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Studio della comunità microbica di suoli agrari della filiera Parmigiano Reggiano dell'oltrepò mantovano e Grana Padano DOP nell'ambito del progetto LIFEDOP

Importanza della biodiversità microbica del suolo

La biodiversità è stata definita dalla Conferenza dell'ONU su ambiente e sviluppo (Rio de Janeiro, 1992) "ogni tipo di variabilità tra gli organismi viventi, compresi, tra gli altri, gli ecosistemi terrestri, marini e altri acquatici e i complessi ecologici di cui essi sono parte; essa comprende la diversità entro specie, tra specie e tra ecosistemi". La biodiversità si basa su tre miliardi e mezzo di anni di evoluzione (Accademia Nazionale delle Scienze, 2010) ed è una risorsa naturale di fondamentale importanza per il funzionamento e la regolazione interna degli ecosistemi; sia di quelli naturali quanto di quelli fortemente antropizzati come l’ecosistema agrario. I servizi ecologici svolti dalla biodiversità sono numerosi e non tutti completamente noti, ma tra i più importanti si possono annoverare il riciclo dei nutrienti, la chiusura di molti cicli biogeochimici, la regolazione dell’equilibrio tra le popolazioni delle diverse specie e il controllo di quelle parassite o infestanti, l’impollinazione delle specie vegetali, la regolazione del microclima e dei processi idrogeologici locali, come anche la detossificazione degli ambienti da sostanze nocive (Altieri, 1999; Kaur et al., 2005). Nonostante vi siano poche evidenze scientifiche che legano positivamente la fertilità del suolo alla biodiversità, la diversità biologica può portare effetti positivi alla fertilità del suolo nel tempo. I benefici alla fertilità e alla produttività sono attribuibili al ruolo che la biodiversità esercita nelle dinamiche regolatrici degli input nutrizionali e alla maggiore stabilità e resilienza di un ecosistema caratterizzato da un buon livello di biodiversità.
Per quanto riguarda gli input nutrizionali la biodiversità esercita un effetto positivo sulla fertilità e sulla produttività degli agroecosistemi attraverso due meccanismi: il ruolo nel riciclo e nella trasformazione dei nutrienti e le relazioni mutualistiche che si instaurano tra alcune specie microbiche e gli apparati radicali delle piante. La componente microbica riveste un ruolo fondamentale nella totalità degli organismi decompositori che regolano il ciclo dei nutrienti, i flussi di energia e in ultimo la produttività degli ecosistemi (Picione, 2009), e la sua attività è regolata da fattori biotici quanto abiotici come la quantità e le caratteristiche della SO apportata al suolo, la temperatura, la tessitura del terreno (Sofi et al., 2016) come anche le azioni di disturbo esercitate dalle attività umane. I microrganismi, tramite il loro catabolismo e la secrezione di enzimi ad attività extracellulare, sono co-responsabili della formazione della frazione di SO recalcitrante, legandosi alle frazioni minerali del suolo, contribuisce alla formazione e al mantenimento degli aggregati e della struttura del suolo. I microrganismi inoltre, decomponendo la sostanza organica, attuano la sua mineralizzazione trasformandone gli elementi costituenti, dai più importanti (carbonio, azoto, zolfo, etc…) ai più minoritari (ferro, nichel, mercurio, etc…) da forme organiche, indisponibili per le piante, a forme inorganiche solubili, che possono essere assorbite dagli apparati radicali. Per quanto riguarda il contributo alla stabilità degli ecosistemi, la biodiversità è un elemento chiave nel definirne il grado di resilienza, intesa come capacità di resistere e rispondere positivamente agli stress a cui vengono sottoposti mantenendo le proprie funzionalità e la propria produttività. In questo ambito la biodiversità è un’elemento chiave nel controllo dell’entomofauna dannosa (Altieri, 1991) e dei patogeni radicali, attraverso forme dirette ed indirette di antagonismo (Arias et all., 2005; Kloepper, 1980). La diversità biologica di un agroecosistema può essere compromessa da tutti quei fattori che vanno a esercitare una rapida alterazione degli equilibri ecosistemici. La biodiversità