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Olivicoltura biologica: stato dell'arte e prospettive agroforestali

L’agroforestazione in olivicoltura

L’aumento del consumo di olio negli ultimi decenni ha portato ad una crescita della domanda e della produzione; questo ha fatto sì che nascessero sempre più piantagioni intensive e super-intensive, responsabili di una maggiore erosione del suolo e desertificazione, specialmente in quei Paesi che sono tra i principali produttori mondiali, come Spagna, Grecia e Italia. Tale fenomeno ha destato la preoccupazione dell’Unione Europea che per questo motivo ha promosso un modello di produzione agroecologica che si prefigge di rafforzare l’agroecosistema riducendo al minimo gli input agricoli, nell’ottica di uno sviluppo più sostenibile. I miglioramenti raggiunti sinora nelle pratiche colturali e gli sforzi messi in atto per ottimizzare l’uso di input non sono ancora sufficienti per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità prefissati. Anche i sistemi colturali biologici spesso puntano ad un’agricoltura di sostituzione, piuttosto che conservativa, limitandosi a sostituire i prodotti di sintesi con altri di origine naturale e a tenere sotto controllo le piante spontanee mediante lavorazioni del terreno anziché ricorrere agli erbicidi. Nonostante l’agricoltura biologica porti, ad esempio, ad un aumento della fertilità del suolo e della biodiversità, l’approccio, dunque, rimane spesso sostanzialmente intensivo, specialmente nelle aziende di grandi dimensioni. Esistono comunque esempi di gestione a minor impatto ambientale che si servono di inerbimento o prevedono una maggiore rotazione delle colture erbacee o la presenza di bestiame nell’azienda.
La speranza è quella di evitare l’abbandono delle pratiche tradizionali, che risultano meno invasive sull’ambiente naturale e coinvolgono anche l’aspetto culturale dell’olivicoltura, diffondendo la filosofia dell’agroforestazione. Mediante tale sistema, più che puntare all’incremento della produzione, al quale è destinata l’olivicoltura specializzata, si auspica ad ottenere molteplici vantaggi dalla coltivazione dell’olivo, da quelli naturali, come la tutela della biodiversità e del suolo, a quelli di tipo culturale e paesaggistico. È chiaro ormai che l’agricoltura biologica, seppur come visto in diversi casi intensiva, si sposa bene con i principi che governano questo sempre più noto sistema di coltivazione.
L’agroforestazione è basata sulla diversificazione delle componenti produttive e porta alla consociazione di specie arboree con arbustive e/o erbacee, includendo in taluni casi anche il bestiame. Questo termine, coniato da Bene et al. (1977), indica una vera e propria riprogettazione dell’agroecosistema e quindi non prevede la sostituzione di pratiche convenzionali con altri input. In realtà, pare che questo fosse l’utilizzo più diffuso del suolo prima che l’agricoltura specializzata prendesse il sopravvento, con l’obiettivo di massimizzare i guadagni grazie anche alle moderne tecnologie di meccanizzazione. L’agroforestazione è di fatto oggi fortemente praticata solo nelle zone tropicali.
In uno studio di Gliessman (2015) è riportato che la transizione verso un approccio più sostenibile deve necessariamente comportare un’ulteriore ottimizzazione degli input agricoli, la sostituzione di quelli convenzionali con pratiche agroecologiche (anziché con altri input esterni), una maggiore diversificazione spaziale e temporale nell’agroecostistema e, infine, una connessione più diretta tra produttori e consumatori, accorciando in tal modo la filiera e valorizzando la territorialità dei prodotti.
In base alla loro composizione, i sistemi agroforestali vengono classificati in sistemi silvopastorali, che includono specie arboree e bestiame, silvoarabili, che comprendono alberi e colture erbacee, e agrosilvopastorali, costituiti da specie arboree insieme ad arbustive e/o erbacee e bestiame. Le specie arboree non sono necessariamente da frutto ma possono, ad esempio, essere impiegate anche per la produzione di legname. L’agroforestazione comporta non soltanto che siano presenti diverse componenti nell’agroecosistema ma anche che queste siano strettamente in relazione tra di loro.
Nonostante, dunque, nei Paesi più sviluppati l'agricoltura biologica adotti raramente queste pratiche, non mancano esempi di aziende agroforestali in Europa, seppur limitati (in Gran Bretagna, Polonia, Ungheria, Ucraina e Italia). I relativi dettagli sono visionabili sul sito web di EURAF (European Agroforestry Federation) e su quello del progetto AFINET (Agroforestry Innovation Networks). L’EURAF, nata nel 2011, è una federazione di associazioni agroforestali nazionali. Associazioni simili sono presenti in altri continenti, come la nordamericana AFTA (Association for Temperate Agroforestry). Più istituzioni, inoltre, sono attualmente impegnate nella ricerca, tra cui la FAO (Food and Agricolture Organization), e in Europa sono sorti diversi progetti finanziati dall’UE, come SAFE (Silvoarable Agroforestry For Europe), AGROFE (Agroforestry education in Europe), AGFORWARD (Agroforestry that Will Advance Rural Development) e AGROF MM (Agroforesterie Formation Méditerranée et Montagne).
