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Parole in Erba. Il lessico del Male minore e le sue fonti.

L'uso del linguaggio in Leonardo Sinisgalli

A partire dagli anni Trenta del secolo scorso, nel capoluogo lombardo fiorisce un gruppo di autori di fondamentale importanza per la letteratura che ne verrà a seguire. Ben lontana dagli altri centri di poesia della penisola – in particolare da Firenze e dall’ermetismo più «spiritualista» di Luzi, Parronchi, Betocchi, Bigongiari (Luzi pubblica Avvento notturno nel 1940, Alessandro Parronchi esce con I giorni sensibili nel 1941) – Milano accoglie «un nucleo sostanzioso di intellettuali nuovi, letterati attratti dalla prospettiva di operare in un ambiente letterario avanzato».
Fra questi vi è Leonardo Sinisgalli, autore lucano inserito dalla critica tra le fila dell’«ermetismo meridionale» (insieme ai più famosi Salvatore Quasimodo ed Alfonso Gatto), che qui pubblica Vidi le Muse nel 1943 (l’opera segue Morto ai paesi di Gatto, edita nel 1937, e Poesie di Quasimodo, del 1938). L’ermetismo meridionale, pur seguendo le fila di quello fiorentino, se ne distacca per seguire una certa tendenza al realismo che non è nuova nella letteratura del territorio lombardo (basti pensare, oltre al dialetto di Carlo Porta, alla satira pariniana e al romanzo storico di Manzoni).
[...]
Ma ciò che piacque ai giovani “lombardi” fu piuttosto l’utilizzo della formula dell’epigramma, «ben presente già quando Sinisgalli intonava i suoi testi a modi “realistici”», dalla quale viene influenzato lo stesso Erba. Come sostiene Pappalardo La Rosa, «al pari degli altri poeti della sua generazione, […] Erba utilizzava ancora la lezione ermetica – l’ermetismo epigrammatico di Sinisgalli – “in direzione realistico gnomica […], seriando le immagini in piccoli racconti esistenziali”».
Accanto alla brevità della forma metrica, Contini individua un’altra peculiarità: «Ungaretti aveva per suo conto ricostruito le misure normali dell’orecchio poetico italiano e, si risolvesse o no esaustivamente nell’andatura d’endecasillabo e settenario, ritrovava accordi tradizionali, canonici e convincenti a priori; mentre in quei giovani “surrealisti” romani, come insiste a chiamarli Sinisgalli, dominava qualcosa come un Impair verlaniano rispetto al Pair di Ungaretti». Lo stacco del poeta lucano dal maestro dell’ermetismo si risolve, a detta del critico, in un’ulteriore frammentazione della metrica canonica e nell’impiego di misure e accenti non tradizionali, lontani dalle consuete cadenze ritmiche dei versi comuni.

I risultati dello studio sulle concordanze del lessico di Erba e Sinisgalli hanno evidenziato una comunanza di vocaboli sostanzialmente anti-lirici, di fattura realistica e usati in senso perlopiù referenziale (ad esempio zucca). Nella maggioranza dei casi, questi termini sono stati adoperati in precedenza da Pascoli (si notino l’aggettivo ramingo o il sostantivo paniere), ma ripresi anche da autori dell’Italia settentrionale, come il lombardo Clemente Rebora e il piemontese Cesare Pavese. Di questi termini pascoliani, altri vengono riutilizzati, prima ancora che da Sinisgalli, dal triestino Umberto Saba, che ne dà lezione all’interno del suo Canzoniere.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Parole in Erba. Il lessico del Male minore e le sue fonti.

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Informazioni tesi

  Autore: Daniele Ciacci
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Michele Colombo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 109

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Parole chiave

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