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L'affettività alla prova del carcere: disciplina vigente e prospettive di riforma

L’ingresso in carcere dei familiari: i colloqui

Appare subito con evidenza l’importanza primaria che, fra gli strumenti diretti a favorire i contatti con i soggetti a cui si è affettivamente legati, il legislatore ha riconosciuto ai colloqui. Agevolano il mantenimento di rapporti familiari, ove esistenti. Se, pur sussistendo, tali relazioni siano precarie, l’amministrazione, anche attraverso lo strumento del colloquio, dovrà attivarsi e favorirne un miglioramento. In assenza di rapporti, ex art. 37 co.11 del regolamento di esecuzione, “la direzione ne fa segnalazione al centro di servizio sociale per gli opportuni interventi” affinché si attivino e facciano quanto in loro potere per la ripresa ed il rafforzamento degli stessi.
L’ordinamento penitenziario dedica l’art. 18 all’istituto, riconoscendo ai detenuti e agli internati la possibilità di essere ammessi ad avere colloqui con i congiunti e con altre persone, accordando, al co.3, particolare favore ai colloqui con i familiari.

Disciplina che va letta alla luce dei diritti sanciti dalla nostra Carta costituzionale, si pensi agli art. 2, 29, 30 e 31 Cost.; dalle fonti internazionali, a titolo esemplificativo è possibile richiamare l’art. 24 delle Regole penitenziarie europee secondo cui “i detenuti devono essere autorizzati a comunicare il più possibile (…) con la famiglia (…) e a ricevere visite da dette persone”, “ogni restrizione o sorveglianza (…) deve comunque garantire un contatto minimo accettabile” e “le modalità delle visite devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali”; dalla disciplina comunitaria, in particolare dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) che riconosce il diritto al rispetto della propria vita familiare, indicativa la pronuncia della Corte EDU del 23 Febbraio del 2012, caso Trosin c. Ucraina, in cui la Corte con veemenza ha affermato che le limitazioni ai colloqui con i familiari, uno ogni sei mesi sottoposti a controllo visivo ed auditivo del personale di vigilanza, che nell’ordinamento ucraino si azionano come naturale conseguenza della sentenza di condanna, costituiscano una grave violazione dell’art. 8 della Convenzione.

E’ evidente, quindi, che si tratta di un diritto che, al condannato o all’internato, debba essere riconosciuto a prescindere dalla gravità del reato commesso o dalla effettiva collaborazione al trattamento rieducativo.
E’ chiaro che, tutte le volte in cui si tratti di congiunti, il ristretto vanti un vero e proprio diritto soggettivo al colloquio che l’amministrazione non può negare sulla base di valutazioni discrezionali; si tratta di un “diritto incomprimibile anche in caso di valutazioni negative della sua condotta.”

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'affettività alla prova del carcere: disciplina vigente e prospettive di riforma

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Informazioni tesi

  Autore: Roberta Rametta
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Catania
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Fabrizio Siracusano
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 168

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Parole chiave

diritto penitenziario
affettività in carcere
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