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Introduzione del delitto di tortura: Analisi della scelta del legislatore

Il concetto di tortura, sebbene possa apparire prima facie del tutto scevro di criticità e agevolmente definibile, è stato capace di animare accesi dibattiti politico-legislativi sia in sede internazionale che nazionale.
Le difficoltà definitorie che permeano tale fenomeno si accentuano notevolmente laddove si decida di introdurre una specifica fattispecie incriminatrice volta a reprimere penalmente comportamenti che potrebbero essere qualificabili come tortura, dovendo far collimare un fenomeno che ontologicamente mal si presta a rigide classificazioni, con i principi fondamentali tipici del nostro ordinamento penale: primo su tutti, il principio di legalità, che si declina nel principio di tassatività, determinatezza e chiarezza della legge penale.
Non può infatti considerarsi un caso che d'introduzione del delitto di tortura in Italia se ne disquisisse da oltre un trent'ennio, senza però mai pervenire ad un risultato concreto.
Ancor oggi, sebbene con l'introduzione dell'art. 613-bis ("Tortura") nel codice penale italiano si sia giunti a un risultato tangibile che rende l'Italia, almeno formalmente, compliance agli obblighi internazionali di criminalizzazione, l'annosa quaestio sembra essere ancora destinata a fomentare dibattiti tanto dottrinali quanto giurisprudenziali e politici, dimostrandosi ancora ben lungi da un epilogo pacifico.
Il presente elaborato offre un'analisi critica della scelta legislativa operata dal nostro legislatore, che non può prescindere da una disamina degli strumenti di repressione offerti a livello internazionale, con particolare riguardo alla United Nation Convention Against Torture del 1984 e alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, entrambe ratificate dall'Italia e dalle quali discendono specifichi obblighi in materia di tortura gravanti sugli Stati parte.
Attenzione specifica è prestata alle ragioni che hanno indotto l'introduzione di una fattispecie incriminatrice ad hoc per il reato di tortura nel codice penale italiano, tra cui spiccano per importanza le numerose condanne da parte della Corte di Strasburgo che il nostro Paese ha riportato per violazione sia sostanziale che processuale dell'art. 3 CEDU.
Tali condanne infatti, oltre ad avere ad oggetto spiacevoli fatti che hanno avuto quantomeno il pregio di risvegliare l'ormai sopito interesse sociale in materia, si sono rivelate fondamentali nel dimostrare l'inadeguatezza della batteria di norme penali utilizzate ante-litteramdalla magistratura per reprimere il fenomeno de quo, fornendo la spinta necessaria ai lavori parlamentari che si trovavano in una situazione stagnante e che rischiavano, per l'ennesima volta, di risolversi in un "nulla di fatto".

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8 Introduzione Il concetto di tortura, sebbene possa apparire prima facie del tutto scevro di criticità e agevolmente definibile, è stato capace di animare accesi dibattiti politico-legislativi sia in sede internazionale che nazionale. Le difficoltà definitorie che permeano tale fenomeno si accentuano notevolmente laddove si decida di introdurre una specifica fattispecie incriminatrice volta a reprimere penalmente comportamenti che potrebbero essere qualificabili come tortura, dovendo far collimare un fenomeno che ontologicamente mal si presta a rigide classificazioni, con i principi fondamentali tipici del nostro ordinamento penale: primo su tutti, il principio di legalità, che si declina nel principio di tassatività, determinatezza e chiarezza della legge penale. Non può infatti considerarsi un caso che d’introduzione del delitto di tortura in Italia se ne disquisisse da oltre un trent’ennio, senza però mai pervenire ad un risultato concreto. Ancor oggi, sebbene con l’introduzione dell’art. 613-bis (“Tortura”) nel codice penale italiano si sia giunti a un risultato tangibile che rende l’Italia, almeno formalmente, compliance agli obblighi internazionali di criminalizzazione, l’annosa quaestio sembra essere ancora destinata a fomentare dibattiti tanto dottrinali quanto giurisprudenziali e politici, dimostrandosi ancora ben lungi da un epilogo pacifico. Il presente elaborato offre un’analisi critica della scelta legislativa operata dal nostro legislatore, che non può prescindere da una disamina degli strumenti di repressione offerti a livello internazionale, con particolare riguardo alla United Nation Convention Against Torture del 1984 e alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, entrambe ratificate dall’Italia e dalle quali discendono specifichi obblighi in materia di tortura gravanti sugli Stati parte. Attenzione specifica è prestata alle ragioni che hanno indotto l’introduzione di una fattispecie incriminatrice ad hoc per il reato di tortura nel codice penale italiano, tra cui spiccano per importanza le numerose condanne da parte della

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandro Pellino
  Tipo: Laurea magistrale a ciclo unico
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Maurizio  Riverditi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 220

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Parole chiave

tortura
torregiani
sovraffollamento carcerario
613bis
trattamenti inumani
trattamenti degradanti
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