È bene precisare che, come per i prodotti biologici, esistono alcuni standard anche per quelli agroforestali, inclusi nella famiglia degli IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements), come ad esempio la certificazione dei prodotti del giardino forestale (IAFN-RIFA 2020) o gli standard sviluppati dalla SA (Soil Association) nel Regno Unito, conformi allo standard dell’FSC (Forest Stewardship Council). Sono state, inoltre, proposte delle linee guida tra cui il FROC (Framework for Regenerative Organic Certification), che include standard agroforestali.
Un potenziale vantaggio dell’agroforestazione è quello di proteggere le colture da eventi climatici estremi; gli alberi possono esercitare la stessa funzione delle siepi frangivento e, ad esempio nell’area mediterranea, il riparo dalla luce del sole potrebbe mitigare almeno in parte gli effetti negativi della siccità e delle alte temperature, le quali mettono sempre più a rischio la produttività delle colture erbacee (in misura maggiore rispetto all’eventuale ombreggiamento). In questo modo piante e bestiame sarebbero più protetti dalle intemperie e da un’eccessiva esposizione alla luce. Il benessere degli animali è un obiettivo fondamentale della produzione zootecnica, specialmente se biologica (in quanto l’uso di farmaci veterinari è soggetto a restrizioni, in aggiunta alle questioni etiche).
Oltre al riparo, le specie vegetali forniscono cibo agli animali, che allo stesso tempo apporteranno benefici alle coltivazioni fornendo fertilizzanti naturali e attraverso il diserbo. Tale sinergia ridurrebbe l’impatto ambientale sia delle colture sia del bestiame. Diverse sperimentazioni di carattere agroforestale hanno coinvolto, ad esempio, specie arboree e pollame; dalla valutazione dell’LCA (Life Cycle Assessment) è emerso che le prime traevano beneficio dagli escrementi ricchi in azoto (che fungevano dunque da fertilizzanti già disponibili in loco) e da un sufficiente diserbo (il quale spesso in biologico è effettuato meccanicamente), poiché il pollame si nutriva dell’erba e pascolava liberamente. A tal punto è risultato superfluo l’intervento umano nella fertilizzazione del suolo e nella gestione delle piante spontanee. Le operazioni in questione, inoltre, erano considerate quelle a maggior impatto ambientale nel frutteto. Tale esperimento ha permesso anche un risparmio economico sull’acquisto di carburante, legato allo sfalcio non più meccanizzato, e di fertilizzanti organici. Restando sull’aspetto economico, l’agroforestazione potrebbe incrementare la produttività dei sistemi biologici per unità di superficie in modo sostenibile, riducendo il divario nella resa rispetto all’agricoltura convenzionale; pare infatti che la produttività dei sistemi agroforestali sia maggiore della somma di quelle delle rispettive monocolture e il sistema è progettato per massimizzare le relazioni positive e ottimizzare l’uso delle risorse (eco-intensificazione), minimizzando l’eventuale competizione per il loro utilizzo. Ciò significa che il sistema dovrebbe prevedere lo sfruttamento di risorse da parte dell’albero e dell’arbusto che le colture erbacee o gli animali non utilizzerebbero e viceversa.
L’agroforestazione porta in generale ad un aumento di infrastrutture verdi, con i conseguenti benefici sulla biodiversità, che può contribuire al controllo naturale dei parassiti. Aumentare la biodiversità per attirare e mantenere i nemici naturali generalmente è più efficace rispetto al loro acquisto una tantum, visto l’alto prezzo di mercato. Quindi è consigliabile prevedere in fase di impianto anche aree dedicate a siepi arbustive ed altre specie arboree in cui non vengano mai irrorati fitofarmaci, in modo da fornire costante rifugio agli insetti impollinatori, predatori e prede alternative. Ad esempio, studi di Alvarez et al. (2021) hanno mostrato che nei suoli inerbiti era presente un maggior numero di predatori delle uova di P.oleae rispetto ai terreni nudi. La presenza di specie arboree del genere Quercus contribuisce a mantenere sotto controllo lo stesso parassita, dando rifugio a insetti che ne limitano la diffusione. Anche eventuale vegetazione naturale nei pressi dell’azienda può portare benefici di questo tipo, fornendo polline e prede alternative in modo da mantenere costante la presenza dei nemici naturali. La combinazione sinergica di colture erbacee, arbustive ed arboree, sia naturali sia impiantate appositamente, massimizza la presenza di entrambi.
La Figura 24 mostra i potenziali effetti benefici sulla sostenibilità che l’agroforestazione potrebbe apportare all’agricoltura biologica, messi a confronto con quelli raggiunti dalla sola coltivazione biologica e da quella convenzionale.

