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Introduzione del delitto di tortura: Analisi della scelta del legislatore

La situazione in Italia pre-introduzione del delitto di tortura: un primo sguardo d'insieme

L'Italia non è certo estranea a episodi di tortura e di lesioni del diritto fondamentale all'integrità fisica, come dimostrano i fatti riportati sulle principali testate giornalistiche: dai fatti avvenuti in occasione del G8 di Genova del 2001, alle violenze fisiche operate da agenti del corpo dei Carabinieri ai danni di Stefano Cucchi che ne hanno provocato la morte, passando per la morte di Bianzino (autunno 2007) e Uva (2009), per citare i casi più noti.

Casi, questi, che hanno mostrato l'inadeguatezza dell'intero sistema giuridico italiano, mancante sia di meccanismi di prevenzione della tortura e di altri maltrattamenti (ai quali particolare attenzione ha dedicato l'UNCAT) sia di adeguati strumenti di repressione penale. Mancanza, quest'ultima, che, determinando l'impunità dei crimini di tortura, è considerata il principale motivo della persistenza di tali fenomeni, nonché causa principale delle numerose condanne riportate dal nostro Paese ad opera dei giudici di Strasburgo. Condanne, che hanno concorso a fornire la spinta necessaria per l'intervento ad opera del nostro Legislatore, avvenuto compiutamente soltanto nell'estate del 2017.

L'Italia, infatti, sino alla promulgazione della Legge n. 110 del 14 luglio 2017, non prevedeva all'interno del proprio codice penale un'autonoma fattispecie di reato di tortura, avvalendosi di altre fattispecie incriminatrici in risposta a atti qualificabili come tortura o trattamenti inumani o degradanti, rivelatesi del tutto inadeguate.

Come già parzialmente esposto, l'obbligo di criminalizzazione della tortura sancito a livello sovranazionale, sia espressamente dall'UNCAT all'art. 4, sia dall'art. 3 CEDU come interpretato da numerose sentenze della Corte di Strasburgo, non richiede l'introduzione di una fattispecie ad hoc, sebbene la Corte EDU caldeggi l'introduzione di un reato autonomo almeno con riguardo ai maltrattamenti nella loro forma più grave (la tortura), bensì richiede che, indipendentemente dalla qualificazione giuridica di tali atti, sia garantita una tutela effettiva dell'individuo dall'ordinamento giuridico penale nazionale.

Effettività che per essere tale necessita della previsione di norme sostanziali penali che proibiscano le condotte qualificabili come tortura o maltrattamenti, le quali, nella loro applicazione in concreto, dovranno garantire un trattamento sanzionatorio adeguato e proporzionato alla gravità dei fatti commessi (con ovvie implicazioni sul piano processuale e dei suoi istituti).

Particolarmente significativi, e per certi versi rilevanti per l'introduzione dell'art. 613 bis c.p., sono stati anche i numerosi rapporti sull'Italia resi dallo Human Rights Committee, nei quali si è più volte evidenziata la preoccupazione per l'inadeguatezza delle misure repressive, con particolare riferimento all'ambiente carcerario italiano ("The Committee is concerned by the increasing number of ill-treatment in prisons […]"), nonchè per la mancanza di un autonomo reato di tortura ("[…] torture is not punishable in domestic law, and consequently, appropriate sanctions are not always imposed on those found guilty"), la cui introduzione è fortemente consigliata dal comitato stesso("The Committee urges that the State party consider making torture a specific criminal offence").

Critiche dello stesso tenore ha avanzato, negli anni, il Comitato contro la tortura dell'Onu ed emblematica della difficoltà italiana nell'attuazione degli obblighi internazionali è stata la replica fornita dai rappresentanti del nostro Governo, che ne hanno elaborato le difese fondandole su due ordini di motivazioni:
• Da un lato, sfruttando a proprio vantaggio il dato testuale che emerge dalle Convenzioni e l'interpretazione che ne consegue (pocanzi illustrata), giustificando l'assenza di una fattispecie ad hoc nel codice penale italiano con la mancanza di un obbligo sovranazionale esplicito di introduzione di un reato autonomo di tortura, che renderebbe sufficiente, a parere dei rappresentanti del Governo Italiano, che gli atti ricompresi nella definizione fornita dalla Convention Againts Torture, siano comunque punibili a norma di altre fattispecie, non ad hoc, interne all'ordinamento penale nazionale.
• Dall'altro lato, avanzando l'obiezione del carattere self-executing delle norme convenzionali ratificate dal nostro Paese, che determinerebbe la superfluità di un intervento legislativo attuativo.

Tali tesi hanno incontrato le critiche dei rappresentanti degli organi nazionali e di buona parte della dottrina.

Quanto alla prima tesi, vero è che non sussiste un obbligo esplicito di introduzione di una fattispecie di reato autonoma, ma altrettanto vero è che l'obiettivo perseguito a livello sovranazionale consta nell'effettività della tutela. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Introduzione del delitto di tortura: Analisi della scelta del legislatore

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandro Pellino
  Tipo: Laurea magistrale a ciclo unico
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Maurizio  Riverditi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 220

FAQ

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Parole chiave

tortura
torregiani
sovraffollamento carcerario
613bis
trattamenti inumani
trattamenti degradanti
uncat

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