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Motion Capture e live performance. Dai primi esperimenti a una nuova scena digitale e interattiva

La Motion Capture e la Realtà Virtuale per una conoscenza incarnata della storia del teatro

Un esempio di quanto sopra detto è rappresentato dal lavoro del Center for Practice as Research in Theatre T7 presso l'Università di Tampere, in Finlandia, che tra il 2009 e il 2019, ospitò una serie di workshop internazionali e interdisciplinari sulla tecnologia dei sensori, sulla Motion Capture e sulla telepresenza. A questi workshop parteciparono studiosi di teatro e media, professionisti delle arti e studenti provenienti da Europa, Australia e Cina, che ebbero così la possibilità di accedere alle nuove tecnologie MoCap, in quegli anni ancora poco diffuse nell’ambito performativo. Con questa serie di progetti, l'Università di Tampere, si pose l’obiettivo di aumentare la conoscenza sulle questioni dell'esperienza, dell’agire e della compresenza nella generazione di ambienti mediati sviluppando anche pratiche nuove da utilizzare nell’ambito della formazione e della ricerca sulle arti performative in grado di proporre nuove forme di conoscenza attraverso la ricreazione virtuale di ambienti di spettacolo.
Nel corso degli anni, il Center for Practice as Research in Theatre, si è sforzato di sviluppare degli approfondimenti critici su come i modi di conoscere e partecipare alla cultura e alle arti dello spettacolo sono in transizione a causa del cambiamento delle tecnologie e della digitalizzazione. Le arti dello spettacolo, in questo senso, si fanno un banco di prova rilevante per esplorare le potenzialità delle tecnologie incarnate.
Il primo progetto a trattare di queste tematiche fu DREX, attivo dal 2009 al 2012 e finanziato da TEKES The Finnish Funding Agency for Technology and Innovation. Qui vennero utilizzate le tecnologie della Motion Capture per dare forza ai tratti concreti del corpo all'interno di ambienti di produzione sempre più tecnologici. I workshop previsti dal progetto studiarono principalmente l'ambiente performativo della Motion Capture declinata nella definizione di Performance Capture, e posero particolarmente attenzione allo slittamento tra questi due termini, da MoCap e PeCap, e quindi agli aspetti performativi della messa in scena di un'esibizione dal vivo con l’uso della tecnologia di rilevamento del movimento. I workshop si avvalsero inoltre del supporto dell'azienda australiana Ortelia, specializzata nella ricreazione di ambienti storici virtuali, che già nel 2010 aveva creato dei modelli accademici da fruire in Realtà Virtuale dei due teatri londinesi, demoliti ormai da tempo, Rose Theater e Boar's Head Theater. Con DREX, dunque, ci si concentrò proprio sui luoghi che, una volta recuperati attraverso la tecnologia virtuale, presentano una ricchezza di informazioni ancora da esplorare. Durante i primi workshop, questi temi furono affrontati partendo dall’analisi delle possibili interazioni tra il corpo dei partecipanti e lo spazio virtuale grazie ad un sistema di sensori applicati alle superfici fisiche della scena che fungevano da controparte allo spazio virtuale; tali sensori di suono e di movimento inviavano dei feedback ogni volta che venivano stimolanti dai performer, feedback con i quali questi ultimi dovevano relazionarsi.
I partecipanti furono poi incentivati a migliorare la comprensione del corpo in ambienti ibridi con il workshop Virtual & Multimedial Performance Ecologies del 2012, in cui gli studiosi Matthew Delbridge e Joanne Tompkins condussero esperimenti ed esercizi assieme ai partecipanti utilizzando monologhi shakespeariani e avatar animati con MoCap in tempo reale che andarono ad abitare gli spazi di una ricostruzione virtuale del Rose Theater. La complessità del lavoro in questo caso scaturì dalla molteplicità di livelli entro i quali esso si sviluppava: c'erano le realtà parallele dello schermo e del palcoscenico fisico, il pubblico virtuale e reale, le telecamere virtuali pronte a catturare il corpo degli avatar e le loro controparti fisiche. Lo scopo fu quello di indagare l'effetto che ciascun livello poteva avere sugli altri, la performance dello schermo su quella del palcoscenico fisico e viceversa. Ciascun partecipante dovette eseguire un monologo tratto da Shakespeare mentre la sua performance veniva catturata da un sistema MoCap ottico markerbased; ogni performer infatti indossava una MoCap suite con un set di 48 marker sparsi per tutto il corpo. Il Rose Theater, all’interno della cui ricostruzione virtuale operavano gli avatar, era un luogo simile per natura al Globe, ma con un'area scenica più piccola che amplificava la natura cilindrica dello spazio. I partecipanti così coinvolti dovettero affrontare una serie di sfide nell’esecuzione dei monologhi e nel seguire le indicazioni di regia che venivano fornite circa il ritmo, l’orientamento, l’atteggiamento fisico, le distanze spaziali e non di meno le dinamiche interumane/avatar. Da questo complesso lavoro poterono ricavare non solo nuove informazioni circa il sotto testo storico delle rappresentazioni, ma poterono anche sperimentare nuove modalità intermedie di comunicazione e di alterazione della loro presenza performativa. Una difficoltà in particolare su tutte che i partecipanti riscontrarono, soprattutto all’inizio, fu quella di decidere se concentrarsi sulle tecniche di recitazione fisica replicate dallo schermo negli avatar o se affidarsi alla psicologia dei testi. Tuttavia, a poco a poco, gli interpreti iniziarono ad acquisire una sempre maggior consapevolezza del contesto generale delle proprie azioni, riuscendo così a legare i due livelli, quello fisico e quello virtuale.

