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Il sistema pensionistico italiano: Storia, Evoluzione e Prospettive

La previdenza sociale e l’assicurazione privata

I provvedimenti legislativi intrapresi nel periodo che intercorre tra la caduta del fascismo e la fine degli anni cinquanta, saranno determinanti per il futuro della protezione sociale in Italia. I governi dovranno affrontare in via prioritaria la ricostruzione nazionale, il recupero della capacità produttiva del Paese, adottare provvedimenti per la miseria, quale conseguenza della guerra, la disoccupazione e la perdita del potere di acquisto dei salari dovuti agli alti tassi d’inflazione. In questa situazione economico-sociale, vengono adottate misure di estrema emergenza (policy making) per arginare le frequenti tensioni sociali. Si decide di intervenire con misure urgenti per garantire un reddito minimo necessario ai bisognosi e nel contempo si adottano misure ritenute necessarie per ridurre o arginare la diffusa disoccupazione. Tra tutte le riforme effettuate nel passato e le misure legislative di carattere emergenziale vigenti, diventa necessario procedere ad un piano di riordino complessivo che contribuisca a definire una politica pensionistica per i prossimi decenni. Il sistema di tutela della vecchiaia deve essere gestito secondo il modello della “ripartizione”, cioè garantendo una maggiore difesa rispetto alla volubilità della moneta e poter mantenere il principio di solidarietà e sicurezza sociale che sono alla base della “nuova previdenza”. Inoltre, nell’ambito di un “sistema previdenziale” di tipo occupazionale, si deve prevedere una “pensione minima” a tutti i lavoratori e infine, le prestazioni assistenziali devono avere la copertura finanziaria dello Stato attraverso il sistema della “fiscalità generale”. Non va tralasciato che il sistema, al fine di garantire lo stesso trattamento a tutti i lavoratori, dovrà essere allargato includendo nell’assicurazione anche agli autonomi. Tra gli anni quaranta e cinquanta, anche il mondo cattolico, indica la strada per un impegno cristiano della sicurezza sociale, all’interno di una complessa proposta.
Si pensi ai “Colloqui sui poveri” della storica figura politica di Amintore Fanfani e alle idee espresse da Giorgio La Pira impegnato in quegli anni nel tentativo di contribuire alla trasformazione sociale, come si evince dal saggio “L’attesa della povera gente”, in cui vi era un chiaro riferimento alle argomentazioni di Beveridge. Concetti ripresi da La Pira, con toni ancori più decisi, nell’altro saggio “La difesa della povera gente”, la cui prospettiva è largamente condivisa e sostenuta all’interno della “XXIII Settimana sociale dei cattolici italiani nel 1949” in cui viene messa in argomento la “carità” in rapporto alla “sicurezza sociale” in risposta a una diffusa esigenza di giustizia. Negli anni cinquanta la politica sociale era incentrata, sulla tutela della famiglia, sul lavoro maschile e sulla concessione facile della pensione. È soprattutto in quegli anni, che i governi adottano provvedimenti riguardanti la tutela della vecchiaia, nella direzione di condiscendere le richieste provenienti dai settori del ceto medio e dai lavoratori impegnati nel settore agricolo.

In questo periodo la copertura previdenziale e assicurativa si diffonde alla quasi totalità della popolazione; “l’assicurazione contro le malattie” viene applicata, nel corso degli anni, ai giornalisti (1951), ai lavoratori domestici (1952), ai dirigenti e pensionati dello Stato (1953), ai coltivatori diretti, mezzadri e coloni (1954), ai pensionati AGO “Assicurazione Generale Obbligatoria” (1955), agli artigiani (1956), ai lavoratori a domicilio e pescatori (1958), ai commercianti (1960), agli artigiani pensionati (1963), ai commercianti pensionati (1966), ai coltivatori diretti pensionati (1967) ed infine agli ultrasessantacinquenni sprovvisti di reddito (1972). È anche il periodo in cui il sistema previdenziale e sanitario è fondato principalmente su base occupazionale.