può invece essere salvaguardata attraverso pratiche conservative di lavorazione, di gestione del carbonio e della fertilizzazione e da tutte quelle pratiche agroecologiche che mirino a incentivare la diversità biologica degli agroecosistemi. Alcune delle pratiche diffuse dalla Green Revolution, tra cui l’abbandono delle rotazione, la monosuccessione di un numero esiguo di specie agrarie, l’impiego massivo di insetticidi e fungicidi come metodi di difesa, e l’abbandono della fertilizzazione organica e la sua sostituzione con fertilizzanti inorganici hanno aggravato significativamente l’erosione della biodiversità. La diversità batterica del suolo può essere incrementata con bassi input di N sintetico (<150kg N/ha anno) e con input di N organico prolungati nel tempo (Graaf et al, 2019). Anche le lavorazioni impattano negativamente la biodiversità microbica del suolo. E’ stato infatti rilevato come la ricchezza e la distribuzione delle specie microbiche nel suolo sia significativamente maggiore in terreni lavorati con pratiche di Minima Lavorazione rispetto a terreni gestiti con lavorazioni convenzionali (Legrand et al, 2018). La biodiversità delle specie microbiche nel suolo non è di facile determinazione in quanto 1 g di suolo può contenere più di 10 10batteri e, di questi, meno del 1% è coltivabile in vitro (Torsvik, 1998). Attualmente per determinare la quantità e l’attività della microflora del suolo vengono impiegati vari indicatori biologici e tecniche molecolari in congiunzione ad indicatori chimico-fisici (Arias et al, 2005). Durante lo svolgimento del mio tirocinio sono state applicate due tecniche, quali l’analisi respirometrica e l’analisi dei PLFA (acidi grassi di derivazione fosfolipidica), al fine di determinare l’entità della microflora presente nei suoli campionati, da un punto di vista quantitativo e qualitativo. Gli acidi grassi dei fosfolipidi (PLFA – phospholipid fatty acid) sono componenti chiave delle membrane cellulari dei microrganismi appartenenti ai domini Bacteria e Eukarya. I microrganismi sintetizzano PFLA con catene di differenti lunghezze al fine di garantire l’integrità della cellula e la funzionalità della membrana al mutare delle condizioni ambientali (Kaur et al., 2005; Quiedeau et al., 2016). L’analisi dei PLFA, considerata la loro alta specificità biologica e la crescente letteratura scientifica sull’argomento, può impiegata come un valido strumento chemo-tassonomico per l’analisi della composizione della comunità microbica del suolo. Gli specifici acidi grassi vengono impiegati come indicatori della presenza di certi gruppi tassonomici (Zelles, 1999; Kaye et al., 2005; McKinley et al., 2005; Hahn e Quideau, 2013; Margasin et al., 2007; McIntosh et al., 2013; Quideau, 2016). I PLFA vengono rapidamente degradati successivamente alla morte cellulare, per questo motivo possono essere considerati indicatori rappresentativi nello studio della comunità microbica viva di un suolo (Kaye et al., 2005; Quiedeau et al., 2016). La doppia valenza (quantitativa e qualitativa) dell’analisi dei PLFA rende questa tecnica molecolare uno strumento versatile ed efficiente nel rilevare i rapidi cambiamenti strutturali che possono verificarsi all’interno della comunità microbica del suolo in un confronto tra diverse pratiche gestionali (Zelles, 1999; Kaur et al., 2005; Kaye et al., 2005).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Studio della comunità microbica di suoli agrari della filiera Parmigiano Reggiano dell'oltrepò mantovano e Grana Padano DOP nell'ambito del progetto LIFEDOP

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Informazioni tesi

  Autore: Federico Provenzani
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Milano
  Corso: Scienze e tecnologie agrarie, agroalimentari e forestali
  Relatore: Barbara Scaglia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 71

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Parole chiave

agricoltura sostenibile
biodiversità
suolo
digestato
agricoltura conservativa
plfa
comunità microbica suolo
minima lavorazione
lifedop

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