DREX pose le basi per il successivo progetto VIMMA che, tra il 2013 e il 2014, indagò le implicazioni legate alla creazione di performance in tempo reale in ambienti virtuali utilizzando la rielaborazione, con modelli digitali in 3D, di spazi performativi definiti. Il progetto fu frutto di una serie di collaborazioni internazionali e inter-istituzionali e fu composto da due serie di workshop, Hamlet’s Norwegian Doll’s House nel 2013 e Vimma Goes Odradical nel 2014, nei quali ancora una volta venne impiegata la tecnologia della Motion Capture come protagonista per consentire esercitazioni e performance virtuali, intermediali e fisiche simultanee.

Con il primo workshop, Hamlet’s Norwegian Doll’s House, vennero creati degli ambienti scenici virtuali partendo da un modello digitale del National Theatret norvegese; ambienti questi che furono arricchiti al livello virtuale da elementi architettonici, ovvero da una serie di colonne mobili, tratte dalla famosa scenografia di Edward Gordon Craig creata per la produzione dell'Hamlet al Moscow Art Theatre (MAT) del 1911-1912. In questi spazi, dalla duplice natura virtuale e fisica, i partecipanti poterono sperimentare la combinazione e il confronto tra le condizioni performative di Shakespeare e quelle di Ibsen. Con VIMMA fu possibile quindi creare dei modelli in realtà virtuale di teatri storici con il loro corredo di set, oggetti di scena, e sistemi di illuminazione al fine di indagare, attraverso la loro esplorazione con avatar animati dal vivo, l'uso dello spazio e del gesto scenico degli attori nelle rappresentazioni storiche. Questo tipo di lavoro, se maggiormente sviluppato, consentirebbe una visione potenzialmente più completa degli aspetti chiave delle performance e dunque porterebbe ad una comprensione più profonda delle opere storiche da parte di studiosi e performer, come in questo per Shakespeare e Ibsen. Il progetto fu mosso dalla necessità di valutare in che modo gli strumenti di visualizzazione in Realtà Aumentata potrebbero migliorare la comprensione delle relazioni tra personaggi, attori e pubblico e le proprietà sceniche nelle diverse epoche storiche, modificando radicalmente i metodi e la pratica dell'analisi e della comprensione della performance e aprendo la strada verso la creazione di nuove forme di conoscenza incarnata. La prima parte del workshop si concentrò sulla performance della prima età moderna in rapporto allo spazio, all’illuminazione e agli oggetti di scena che operano in modi diversi da Shakespeare a Ibsen, con l’obiettivo di testare le diverse scelte drammaturgiche e i metodi di recitazione, ricavando informazioni maggiori, e potenzialmente diverse, rispetto a quelle che potrebbero essere ricavate dalle fonti statiche sulle performance passate, come testi, incisioni, schizzi e fotografie. Il workshop dunque rappresentò un’occasione importante per studiare le convergenze e le disparità tra il set storico virtuale e quello contemporaneo fisico e le loro interazioni e necessità in relazione alla performance in tempo reale. Tutto ciò fu possibile grazie all’uso della Motion Capture tramite la quale i performer poterono animare e quindi guidare i loro avatar virtuali all’interno degli esercizi mirati a creare una consapevolezza incarnata delle architetture virtuali e ad attivare con esse delle interazioni sempre tramite gli avatar. I partecipanti poterono così esplorare in primo luogo le diversità funzionali e le congruenze tra gli elementi virtuali della scenografia e gli oggetti fisici che li rappresentavano.
I set virtuali e le colonne craigiane erano costruiti a partire dell’utilizzo di vari oggetti reali recanti dei marker MoCap, come una mazza da hockey, un ombrello, una pistola giocattolo, scatole di varie dimensioni; i movimenti di questi oggetti venivano catturati e rielaborati nelle vari componenti del set virtuale e quando venivano mossi sfidavano i partecipanti ad adattare le loro azioni fisiche ad essi, innescando situazioni performative in cui i movimenti individuali di ciascuno determinavano un cambiamento significativo nell’architettura del palco virtuale e di conseguenza della performance. Lo scopo di tutto ciò fu quello di dare agli artisti e agli scenografi in egual misura una maggiore consapevolezza degli effetti della scenografia sulle interazioni che avvengono sul palco.