La gestione dei trattamenti economici previsti inciderà pesantemente sui conti pubblici; a questo punto bisognerà porre rimedio negli anni a venire. Possiamo affermare con ragionevole certezza che dagli anni cinquanta inizia lo squilibrio finanziario della previdenza sociale italiana, quando il “welfare state” ha la sua massima applicazione nel tessuto sociale. Tale squilibrio si è consolidato e aggravato nei decenni successivi. Le motivazioni vanno individuate nelle “indennità di fuoriuscita per gli statali” (1923), o nelle “indennità di anzianità per i dipendenti privati” (1941), o ancora nella Cassa integrazione guadagni nel 1941, tutte norme che appesantirono i bilanci dello Stato e dell’Ente di gestione, che in quel periodo era ancora INPFS. Ma le norme previdenziali più pesanti, in termini finanziari, furono quelle che riguardavano il settore pubblico. Si introdussero regole politicamente scorrette ma create ad arte per carpire voti dai governi centristi del periodo. Ad esempio, un dipendente statale, con solo venti anni di lavoro e svincolato dall’età anagrafica, poteva usufruire della pensione. In realtà si trattava di un espediente già utilizzato come strumento di quiescenza per i funzionari non idonei al potere fascista. Largo uso se ne fece con le norme introdotte nel 1956, delle cosiddette “pensioni baby”; norme agevolate anche negli anni successivi: nel 1973 (governo Rumor) viene approvato il DPR 1092, contenente nell’art. 42 le “norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato”. Solo molti anni dopo, con la legge n. 335 dell’8 agosto 1995, meglio conosciuta come “riforma Dini”, fu introdotta la “pensione di anzianità”. Negli anni sessanta, in Italia, come nella maggior parte dei Paesi europei, assistiamo ad uno sviluppo economico straordinario. Il Prodotto Interno Lordo (PIL) si attestò tra il 6% e il 7% consentendo di disporre di maggiori risorse finanziarie da destinare alle richieste dei lavoratori, in quel periodo particolarmente sensibilizzati dai movimenti sindacali.
Vengono ampliate le coperture previdenziali ed assistenziali a tutti le classi sociali, da quelle popolari alle più elevate, in una specie di copertura “universalistica” del sistema previdenziale italiano. Nel 1965, con la legge del 21 luglio n. 903, viene istituito un “Fondo speciale” con il quale si istituisce la pensione di base (meglio conosciuta ancora oggi come la “pensione sociale”), svincolata dalla quantità di contributi versati. Nel 1966 viene approvata la legge che “provvede all’assistenza sanitaria specifica diretta al recupero funzionale dei mutilati ed invalidi civili appartenenti alle categorie dei motulesi e dei neurolesi che versino in stato di bisogno e la cui invalidità possa essere ridotta mediante idoneo trattamento di riabilitazione.” La gravità del sostentamento economico di talune leggi approvate negli ultimi decenni, è dovuta in buona parte dal rallentamento dell’economia. Tutti ricordiamo la crisi petrolifera che attraversò gli anni dal 1973 al 1976 e rese più complicato il quadro economico del nostro Paese. Furono necessarie maggiore risorse dello Stato per fronteggiare sia i lavoratori rimasti senza occupazione che le crisi delle imprese, con l’evidente aumento del debito pubblico mai più ritornato nei limiti. Abbiamo fatto cenno alle leggi e riforme più significative nel campo della previdenza sociale, effettuate dai diversi governi della cosiddetta “Prima Repubblica”. Il sistema non ha debitamente tenuto conto della necessaria visione prospettica di salvaguardia per le successive generazioni, essendo stato subordinato alla competizione continua tra governi democristiani e opposizione di sinistra. Solo quando si è proceduto ad un confronto con i modelli in atto negli altri Paesi europei, sono emerse delle anomalie che non consentiranno, negli anni successivi, di realizzare politiche di “sicurezza sociale” a danno soprattutto dei giovani e dei lavoratori prossimi all’uscita dal mondo del lavoro. Cresce la consapevolezza di controllare la spesa pubblica cercando di riequilibrare i conti attraverso le politiche di austerity e di aumento della pressione fiscale. È noto che in Italia, il sistema pensionistico pubblico si basa sul “criterio della ripartizione”, cioè un sistema che consente di erogare le pensioni ai lavoratori in quiescenza con i contributi versati dalle aziende e dai lavoratori.

Di per sé questo criterio ha dimostrato alcune lacune: oltre a consentire di coprire il presente, non permette di accumulare risorse finanziarie per le future pensioni. Nell’ultimo trentennio, con il consolidarsi del debito pubblico, le risorse finanziarie destinate alla gestione delle pensioni si sono inevitabilmente ridotte. Il calo del gettito contributivo dei lavoratori e dei datori di lavoro, quale conseguenza dell’aumento della disoccupazione, unitamente all’incremento dei costi delle prestazioni, hanno determinato una involuzione rispetto ai principi dettati dalla Costituzione. Risulta doveroso interrogarsi sulla tenuta dei diritti acquisiti da chi ha già maturato i requisiti pensionistici ai fini di una solidarietà intergenerazionale; e verificare quanto lo stesso trattamento potrà essere in futuro garantito ai più giovani. Possiamo dedurre, infine, che il sistema dell’assicurazione sociale ai avvia inesorabilmente ad essere in parte sostituito, dalle assicurazioni private, nonostante i dubbi di una parte della giurisprudenza, che essi possano assolvere ad una funzione previdenziale. Con l’assicurazione privata, l’assicuratore ha l’obbligo si sopportare le conseguenze economiche dell’evento occorso, contro il pagamento del premio da parte dell’assicurato. Il bisogno dell’individuo viene in questo modo eliminato con la partecipazione diretta dell’interessato senza alcun intervento da parte dello Stato che invece interviene nella assicurazione sociale e universale. La previdenza complementare, a partire dagli anni novanta, è diventata un indispensabile supporto alla previdenza sociale pubblica.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il sistema pensionistico italiano: Storia, Evoluzione e Prospettive

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Informazioni tesi

  Autore: Francesco Cassarà
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università Telematica "E-Campus"
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Commercio
  Relatore: Domenica Federico
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 71

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