Nonostante le potenzialità mostrate dall’approccio agroforestale, sono da tenere in considerazione gli oneri relativi all’impianto iniziale, le difficoltà nella meccanizzazione, la necessità di formazione specifica per coltivatori e manodopera, di campagne di divulgazione e quella di attuare politiche volte a favorire la sperimentazione agroforestale, compresa l’introduzione di sussidi per incoraggiare e sostenere gli agricoltori in questo percorso e nella commercializzazione di nuovi prodotti. Ciò significa che bisogna rendere l’approccio anche economicamente sostenibile. A tal proposito, sono stati proposti e studiati sistemi agroforestali che agevolino la meccanizzazione attraverso ampi sesti d’impianto, prevedendo così una distanza tra gli alberi che consente, ad esempio, il passaggio di mietitrebbia tra i filari.
Al di là della coltivazione di altre specie destinata alla vendita dei loro prodotti, che comunque può offrire fonti di reddito aggiuntive fornendo una spinta economica verso l’allontanamento dalla monocoltura, tale diversificazione può puntare direttamente a fornire servizi ecologici, contrastando l’erosione e l’impoverimento del suolo o supportando il controllo dei parassiti; si tratta in questo caso di colture di servizio agroecologico (Agroecological Service Crops, ASC). Come discusso nel p. 2.2.2., l’uso di colture a tali scopi in agricoltura biologica è in crescita e di fatto può essere già considerata una pratica agroforestale.
Nonostante recentemente le risorse investite nel settore agroforestale per la ricerca siano notevolmente aumentate, le informazioni scientifiche relative ai possibili vantaggi dell’agroforestazione sono ancora molto scarse. Attualmente, dunque, emergono le potenzialità di apportare benefici alla biodiversità e di conferire altri servizi ecosistemici importanti per la società, compresa la valorizzazione delle bellezze paesaggistiche.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Olivicoltura biologica: stato dell'arte e prospettive agroforestali

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Informazioni tesi

  Autore: Carmelo Ofria
  Tipo: Tesi di Master
Master in Produzione Biologica: dal campo alla commercializzazione
Anno: 2022
Docente/Relatore: Adamo Domenico Rombolà
Istituito da: Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 81

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Parole chiave

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