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Valore azionario, M&A e Joint Venture nel settore bancario: risultati di un'indagine empirica sulle operazioni di crescita

La creazione di valore nelle operazioni di crescita

In passato, numerose ricerche hanno analizzato il tema della creazione del valore attraverso operazioni di finanza straordinaria. Alcune utilizzano metodologie di event study simili a quella seguita in questo studio, o in alternativa usano strumenti quali la Tobin’s Q o analisi dei risultati economici post evento. Principalmente, le ricerche si focalizzano sul mercato americano ed europeo.

La rassegna illustrerà prima i risultati sulla generale creazione di valore nelle operazioni di crescita, poi si concentrerà sulle dimensioni settoriali, di mercato e combinazioni prodotto-mercato e canali. Houston e Ryngaert (1994), analizzando 153 deal bancari nell’arco temporale 1985- 1991 con una finestra temporale di analisi -5+1, hanno trovato “abnormal return” positivi per gli azionisti dell’azienda target e negativi per quelli dell’acquirente.

L’effetto totale dell’operazione non risulta creare alcun valore positivo. Anche lo studio di Lang, Stulz e Walkling (1999), effettuato su 101 deal nel mercato USA per l‘arco temporale 1968-1986, ha dato risultati similari. Analizzando operazioni più recenti, Beitel e Schiereck (2001) hanno trovato che il ritorno atteso per gli azionisti dell’acquiror, al momento dell’annuncio dell’operazione, è negativo.

In particolare sono percepite negativamente le operazioni che coinvolgono istituti di credito di grossa taglia per quanto riguarda operazioni transfrontaliere. Analizzando 54 deal europei, Cybo-Ottone e Murgia (2000) hanno trovato un effetto positivo degli annunci di operazioni di crescita, ma che diventa negativo se la target è una banca estera.

Entrambi questi studi hanno avuto come oggetto di analisi banche e Paesi europei. In generale, la maggior parte delle analisi empiriche sulle M&A nel settore finanziario indicano che raramente l’operazione apporta valore agli azionisti, specialmente quelli dell’acquirente. Se così fosse, il motivo dell’operazione è da ricercare in fattori quali la costruzione di imperi (Gorton e Rosen 1995) e la “managerial hubris”, ossia la sopravvalutazione delle capacità interne di gestione degli asset della target (Roll 1986).

Cruciale per la creazione di valore è valutare se le economie di scopo e di scala apportino effettivamente i vantaggi promessi. Le prime agiscono e spingono verso la diversificazione o l’espansione verso nuove combinazioni prodotto-mercato, le seconde verso il rafforzamento del business/mercato esistente. Grosskopf, Hayes e Yaisawarng (1993), in uno studio su 575 banche che diversificano su prodotti correlati, trovano che dopo l’operazione il 79% del campione non ottiene le economie di scopo desiderate e solo il 3% ottiene dei benefici.

Altri studi che analizzano deal più recenti (Berger, Humphrey e Pulley 1996, Saunders 2000) confermano la distruzione di valore o la mancanza di qualunque beneficio apportato dal cross selling. Buch e DeLong (2001), analizzando il rendimento per gli azionisti da un campione di 2.300 merger americani dal 1978 al 2001, trovano rendimenti positivi agli annunci di operazioni all’interno del settore, indicando le economie di scala come il fattore più importante per la creazione di valore.

Tuttavia, analizzando 255 banche europee nell’arco temporale 1984-2004, Baele, De Jonghe e Vennet (2007) trovano una relazione positiva fra diversificazione e reazioni dei mercati. Insieme alle economie di scala, il maggior ritorno atteso da tali operazioni deriva dalla ricerca di efficienza con l’obiettivo di cost-saving ottenuto tramite sinergie e taglio di strutture di costo comuni fra gli istituti di credito protagonisti della fusione (Houston e Ryngaert 1994).

I risparmi derivanti dalla fusione, però, sono sovente sovrastimati, oppure non riescono ad essere ottenuti nei tempi previsti a causa delle difficoltà riscontrate nel processo di aggregazione, specialmente quando questo coinvolge grandi organizzazioni (Houston e Ryngaert 1999) o istituti di diversa nazionalità (Correa 2008). I riscontri negativi legati alle economie di scopo suggeriscono distruzione di valore per quelle operazioni che puntano su questo beneficio, su tutte quelle di exploration.

La migliore accoglienza delle le economie di scala porta nella direzione delle operazioni di strenghtening o, al limite, di extension. L’importanza di queste economie pone dei dubbi anche sulla creazione per i deal lungo la dimensione geografica. Evidente è lo stretto legame fra questa e le possibilità di sinergie. Houston e Ryngaert (1997), infatti, rilevano un impatto positivo sul successo delle operazioni di acquisizione nella comunanza geografica fra acquirente e target.

Chiaramente, le operazioni svolte all’interno della stessa area geografica creano molte più occasioni di tagli e sinergie, oltre a ridurre i rischi derivanti dalle integrazioni di strutture appartenenti a culture/lingue diverse, leggi bancarie differenti, ecc. La stessa European Central Bank (ECB) nell’ECB report del 2000 pone l’accento sul rischio dell’impatto negativo delle complessità culturali e regolamentari sull’efficacia di un’operazione.

La presenza di barriere non regolamentari, come la differenza culturale, linguistica, politica, legale e di sistemi di pagamento che rendono problematico il processo di acquisizione e l’integrazione organizzativa (Lannoo e Gros 1998) sono una possibile spiegazione delle difficoltà nel trarre beneficio dall’espandersi nei mercati non domestici.

Nel caso dell’UE, la deregolamentazione del settore finanziario non ha portato ad un’ondata di fusioni cross-border. C’è stata, sì, un’accelerazione delle operazioni di finanza straordinaria, ma queste hanno avuto come obiettivo il rafforzamento della propria posizione competitiva all’interno dei mercati di riferimento, per proteggerli dal rischio di entrata di incumbent di altri Paesi europei o un ampliamento dei confini del proprio business (Cabral et al. 2002).

Siamo in presenza, quindi, di azioni difensive non volte a sfruttare nuove opportunità offerte dal mercato, cosa che potrebbe spiegare parzialmente l’accoglienza negativa dei mercati azionari.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Valore azionario, M&A e Joint Venture nel settore bancario: risultati di un'indagine empirica sulle operazioni di crescita

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandro Ravagnolo
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano
  Facoltà: Economia
  Corso: Scienze economico-aziendali
  Relatore: Paolo Morosetti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 87

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