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Artiglierie a confronto: Piemontesi e Napoletani a Gaeta

L’Italia Meridionale al centro degli interessi del ''partito d'azione''

Nella primavera del 1860 un vigoroso passo avanti verso la trasformazione dello status politico dell’Italia era compiuto. Esistevano ancora vari problemi: l’Austria occupava ancora il Veneto; lo Stato pontificio sopravviveva grazie al presidio francese; il regno delle Due Sicilie esprimeva l’antitesi vivente del progresso verso il movimento liberale e nazionale dell’Italia.
La crisi politica succeduta a Villafranca aveva ridato spazio all’azione mazziniana e alle pressioni perché il movimento nazionale si sottraesse alla tutela di Napoleone III. La svolta della fine del 1859 aveva restituito l’iniziativa alle forze filocavouriane: Giuseppe La Farina aveva ricostituito la “Società nazionale”, quasi come un partito governativo, ottenendo che Garibaldi ne accettasse la presidenza. Però la crisi per la cessione di Nizza e della Savoia aveva riaperto l’antagonismo. Garibaldi, divenuto aspro avversario di Cavour dopo la cessione di Nizza, aveva lasciato la “Società nazionale”e aveva dato vita ad un’associazione chiamata “La nazione armata”.
All’ombra del prestigio garibaldino nasceva il “partito d’azione”, capeggiato da uomini come Francesco Crispi, Agostino Bertani, Nicola Fabrizi. Il re stesso lasciava trasparire una certa simpatia verso i progetti del “partito d’azione”, sospinto anche dal Rattazzi e dal persistente dissenso verso il Cavour. Vittorio Emanuele non condivideva le cautele diplomatiche del suo primo ministro e propendeva per un’iniziativa vigorosa e immediata. Per questo frequentemente si incontrò con Garibaldi.
Tra le regioni verso cui orientare i piani d’azione, scartato il Veneto per le naturali difficoltà con l’Austria e scartato lo Stato pontificio, perché ciò avrebbe portato a un conflitto con la Francia, rimaneva l’Italia meridionale, da anni considerata oramai matura per una rivolta.
La situazione interna, infatti, del Regno delle Due Sicilie, chiamato comunemente Regno, dava ragione alla diagnosi di coloro che affermavano l’esistenza di una
crisi sempre più profonda. L’immobilità economica, l’inerzia politica e l’isolamento internazionale erano cresciuti col trascorrere del tempo. La morte di Ferdinando II, il 22 maggio 1859, aveva tolto di scena l’uomo che, pur nei suoi difetti, aveva rappresentato alcunché di vitale. Il suo successore, Francesco II, figlio primogenito, giovane di indole sensibile ma di educazione politica limitata, non possedeva certo la personalità risoluta e dominante del padre; era invece debole e insicuro, perciò era l’opposto del sovrano che sarebbe stato necessario in un momento di crisi come quello che si stava avvicinando.
L’ascesa al trono del nuovo sovrano ( ma soprattutto la posizione strategica del Regno nel Mediterraneo) aveva offerto l’occasione per il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con la Francia, la Gran Bretagna ed il regno di Sardegna. Il Cavour inviò a Napoli, in missione straordinaria, un fidato collaboratore, il conte di Salmour, al quale affidò l’incarico di persuadere Francesco II a un mutamento di rotta radicale, che riportasse in vigore la mai abrogata costituzione del 1848 e fosse rafforzato da un’alleanza tra Napoli e Torino. Francesco II dal canto suo aveva già iniziato un mutamento di linea, chiamando al potere il principe Filangieri. Ma la posizione del Regno nella penisola era tale che difficilmente il governo napoletano poteva intravedere un vantaggio per sé dalla stipulazione di un’alleanza con quello torinese. Pertanto l’accoglienza che il Salmour ottenne fu negativa e rimase tale anche dopo l’armistizio di Villafranca.

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Artiglierie a confronto: Piemontesi e Napoletani a Gaeta

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Informazioni tesi

  Autore: Luigi Scarpati
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2002-03
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Economia
  Corso: Scienze strategiche
  Relatore: Giuseppe Bracco
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 204

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