, è che una volta svelato il segreto, ne avviene la dissoluzione. Inoltre, la stessa manifestazione dell’ideale di «abbracciare tutti gli esseri umani e di rappresentare l’intera umanità» (Simmel 1908, 110) da parte della libera muratoria, fa sì che questa non si possa considerare una società segreta, anche se ovviamente bisogna considerare – anche alla luce della presente ricerca – quanto questo ideale sia poi effettivamente perseguito. Tutto questo sta a sottolineare la forma peculiare della massoneria che, a parer mio, può essere definita associazione relativamente segreta. “Relativamente” perché, sia considerando il segreto in termini iniziatici, sia considerando gli altri tipi di segretezza qui illustrati, i segreti hanno più una funzione regolativa che ontologica. La funzione ontologica è tipica del segreto iniziatico che, però, non accomuna tutti i massoni poiché, se da una parte la sua conoscenza si collega strettamente alle intuizioni e alle capacità del singolo (quindi non ha carattere di gruppo), possono esserci anche fratelli cui l’intuizione di tale segreto non arriverà mai. La funzione regolativa è, invece, tipica delle altre forme di segreto, che sono più norme di comportamento da adottare per evitare problemi e disagi agli altri fratelli e all’Istituzione, e che hanno uno scopo per lo più tutelante ed autodisciplinante, ma qualora uno di questi segreti venisse infranto, non viene meno la ragion d’essere dell’istituzione, tantomeno si perviene alla sua dissoluzione, come invece accade per le società segrete in senso stretto. Questo ci porta a riflettere sulla forma del segreto massonico e sul fatto che l’Istituzione, nella sua forma speculativa, sopravviva da trecento anni mentre la vita delle società segrete è solitamente assai più breve, essendo la loro esistenza un «correlato del dispotismo e della limitazione poliziesca» (Simmel 1908, 76) avente quindi funzione difensiva ed offensiva contro la forza soverchiante dei poteri centrali. Anche se intendiamo il segreto nella veste del non far trapelare all’esterno ciò che viene svolto durante le tornate rituali, oppure non svelare l’appartenenza di altri membri all’organizzazione (cioè il segreto in riferimento ad un contenuto concreto, non iniziatico e non rientrante nella sfera dell’intuibile) si può dire che il silenzio imposto ha più i caratteri dell’insegnamento all’autodisciplina che non quelli di un divieto di svelare un contenuto prezioso. E infatti, nonostante i fratelli intervistati tendenzialmente non facciano parola dei rituali di loggia, questi stessi rituali si trovano riportati in numerose pubblicazioni; e anche nel caso dello svelamento dell’appartenenza di un fratello all’organizzazione, a parte un certo fastidio da parte del diretto interessato, la questione non ha compromesso i fratelli responsabili di tale svelamento. Allora il segreto, come scrive Simmel (1908, 80), è più simile al silenzio pluriennale imposto ai novizi nelle leghe segrete dei pitagorici, per cui «la lega mirava a una severa autodisciplina e a una stilizzata purezza di vita e chi ce la faceva a tacere per anni era certo in grado di far fronte anche ad altre tentazioni oltre a quella della loquacità». Dalla ricerca emerge anche un terzo significato del concetto di segretezza/riservatezza nella veste di «protezione» da un mondo profano che tende ad avere pregiudizi negativi e a fraintendere le finalità massoniche. In questo senso i fratelli tentano di tutelarsi sia a livello personale, come abbiamo visto, evitando di palesare apertamente la propria appartenenza, oppure ad un livello più generale di apertura verso l’esterno, stando attenti a come pubblicizzare gli eventi e a come svolgere azione di proselitismo: «Rivelare la propria qualifica massonica significa il più delle volte esporsi a un’infinità di domande, commenti sarcastici, sproloqui di persone che spesso non vogliono comprendere, ma profanare. E il vero Massone ama troppo l’Arte Reale per darla in pasto a sprezzanti saccentelli. C’è poi l’aspetto “sociale”. Più che segreto sui nomi, direi si tratta di riserbo, di discrezione. Non siamo da sempre oggetto di una guerra guerreggiata contro la nostra reputazione?» (Moramarco 1981, 41).

Dalle interviste emerge come questo istinto di riservatezza sia altresì opportuno perché, qualora si rendessero palesi i lavori rituali, ad occhi esterni il lavoro massonico potrebbe sembrare anacronistico, nonché possibile fonte di derisione:

Cosa penseresti se tu fossi una mosca e ci vedessi lavorare, aprire i lavori, fare il nostro rito e… o pensi che siamo dei pazzi, dei pagliacci […], quindi talvolta il riserbo è dovuto al fatto che non tutti sono pronti ad accettare, ad accettarci o a vederci nella giusta luce, nella giusta ottica, quindi è un po’ una sorta di riservatezza, di protezione [Interv. 20, 57, Piemonte].

Quello che spesso scambiano per segretezza nostra, non è segretezza è riservatezza, ma riservatezza secondo me necessaria dovuta al fatto che un non iniziato, se entrasse nei nostri templi e seguisse una riunione rituale, non la capirebbe, non potrebbe capirla... il fatto stesso di vederci vestiti in una certa maniera, per esempio con i grembiulini, potrebbe essere anche un po', forse... potrebbe dare dell'ilarità [Interv. 25, 44, Calabria].

In questo senso lo stesso Bonvecchio (2007, 234) scrive come i membri della libera muratoria si debbano spesso ammantare della riservatezza «che ha l’unica funzione di salvaguardare dall’aperta ostilità di chi li circonda e li considera corpi estranei per l’organismo sociale» perché visti «in aperta controtendenza (se non in netta opposizione) con la conoscenza scientifica e con il principio razionalista che rappresenta l’asse portante della medesima società, della sua ideologia e della sua riproduzione sociale e culturale». Il segreto massonico, quindi, è più un principio organizzativo che uno strumento di occultamento (Sorrentino 2011, 27); se il secondo, infatti, è utilizzato da alcuni soggetti per nascondere determinate informazioni ad altri soggetti, il tipo di segreto organizzativo risulta una forma di dominio «indipendentemente dai contenuti occultati, che possono essere privi di valore o non esistere affatto». Parlando della massoneria del XVIII secolo Koselleck osservava come «il mistero delle logge prima ancora che nei contenuti consistette nell’aureola che da esso si irradiava» (Koselleck 1984, 91). Va da sé che queste organizzazioni devono essere in qualche modo visibili affinché il segreto possa avere la funzione di principio organizzativo e gli “esclusi” devono quindi sapere che questo segreto esiste (Sorrentino 2011, 121).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Dentro la massoneria. Una ricerca sull'Obbedienza del Grande Oriente d'Italia

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Informazioni tesi

  Autore: Eleonora Salina
  Tipo: Tesi di Dottorato
Dottorato in Social and Political change
Anno: 2017
Docente/Relatore: Rocco Sciarrone
Correlatore: FulvioContiAngelaPerulli
Istituito da: Università degli Studi di Torino
Dipartimento: Culture politica e società
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 336

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