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Il sostegno della Psicologia dell’Emergenza e l’empowerment relazionale nel post-terremoto

La Psicologia dell'Emergenza

Fino agli anni Sessanta, la valutazione degli effetti della calamità sulle persone e sulla comunità era completamente assente. Grazie poi alle ricerche effettuate da diversi autori, s’iniziarono a studiare le reazioni delle persone coinvolte nelle emergenze, in base alla loro personalità e alle condizioni psichiche precedenti l’evento emergenziale. Anche i gruppi sociali e le fasce d’età maggiormente a rischio divennero oggetto di studio, come anche i disturbi più frequenti e i principali problemi cui vanno incontro i soccorritori. Si andava costituendo una nuova disciplina che avrebbe portato, in seguito, alla nascita della Psicologia dell’Emergenza in Italia. La data di quest’ultima è fatta risalire al 10 ottobre 1997, quando il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi approvò un comunicato, con il quale si invitavano tutti gli Psicologi Italiani a prestare soccorso alle vittime del terremoto dell’Umbria e delle Marche del 26 settembre 1997 (Ranzato, 2002). Questo primo impiego non ebbe molto successo, perché si cercava di applicare tecniche psicoterapeutiche in circostanze non adatte. Da ciò emerse la necessità di approfondire quest’ambito e trovare soluzioni pratiche al sostegno psicologico delle popolazioni vittime di calamità naturali.
Con il D.L. n. 200 del 29 agosto 2006, in Italia è stato introdotto ufficialmente l’intervento di supporto svolto da un’Equipe Psicosociale per le Emergenze (EPE) a seguito di un disastro (Gazzetta Ufficiale, 2006). Per definire una situazione emergenziale bisogna tenere in considerazione diversi fattori, quali la dimensione del danno, l’improvvisa e catastrofica trasformazione dei sistemi coinvolti, la reazione e le modalità psicologiche con cui si fronteggia l’evento. Sono situazioni di emergenza quelle di carattere eccezionale, in cui è necessario ricorrere a sistemi di soccorso straordinario per fronteggiare l’evento e le sue conseguenze. In tali circostanze sono richieste particolari capacità di coordinamento tra le diverse organizzazioni che scendono in campo (Polizia, Vigili del Fuoco, Protezione Civile e personale sanitario). Il compito della Psicologia delle Emergenze è il recupero della normalità delle popolazioni colpite o esposte all'evento traumatico, promuovere il senso di sicurezza e favorire un ritorno alla calma (Pietrantoni e Prati, 2009, p.197). È fondamentale, infatti, la riedificazione di una comunità intesa, non solo come ricostruzione fisica, ma anche come luogo mentale (Isidori, Vaccarelli, 2012). Non ci si occupa, quindi, di una patologia da curare, ma di una normalità da ristabilire.

In un clima del genere, lo psicologo diventa il fulcro della comunità che si sta ricostruendo, operando all’interno di tutto il sistema dell’emergenza e facilitando la costruzione di nuove relazioni tra i soggetti coinvolti. Infatti, in tali circostanze si stringono legami per necessità e possono anche comparire riunioni o rotture: le emozioni, le ansie e le paure possono amplificarsi enormemente nella situazione traumatica, diffondendosi tra gli individui appartenenti alla rete sociale.
Di conseguenza, saper gestire al meglio i gruppi, prima, durante e dopo l’emergenza, rappresenta l’elemento cruciale per organizzare i soccorsi e prendersi cura delle vittime (Sbattella, Castelli, 2003).
In genere, gli operatori che si occupano della sistemazione delle persone nei campi di accoglienza, cercano di sistemare i membri di una stessa famiglia sotto la medesima tenda o comunque vicini. Si può però assistere a situazioni in cui avvengono liti furibonde tra i membri di una stessa famiglia, perché magari, prima del terremoto, tale famiglia aveva trovato un suo equilibrio, evitando eccessive vicinanze fisiche ed emotive. La convivenza coatta in spazi ristretti, quali una tenda da campo o una roulotte, può rompere questo equilibrio, generando tensioni e ansia (Sbattella, Tettamanzi, 2013). Tali dinamiche possono essere meglio comprese applicando un approccio sistemico-relazionale, che considera la famiglia, un sistema con le sue proprietà e caratteristiche, come meglio spiegato nel prossimo paragrafo.
Le varie reazioni sperimentate dalle persone coinvolte, possono scaturire direttamente dall’evento traumatico vissuto personalmente o, in maniera indiretta, tramite il vissuto della persona cara con cui il soggetto s’identifica o di cui tema la perdita (Cimbro, 2006). Chi si occupa di Psicologia dell’Emergenza sa, quindi, che non ha un’unica tipologia di soggetti cui rivolgersi. Infatti, gli interventi sono rivolti ai soggetti coinvolti in prima persona dall'evento critico (vittime primarie), a parenti, amici e testimoni diretti dell'evento (vittime secondarie) e ai soccorritori intervenuti sulla scena (vittime terziarie). Affinché l’intervento psicologico sia efficace, è necessario prestare attenzione a tutti i soggetti coinvolti, tenendo ben chiaro in mente che ogni gesto e ogni parola profusa in un tale contesto, hanno un grande valore e significato (Zuliani, 2002).
Anche le differenze culturali e personali sono fattori importanti da prendere in considerazione, per stabilire una relazione di aiuto e per capire il motivo per cui ogni persona reagisce in modo diverso alla stessa calamità. Ogni individuo porta dentro di sé delle strategie di coping apprese dall’esperienza e dovute a fattori protettivi quali intelligenza, reattività sociale, capacità di distaccarsi dai ricordi traumatici.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il sostegno della Psicologia dell’Emergenza e l’empowerment relazionale nel post-terremoto

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Informazioni tesi

  Autore: Gregorio Corapi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Mimma Tafà
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 34

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Parole chiave

terremoto
resilienza
psicologia delle emergenze
critical incident stress debriefing

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