L'interazione degli avatar, guidati dai performer con il set virtuale, in alcuni esercizi fu coordinata da vari effetti sonori innescati da qualsiasi contatto tra gli avatar e i pezzi del set virtuale nello spazio dello studio. Da ciò emerse una coreografia eseguita in studio, in cui le informazioni inizialmente erano date direttamente dal set virtuale nello spazio dello schermo, visibile ai ballerini e al loro pubblico, e poi rese sempre più mimetiche man mano che lo schermo veniva spento e i ballerini cercavano di localizzare le posizioni virtuali delle colonne creigiane e di sé stessi semplicemente tramite le risposte uditive del sistema. Ciò consentì uno studio degli elementi spaziali e delle irregolarità del palcoscenico che hanno il potere di influenzare i modi in cui un artista può lavorare a una performance.
In generale dunque, i progetti VIMMA e DREX, fornirono l'opportunità per rivedere i metodi di lavoro che possono impegnare i performer e gli scenografi nelle produzioni artistiche dal vivo e telematiche; nonché consentirono di rivedere i metodi di lavoro relativi alla formazione di artisti e designer a livello universitario e post-laurea.
Tra il 2015 e il 2016 ebbe luogo il progetto TNT - Theater and New Technologies -, che culminò nella creazione di una performance ibrida in telepresenza in cui era previsto il collegamento tra uno studio MoCap dell'Università di Tampere dove si trovava l'artista, un laboratorio di scenografia virtuale a Stoccolma e uno studio televisivo in Norvegia, dove si trovavano il regista e un artista che agiva non mediato dal MoCap.
Infine il successivo progetto Platinum, realizzato tra il 2015 e 2017, tornò ad occuparsi di quanto queste nuove forme ibride di inclusività possano essere importanti nel campo della formazione performativa e dell'insegnamento della storia del teatro attraverso pratiche in tempo reale, incarnate in luoghi virtualmente ricostruiti o utilizzando ambienti immersivi e di sensibilizzazione. Con questo lavoro si cercò di utilizzare il corpo umano come il punto di partenza esperienziale per qualsiasi elemento virtuale. Il progetto riunì studenti e docenti provenienti da vari ambiti disciplinari e li impegnò nella progettazione di spazi virtuali basati su ambienti naturali da utilizzare nelle principali città cinesi per rinvigorire le persone con scarso o nessun contatto con il mondo naturale.
Gli sforzi fatti durante questi progetti avevano tutti come fine ultimo l'elaborazione di modelli più sostenibili per la formazione dei futuri professionisti attraverso l’utilizzo di tecnologie incarnate in grado di dare l'accesso ad informazioni diversificate provenienti dalle nuove forme di esperienza e percezione rese possibili dagli ambienti virtuali e dall’uso della Motion Capture; per preparare il campo quindi alla diffusione di una conoscenza incarnata e profonda in grado di rivoluzionare lo studio delle arti performative.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Motion Capture e live performance. Dai primi esperimenti a una nuova scena digitale e interattiva

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Informazioni tesi

  Autore: Eleonora Lezzi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2021-22
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Arti e Scienze dello Spettacolo
  Relatore: Maria Grazia Berlangieri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 100

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