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La risposta del Brasile alla crisi finanziaria globale

L'inizio de 'l'era Lula'

L’incertezza pre-elezioni del 2002, prima, e la vittoria di Lula, dopo, generarono una reazione nervosa nella comunità nazionale e internazionale: era diffuso il timore che il nuovo governo potesse non portare a termine gli impegni assunti dal governo uscente, in termini di riduzione del debito, di privatizzazioni e di responsabilità fiscale.

La crescente preoccupazione degli investitori era chiaramente espressa dall’allargamento dello spread esistente tra i tassi d’interesse applicati sui titoli pubblici brasiliani e quelli equivalenti sul mercato statunitense. Lo stress diffuso generò sudden stops nei flussi di capitali, tali da richiedere un rapido aggiustamento nei conti in valuta (5% del PIL dal 2001 al 2003) e il deprezzamento della moneta; aumentò l’ammontare di debito in relazione al PIL e tasso di cambio si deprezzò, portando ad un più alto tasso atteso d’inflazione.

Era, dunque, necessario che il governo entrante placasse animi e ansie, era necessario ricostruire la fiducia nei confronti delle future scelte politiche e ridurre i dubbi circa le dinamiche del debito; la banca centrale avrebbe dovuto valutare l’impatto del deprezzamento del cambio per evitare che l’inflazione restasse alta anche dopo lo stabilizzarsi del tasso di cambio ed inoltre il governo avrebbe dovuto fronteggiare la caduta nella domanda di garanzie governative a lungo termine ed evitare crisi a catena.

In questa situazione di incertezza, in particolare circa la politica fiscale, la sola politica monetaria non avrebbe potuto far molto per stabilizzare l’economia. Così, la banca centrale si astenne, in un primo momento, dall’aumentare il tasso d’interesse nominale e i tassi reali, calcolati utilizzando le previsioni di inflazione ad un anno, rimasero ad un alto livello dell’11%.

Una prima risposta era già arrivata quando nell’agosto 2002 il FMI concesse al Brasile un prestito di US$30 miliardi (il più grande nella storia del FMI) a condizione che il paese adottasse politiche responsabili: avanzi primari, inflation targeting, regime di tasso di cambio flessibile e rispetto degli accordi, incluso quello sul debito pubblico. Lo scopo del prestito non era solo quello di fornire il Banco Central do Brasil di riserve in valuta estera, ma anche quello di assicurare un meccanismo che avrebbe potuto aiutare i principali candidati a coordinare il loro supporto pubblico nelle scelte politiche.

Così, nel momento in cui fu più chiaro che il deprezzamento del tasso di cambio avrebbe comportato effetti più persistenti sul tasso d’inflazione, la politica monetaria agì aggressivamente: il 15 ottobre il tasso Selic, il tasso overnight di riferimento, fu aumentato da 18 a 21%, fino al 25% a metà dicembre; il tasso reale salì dall’11 al 18%, in accordo con regole di politica monetaria che rispondevano più che proporzionalmente all’aumento nel tasso atteso di inflazione.

Lula, dal canto suo, aveva quindi il compito di ristabilire l’equilibrio macroeconomico attraverso tre scelte: quella di mantenere l’inflazione come meta della politica economica (perseguita dalla Banca centrale attraverso la variazione del tasso d’interesse); quella di continuare ad avere un atteggiamento rigoroso in ambito di bilancio e politica fiscale; ed infine quella di continuare con l’adozione di un regime di tasso di cambio flessibile, come già adottato da Cardoso nel 1999 in seguito alla crisi monetaria.

Tutto ciò ebbe l’effetto di aumentare il surplus primario del 2003 da 3,75% a 4,25% del PIL e, di conseguenza, gli spread tra i titoli brasiliani e statunitensi cominciarono a diminuire. La promessa portata avanti nella battaglia fiscale fu talmente tanto seguita con rigore che si vide addirittura il superamento del livello di surplus fiscale primario che era stato in precedenza concordato con il FMI. Questo risultato fu possibile grazie all’intenso controllo delle spese e un rigore nella produzione di redditi, con un aumento del carico tributario del 36% del PIL nel 2004, nonché grazie al consolidamento della fiducia internazionale nei confronti del nuovo governo. In aggiunta, fattore essenziale del successo del Brasile fu la ripartizione del carico delle misure fiscali tra il governo federale e gli stati, motivo per cui non collassò come l’Argentina.

L’economia si stabilizzò, come il tasso di cambio e il tasso atteso d’inflazione, che tornò ad essere del 5,8%; il tasso Selic fu ridotto al 16,5%, due punti al di sotto del livello prima della crisi. Come Mishkin (2004) fece notare, il ruolo della banca centrale fu anche un ottimo esempio per gli altri paesi emergenti che stavano considerando di adottare l’inflation targeting.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La risposta del Brasile alla crisi finanziaria globale

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Informazioni tesi

  Autore: Morena Maci
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  Facoltà: Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative
  Corso: Scienze economico-aziendali
  Relatore: Angelo Stefano Baglioni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 140

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